Ordinanza n. 115 del 2005

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ORDINANZA N. 115

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-   Fernanda                            CONTRI                                      Presidente

-   Guido                                 NEPPI MODONA                        Giudice

-   Piero Alberto                      CAPOTOSTI                                       "

-   Annibale                             MARINI                                              "

-  Franco                                 BILE                                                    "

-  Giovanni  Maria                  FLICK                                                "

-   Francesco                           AMIRANTE                                       "

-   Ugo                                    DE SIERVO                                       "

-   Romano                              VACCARELLA                                 "

-   Paolo                                  MADDALENA                                  "

-   Alfio                                   FINOCCHIARO                                "

-   Alfonso                              QUARANTA                                      "

-  Franco                                 GALLO                                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 52, 53 e 54 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 26 giugno 2004 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Angelino Di Bella, in proprio e nella qualità di Presidente e legale rappresentante della Sanremo s.p.a., contro Sanremo Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. in l.c.a., iscritta al n. 713 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con ordinanza del 26 giugno 2004 la Corte di cassazione, prima sezione civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 52, 53 e 54 del codice di procedura civile, <<in quanto non consentono allo stesso giudice ricusato di dichiarare inammissibile l’istanza di ricusazione che tale appaia – per motivi di rito e di merito – “immediatamente” e “manifestamente”>>;

che la questione è stata sollevata nel corso del giudizio di cassazione conseguente al ricorso proposto da un socio (nonché amministratore) di una società di assicurazioni, per ottenere l’annullamento della sentenza di appello resa nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di insolvenza della società, posta in liquidazione coatta amministrativa;

che, come risulta dall’ordinanza, nel giudizio di cassazione sono intervenuti: a) un’istanza del ricorrente per la ricusazione del presidente del collegio designato per l’udienza del 27 marzo 2001; b) una successiva istanza di ricusazione dichiarata inammissibile in data 12 ottobre 2002 da un nuovo collegio; c) un’ulteriore istanza di ricusazione di quattro componenti di tale collegio, a seguito della quale esso, ritenuto l’effetto sospensivo dell’istanza, rinviava la causa a nuovo ruolo; d) il rigetto di tale nuova istanza di ricusazione da parte di un diverso collegio con ordinanza del 15 luglio 2003 e la fissazione dell’udienza del 19 maggio 2004; e) la proposizione di un’ulteriore istanza in data 14 maggio 2004, per la ricusazione di quattro dei cinque componenti del collegio designato per l’udienza indicata, fondata su nuove ragioni;

che la Corte rimettente ritiene di non condividere la tesi ­ accolta da tre sentenze delle sezioni unite e da alcune decisioni delle sezioni semplici – che esclude l’effetto sospensivo automatico dell’istanza di ricusazione, e ne consente una previa delibazione di ammissibilità da parte dello stesso giudice ricusato; ed afferma – in conformità ad altra giurisprudenza applicata anche dai collegi che hanno trattato gli incidenti di ricusazione nel giudizio a quo – che l’art. 52, terzo comma, cod. proc. civ., secondo cui “la ricusazione sospende il processo” deve essere inteso nel senso dell’automatismo della sospensione, senza alcuna possibilità di delibazione, anche in presenza di manifesti vizi di rito o di merito, essendo il giudizio di inammissibilità od infondatezza riservato espressamente al giudice della ricusazione;

che in particolare, secondo la rimettente, l’avversa interpretazione, se pure potrebbe trovare giustificazione nei giudizi di merito, nei quali i vizi di costituzione del giudice derivanti dalla causa di ricusazione possono convertirsi in motivi di impugnazione, non l’avrebbe nel giudizio di cassazione, essendo le sentenze della Corte suscettibili solo di impugnazione revocatoria per errore di fatto;

che, sulla base di questi rilievi, la rimettente ritiene l’automatismo della sospensione in contrasto con i principî (a) del giudice naturale, <<perché lo strumento della ricusazione, poiché le persone dei giudici di ogni ufficio sono di numero finito, ha l’effetto di “pilotare” la causa secondo gradimento>>; (b) del giusto processo, perché i tempi della decisione diverrebbero incontrollabili; (c) del contraddittorio, <<perché viene attribuito ad una parte il potere di sospendere il corso del processo reiteratamente e ad libitum>>; (d) di parità ed eguaglianza delle parti, <<perché la sospensione interviene ipso iure, senza che quindi la controparte possa in alcun modo rappresentare e far valutare le proprie, eventualmente difformi, esigenze>>;

