Sentenza n. 109 del 2005

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SENTENZA N. 109

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Fernanda                   CONTRI                                            Presidente

-  Guido                        NEPPI MODONA                              Giudice

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                             “

-  Annibale                    MARINI                                                    “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria         FLICK                                                       “

-  Francesco                  AMIRANTE                                             “

-  Ugo                           DE SIERVO                                             “

-  Romano                     VACCARELLA                                       “

-  Paolo                          MADDALENA                                        “

-  Alfio                          FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                     QUARANTA                                            “

-  Franco                       GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 301 e 377, comma secondo, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 10 luglio 2004 dalla Corte di cassazione a seguito di ricorso proposto da Nelli Ermanno ed altra contro Rossini Angelo ed altra, iscritta al n. 712 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte di cassazione – nel corso del giudizio intrapreso con ricorso proposto da Nelli Ermanno e Mazzafoglia Annunziata nei confronti di Rossini Angelo e Dionisi Giovanna, avverso sentenza resa in grado d’appello dal Tribunale di Viterbo – con ordinanza pronunziata il 10 luglio 2004, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, comma secondo, e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 301 e 377, comma secondo, del codice di procedura civile.

  2. – In punto di fatto, il giudice a quo riferisce di aver disposto – dopo aver rilevato che la comunicazione della data fissata per l’udienza di discussione era stata effettuata presso il domicilio del difensore, nel frattempo deceduto – la trasmissione degli atti di causa al primo presidente, ai sensi degli articoli 374 e 376 cod. proc. civ., affinché, anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 111 Cost., fosse valutata la conformità alle esigenze del «giusto processo» del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui nel giudizio in cassazione non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per effetto del verificarsi di uno degli eventi contemplati dagli articoli 299 e seguenti del codice di rito, con la conseguenza che, una volta instauratosi il giudizio a seguito della notifica del ricorso, la morte della parte o del difensore non influirebbe in alcun modo sul corso del giudizio.

  Il rimettente, dopo che il primo presidente ha restituito gli atti alla sezione, avendo ritenuto di non dovere investire le sezioni unite, solleva la questione incidentale in esame.

  3. – In punto di non manifesta infondatezza, la Corte rimettente osserva come il consolidato orientamento interpretativo del giudice di legittimità in tema di interruzione del processo si fondi, da un lato, sull’impulso ufficioso che caratterizza il giudizio di cassazione e, dall’altro, sulla insuscettibilità di applicazione analogica delle norme sull’interruzione; e ciò anche nel caso in cui l’evento attenga alla morte del difensore attestata dalla relata negativa di notifica dell’avviso di udienza, dal momento che la prospettazione delle ragioni del ricorrente sarebbe interamente affidata all’atto scritto del ricorso, mentre la discussione orale avrebbe, in uno alla relativa udienza, mero valore complementare.

  Riferisce la Corte rimettente che, pur riconoscendo che l’istituto dell’interruzione è soprattutto volto a garantire l’effettività del contraddittorio ed una efficiente rappresentanza tecnica delle parti nel processo, le Sezioni unite hanno rilevato (sentenza n. 11195 del 1992) che nel sistema del codice di rito del 1942, a differenza di quello del 1865, non ad ogni evento potenzialmente lesivo del contraddittorio è stata conferita efficacia interruttiva; tale effetto è stato limitato, con riguardo al difensore, alle sole ipotesi della morte, della radiazione e della sospensione (art. 301, primo comma, cod. proc. civ.), escludendo espressamente quelle della revoca della procura e della rinuncia al mandato (art. 301, terzo comma, cod. proc. civ.), secondo una scelta da considerarsi ragionevole nella misura in cui, per queste ultime ipotesi, sussiste un obbligo di attivarsi a carico della parte (nel caso di revoca della procura) o del difensore (in caso di rinuncia al mandato) idoneo ad evitare la compromissione del contraddittorio il cui verificarsi sarebbe, pertanto, ascrivibile ad un comportamento omissivo e non anche ad un vizio della normativa.

  Analoghe ragioni sussisterebbero, ad avviso delle Sezioni unite, con riguardo al caso della morte dell’unico difensore costituito nel giudizio di cassazione al quale non sarebbero applicabili analogicamente – stante il divieto dell’art. 14 delle preleggi – le norme dettate in tema di interruzione per il giudizio di merito e non richiamate per il rito di legittimità che, connotato dall’impulso di ufficio, impone un particolare onere di attenzione alla parte, «con la conseguenza che la mancata osservanza di quest’onere, per fatti relativi al procuratore, ricadrebbe sulla parte stessa che non si sia attivata per ovviare alle conseguenze derivanti da eventi che essa avrebbe potuto e dovuto conoscere».

  4. – La Corte rimettente ritiene, tuttavia, di dover rimeditare questo consolidato indirizzo che, per il caso di morte dell’unico difensore costituito, condurrebbe a risultati contrastanti con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.

  Se infatti è vero, a parere del giudice a quo, che resta estranea al giudizio di cassazione, dominato dall’impulso officioso, la ratio delle norme in tema di interruzione collegata al carattere dispositivo del processo ed all’esigenza di affidarne la prosecuzione all’impulso di parte, è pur vero che quelle stesse disposizioni tutelano il diritto di difesa ed il contraddittorio con previsioni che, nel caso di morte, radiazione e sospensione dall'albo dell’unico procuratore costituito, determinano l’interruzione automatica del processo ed importano la nullità di ogni ulteriore attività processuale. Inoltre, se le difese nel giudizio di cassazione sono essenzialmente affidate, per la parte ricorrente, alla formulazione del ricorso, il rimettente annette un rilievo decisivo, in termini di garanzia del contraddittorio, ad altre eventuali attività processuali a valenza defensionale, da compiersi unicamente ad impulso di parte e con il ministero di un difensore, quali il deposito del ricorso, la produzione di documenti relativi alla nullità della sentenza impugnata ed all’inammissibilità del ricorso e del controricorso (art. 372, primo comma, cod. proc. civ.), l’integrazione del contraddittorio in corso di causa (artt. 331 e 375 cod. proc. civ.), il rideposito del fascicolo di parte, la rinnovazione della notificazione, la facoltà di rinuncia al ricorso.

