Ordinanza n. 418 del 2004

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ORDINANZA N. 418

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                                  Presidente

- Carlo               MEZZANOTTE                    Giudice

- Guido             NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto  CAPOTOSTI                         "

- Annibale         MARINI                                "

- Franco             BILE                                      "

- Giovanni Maria FLICK                                 "

- Francesco        AMIRANTE                          "

- Ugo                 DE SIERVO                          "

- Romano          VACCARELLA                   "

- Paolo               MADDALENA                     "

- Alfio               FINOCCHIARO                   "

- Alfonso           QUARANTA                        "

- Franco             GALLO                                 "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 500, 511, comma 2, 511-bis, 514, 525 e 526 del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dalla Corte d'appello di Roma con ordinanza in data 8 aprile 2003, dal Tribunale di Orvieto con ordinanza del 9 maggio 2003, dal Tribunale di Foggia con ordinanza del 28 giugno 2002, dal Tribunale della Spezia con ordinanza del 14 novembre 2003 e dal Tribunale di Roma con ordinanza del 6 novembre 2003, rispettivamente iscritte al n. 401, al n. 707 e al n. 900 del registro ordinanze 2003, al n. 117 e al n. 450 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, n. 37 e n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2003, al n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2004 e nella edizione straordinaria, prima serie speciale, del 3 giugno 2004.

    Visti l'atto di costituzione dell'imputato nel procedimento pendente davanti alla Corte d'appello di Roma (r.o. n. 401 del 2003), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

    Ritenuto che la Corte d'appello di Roma (r.o. n. 401 del 2003) ha sollevato, in riferimento all'art. 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 511, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, «in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento della persona fisica del giudice, fa dipendere la possibilità di utilizzazione mediante lettura dell'attività istruttoria dibattimentale già compiuta dal consenso di ciascuna delle parti»;

    che il giudice rimettente premette:

    - che nel giudizio di primo grado, a seguito del mutamento del collegio, era stata disposta la rinnovazione del dibattimento;

    - che la difesa si era opposta alla lettura del verbale delle dichiarazioni rese da un teste davanti al giudice poi sostituito e ne aveva chiesto il 'nuovo' esame, senza peraltro «specificare su quali nuovi argomenti o temi di prova o con quali nuove domande si dovesse svolgere»;

    - che il Tribunale, pur respingendo la richiesta della difesa, aveva pronunciato la sentenza utilizzando nella motivazione anche le dichiarazioni rese dal testimone davanti al precedente giudice;

    che l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado, prospettata dalla difesa per violazione dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., come interpretato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, doveva pertanto ritenersi fondata;

    che ad avviso del rimettente la disposizione censurata appare in contrasto con l'art. 111 Cost. e, segnatamente, con i principî di parità delle parti e di ragionevole durata del processo;

    che, in particolare, allorché la prova è stata assunta dal giudice poi sostituito nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, i principî di oralità, di concentrazione, di immediatezza e di immutabilità del giudice risultano assicurati anche se la decisione viene poi adottata da giudici diversi da quelli davanti ai quali le prove sono state raccolte;

    che il consenso di ciascuna delle parti, necessario per evitare un 'nuovo' esame del teste, si atteggerebbe come una mera facoltà, come «una condizione meramente potestativa», che, proprio in quanto tale, contrasta con i principî di ragionevole durata del processo e di parità delle parti;

    che nel giudizio si è costituito l'imputato nel procedimento a quo, chiedendo il rigetto della questione di legittimità costituzionale prospettata dal giudice rimettente, e argomentando la richiesta con memoria depositata il 27 ottobre 2004;

    che il Tribunale di Orvieto (r.o. n. 707 del 2003) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 500, 541 (recte: 511), 541-bis (recte: 511-bis), 514 e 525, comma 2, cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevedono che gli atti formatisi durante la conduzione del dibattimento da parte di un giudice (o collegio giudicante) in seguito mutato di composizione possano di nuovo essere acquisiti al dibattimento nei casi in cui questi vengano reputati irripetibili, sia in senso proprio che improprio», nonché nella parte in cui non prevedono che gli atti medesimi «possano essere usati per le contestazioni di cui all'art. 500 cod. proc. pen.»;