che, secondo la rimettente, l’abuso della ricusazione consentito dalla normativa impugnata determinerebbe anche la violazione della ripartizione delle materie fra le sezioni civili della Corte di cassazione, che, pur non prevista dall’ordinamento giudiziario, sarebbe da sempre applicata, al fine di garantire la più piena e trasparente attuazione del principio dell’indipendenza ed imparzialità del giudice, in ossequio agli artt. 101 e 107 della Costituzione;

 che, inoltre, la possibilità di reiterare istanze di ricusazione frustrerebbe l’esigenza di assicurare un equo processo entro un termine ragionevole, perseguita dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 111 della Costituzione (come pure dall’art. 3 della legge 13 aprile 1988, n. 117 e dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89);

che, infine, l’unilaterale potere di disposizione attribuito al ricusante sarebbe irragionevole, se confrontato con la diversa disciplina data a tutte le altre cause di sospensione dagli artt. 295 e successivi cod. proc. civ. e con le cautele predisposte per l’automatismo degli eventi interruttivi del processo;

che un ulteriore profilo di incostituzionalità sussisterebbe per disparità di trattamento con la disciplina del processo amministrativo, la quale consentirebbe, in assenza di una norma di sospensione automatica, di delibare l’ammissibilità dell’istanza di ricusazione;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria sostenendo l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza.

Considerato che questa Corte – con ordinanza n. 388 del 2002, non presa in esame dalla rimettente – ha già dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 52, terzo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui, prevedendo che “la ricusazione sospende il processo”, imporrebbe al giudice la sospensione anche quando l’istanza, costituendo mera reiterazione di altra già ritenuta dal giudice competente inammissibile, appaia carente dei requisiti formali di ammissibilità e tenda al solo fine di procrastinare o paralizzare l’attività giurisdizionale;

che la citata ordinanza pone in rilievo come – nonostante l’apparente rigidità della formula – la norma (secondo la giurisprudenza di legittimità di gran lunga prevalente e le osservazioni di diffusa dottrina) si presti ad una lettura diversa e riconosca al giudice della causa – obbligato in ogni caso a dare corso all’istanza di ricusazione trasmettendo il relativo fascicolo al giudice competente – il potere di delibare preventivamente i presupposti formali di una valida ricusazione ai fini della sospensione del giudizio, per cui un’istanza di ricusazione presentata senza rispettare le condizioni e i termini prescritti non produce la sospensione del processo, perché non integra la fattispecie che tale sospensione impone;

che i parametri in riferimento ai quali la questione è ora sollevata sono i medesimi scrutinati allora, ed in più gli artt. 24 e 25 della Costituzione, ma le ragioni della manifesta infondatezza della questione sono riferibili anche ad essi, ricollegandosi ad un orientamento interpretativo assolutamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità circa il carattere non automatico della sospensione del processo e l’esistenza di un potere delibatorio del giudice della causa in presenza di ricusazioni che rivelino un uso distorto dell’istituto;

che la Corte rimettente, pur consapevole di tale orientamento, dichiara di non condividerlo e per tale ragione solleva la questione;

che, come più volte questa Corte ha affermato, le leggi non si dichiarano incostituzionali se esiste la possibilità di dare loro un significato che le renda compatibili con i precetti costituzionali e ciò assume particolare rilievo qualora, come nella fattispecie, l’opzione interpretativa che consente tale risultato sia stata ripetutamente – pur dopo l’ordinanza di rimessione – condivisa dalle sezioni unite della Corte di cassazione, massima espressione della funzione di nomofilachia;

che siffatto orientamento giurisprudenziale è stato enunciato anche (Corte di cassazione, sezioni unite, n. 3948 del 1989) in riferimento ad istanze di ricusazione presentate nel giudizio di cassazione;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 52, 53 e 54 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 25 e 111 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2005.

Fernanda CONTRI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2005.