  Peraltro il giudice a quo ritiene che l’udienza di discussione non possa essere considerata, nell’attuale sistema normativo, quale mero contorno dell’attività esplicatasi negli scritti defensionali, assurgendo invece – come hanno statuito anche le Sezioni unite (sentenza n. 10841 del 2003) – a «strumento di massima garanzia dei diritti di azione e difesa delle parti, che rende possibile ai difensori di esporre compiutamente i propri assunti nell’osservanza più piena del principio del contraddittorio, anche nei confronti del rappresentante del procuratore generale».

  Tali considerazioni, ad avviso della Corte rimettente, sono rafforzate dalla nuova formulazione dell’articolo 111 della Costituzione che, pur esplicitando indicazioni già presenti nel sistema giuridico, col precisare che il processo si svolge nel contraddittorio delle parti «in condizioni di parità», avrebbe reso «ancor più evidente il ruolo della presenza del difensore (anche) nel giudizio di cassazione, dovendosi ritenere che il giusto processo di cassazione è quello in cui al difensore, che la legge presume particolarmente adeguato in quanto iscritto nell’apposito albo, è consentito di esercitare concretamente ed effettivamente tutte le opportunità difensive riconosciute dalle norme processuali».

  5.– Pertanto, atteso che la norma, la quale sancisce che la morte del difensore è causa di interruzione automatica del processo di primo grado (art. 301 cod. proc. civ.) e di quello d’appello (in virtù del richiamo contenuto nell’art. 359 cod. proc. civ.), non è prevista per il giudizio di cassazione, né è ad esso estensibile in via analogica, il giudice rimettente ritiene che «si producano una disparità di trattamento ed una lesione del diritto di difesa che il carattere ufficioso del giudizio di legittimità non appaiono sufficienti a giustificare», rendendo evidente, stante anche la rilevanza della questione, il contrasto con gli articoli 3, comma primo, 24, comma secondo, e 111 Cost., degli articoli 301 e 377, comma secondo, cod. proc. civ. nella parte in cui, per il giudizio di cassazione, non attribuiscono rilevanza alla morte dell’unico difensore verificatasi dopo la proposizione del ricorso e prima dell’udienza di discussione.

Considerato in diritto

  1. – La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111 Cost., degli artt. 301 e 377, comma secondo, del codice di procedura civile, nella parte in cui non attribuiscono rilevanza, nel giudizio di cassazione, alla morte dell’unico difensore verificatasi dopo la proposizione del ricorso e prima dell’udienza di discussione.

  2. – La questione è inammissibile.

  2.1. – La Corte rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale osservando come sia inappagante il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’impulso officioso che caratterizza il giudizio di legittimità varrebbe di per sé a giustificare l’irrilevanza in quel giudizio degli eventi – riguardanti il difensore – che, nelle fasi di merito, determinano l’interruzione del processo.

  2.2. – In proposito deve osservarsi che non solo (e non tanto) anche nel giudizio di cassazione è previsto il compimento di atti di impulso, affidati alla parte, la cui omissione comporta la definizione in rito del processo (improcedibilità: artt. 369 e 371-bis cod. proc. civ.; inammissibilità: artt. 291 e 331 cod. proc. civ.), ma anche e soprattutto che la funzione dell’interruzione non è soltanto (né principalmente) quella di mettere la parte in grado di compiere atti di impulso del processo (e di evitare, così, di incorrere, lato sensu, nell’estinzione), bensì in primo luogo quella di consentire alla parte – nonostante sia stata colpita da un evento che ne pregiudica, per così dire, l’integrità – di difendersi in giudizio usufruendo di tutti i poteri e facoltà che la legge le riconosce.

  Ciò posto, è del tutto ovvio che il carattere officioso del procedimento di cassazione è irrilevante al fine di bandirne l’istituto dell’interruzione, così come è ovvia l’inconsistenza logica e giuridica del tentativo di giustificare tale conclusione con il preteso, scarso valore – rispetto a quella che si esprime con il ricorso – delle successive attività difensive (“valore meramente complementare”, ad esempio, si attribuisce non di rado alla discussione orale in udienza): tentativo che si risolve nel graduare inammissibilmente l’importanza degli strumenti difensivi, i quali, per ciò solo che sono previsti dalla legge processuale, debbono, tutti, poter essere utilizzati dalla parte per far valere le proprie ragioni.

  2.3. – Questa Corte, tuttavia, non può emettere la pronuncia di incostituzionalità che le viene sollecitata.

  In effetti, il problema della necessità di garantire l’esercizio del diritto di difesa, nel giudizio di cassazione, alla parte colpita da un evento che quel diritto pregiudica, non riguarda soltanto il ricorrente, ma anche colui nei cui confronti il ricorso sia stato proposto, così come esso implica la soluzione di delicate questioni – derivanti dal fatto che quello di cassazione è ab initio un processo di avvocati – quanto ai meccanismi di riattivazione del giudizio.

  Non competendo a questa Corte – ma, nell’ambito della sua discrezionalità, al legislatore – la necessariamente articolata soluzione dei problemi implicati dal riconoscere rilevanza, nel giudizio di cassazione, ad eventi lato sensu interruttivi, la questione di legittimità costituzionale de qua deve essere dichiarata inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 301 e 377, comma secondo, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della

Fernanda CONTRI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2005.