    che il giudice rimettente premette che «non essendo intervenuto accordo per l'acquisizione degli atti posti in essere alla presenza del precedente giudice […] ha ordinato la ripetizione di tutti gli atti travolti dalla nullità di cui all'art. 525, comma 2, cod. proc. pen.»;

    che, al riguardo, il giudice a quo rileva che le prove assunte da giudici diversi rispetto a quelli che concorrono alla deliberazione della sentenza sono in ogni caso inutilizzabili, anche se, in ipotesi, divenute irripetibili, e che pertanto le disposizioni censurate, nella parte in cui non consentono in nessun caso di acquisire e di utilizzare gli atti assunti davanti al diverso giudice, dettano una disciplina irragionevolmente differente rispetto a quella che regola l'utilizzabilità degli atti non ripetibili compiuti nella fase delle indagini;

    che la questione, prosegue il rimettente, si porrebbe negli stessi termini anche con riferimento ai casi in cui la prova acquisita nel dibattimento può essere 'nuovamente' assunta, ma in circostanze, tempi e modi necessariamente diversi rispetto a quelli della prima assunzione, in quanto «la perizia dialettica dell'interrogante» e «l'effetto sorpresa» possono indurre le persone interrogate a fornire risposte più genuine, anche senza considerare il decorso del tempo che può influire sui ricordi determinando dichiarazioni meno fedeli;

    che le censure vengono argomentate dal rimettente anche con riferimento alla asserita «inutilizzabilità degli atti de quibus ai fini della contestazione ai testimoni ex art. 500 cod. proc. pen.»;

    che le disposizioni impugnate sarebbero perciò in contrasto con l'art. 3 Cost., perché disciplinano in modo diverso situazioni sostanzialmente uguali, con l'art. 24 Cost., per la possibile compromissione del diritto di difesa, e con l'art. 111 Cost., per la violazione dei principî di parità delle parti e di ragionevole durata del processo;

    che il Tribunale di Foggia (r.o. n. 900 del 2003) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 511, comma 2, 525 e 526 cod. proc. pen.;

    che il giudice rimettente afferma la non manifesta infondatezza della questione per l'irragionevole diversità del regime della ripetizione delle prove orali già assunte nell'ipotesi di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale rispetto alla disciplina dei casi previsti dall'art. 190-bis cod. proc. pen., nonché per contrasto con il principio di ragionevole durata del processo;

    che il Tribunale di Roma (r.o. n. 450 del 2004) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., «nella parte in cui impone, a pena di nullità, la partecipazione alla deliberazione della sentenza dello stesso giudice che ha partecipato all'intero dibattimento, subordinando al consenso delle parti l'utilizzabilità degli atti assunti in precedenza da giudice diverso»;

    che il giudice rimettente premette che, a seguito di una modifica della composizione del collegio, è stata disposta la rinnovazione del dibattimento e che le difese degli imputati si sono opposte all'utilizzabilità mediante lettura degli atti assunti in precedenza, così determinando la necessità di un nuovo esame dei testimoni relativamente a fatti risalenti agli anni 1992/1993;

    che, ad avviso del rimettente, mentre i principî di immediatezza e di immutabilità del giudice non assurgono a rango costituzionale, il principio di ragionevole durata del processo è invece espressamente previsto dall'art. 111 Cost.;

    che, imponendo la Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 6) di contenere i tempi processuali entro limiti ragionevoli, deve ritenersi che l'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., interpretato alla luce dell'orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, sia incompatibile con l'indicato parametro costituzionale;

    che, peraltro, il codice di procedura penale conosce numerose deroghe al principio dell'immutabilità del giudice, volte, all'evidenza, ad evitare l'inutile svolgimento di attività giurisdizionale;

    che, infine, in punto di ragionevolezza, il giudice rimettente segnala che l'art. 190-bis cod. proc. pen., con riferimento a procedimenti penali per reati di particolare gravità, dispone che l'esame del testimone o delle persone indicate nell'art. 210 cod. proc. pen., che abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime sono destinate ad essere utilizzate, è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario in relazione a specifiche esigenze;

    che il Tribunale della Spezia (r.o. n. 117 del 2004) ha sollevato, in riferimento agli stessi parametri costituzionali, questione di legittimità costituzionale dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., sulla base di argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle contenute nell'ordinanza del Tribunale di Roma recante il numero 450 del registro ordinanze del 2004;

    che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate con le ordinanze iscritte al n. 707 del registro ordinanze del 2003 e al n. 450 del registro ordinanze del 2004 siano dichiarate inammissibili per omessa descrizione delle fattispecie e, in ogni caso, che tutte le questioni siano dichiarate infondate alla luce dei numerosi precedenti con i quali la Corte ha deciso questioni analoghe (ordinanze n. 73 del 2003, n. 59 del 2002 e n. 399 del 2001).

    Considerato che tutte le ordinanze sollevano questioni sostanzialmente identiche, che comunque investono, da soli o congiuntamente, gli artt. 500, 511, comma 2, 511-bis, 514 e 525, comma 2, del codice di procedura penale, in quanto, in caso di mutamento della persona fisica del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, impongono, alla stregua dell'interpretazione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, di disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ove sia richiesta da una delle parti;

    che deve pertanto essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

    che, in particolare, quanto alla questione sollevata dalla Corte d'appello di Roma (r.o. n. 401 del 2003), questa Corte ha già avuto modo di affermare nell'ordinanza n. 399 del 2001 che il principio di ragionevole durata del processo, che ad avviso del rimettente sarebbe violato dalla necessità di rinnovare l'istruzione dibattimentale in precedenza svolta da un giudice poi sostituito, deve essere contemperato con le esigenze di  tutela di altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti rilevanti nel processo penale e che tale contemperamento, ove risulti, come nel caso di specie, non irragionevolmente realizzato, non si presta a censure sul terreno costituzionale;

    che, circa la lamentata violazione del principio di parità delle parti, è sufficiente rilevare che la parte che chiede la rinnovazione della prova esercita il proprio diritto, garantito dai principî di oralità e immediatezza che connotano il codice di rito, all'assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere;

    che, circa la questione sollevata dal Tribunale di Orvieto (r.o. n. 707 del 2003), il rimettente muove dall'erroneo presupposto interpretativo che gli atti assunti dal giudice poi sostituito siano in ogni caso inutilizzabili, anche se divenuti irripetibili, senza tenere conto di quanto disposto dall'art. 511 cod. proc. pen. in tema di utilizzabilità dei verbali di atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (v. sentenza n. 17 del 1994, nonché ordinanza n. 399 del 2001);

    che quanto alla minore genuinità della 'nuova' prova in considerazione della perdita dell'«effetto sorpresa» che contraddistingue la prima assunzione, a prescindere da ogni altra considerazione, il rimettente sembra non considerare che la prova acquisita davanti al giudice poi sostituito fa legittimamente parte del fascicolo per il dibattimento (v., ancora, sentenza n. 17 del 1994) ed è quindi anch'essa utilizzabile ai fini della decisione e, ovviamente, ai fini delle 'contestazioni'; 

    che circa le questioni sollevate dal Tribunale della Spezia (r.o. n. 117 del 2004) e dal Tribunale di Roma (r.o. n. 450 del 2004), tra loro sostanzialmente identiche, questa Corte - con particolare riferimento alla censura di irragionevolezza mossa all'art. 525, comma 2, cod. proc. pen. in quanto subordina al consenso delle parti l'utilizzabilità degli atti assunti davanti ad un giudice poi sostituito, diversamente da quanto previsto dall'art. 190-bis cod. proc. pen. - ha già avuto occasione di affermare che la disciplina assunta quale tertium comparationis, derogando ai principî di oralità e di immediatezza a cui è ispirato l'ordinamento processuale, oltre a non avere contenuto costituzionalmente vincolato, ha carattere eccezionale e non  potrebbe quindi essere estesa oltre i casi espressamente previsti (v., da ultimo, ordinanza n. 73 del 2003);

    che, infine, quanto alla questione sollevata dal Tribunale di Foggia (r.o. n. 900 del 2003), la relativa ordinanza è del tutto priva della descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo e non contiene alcuna motivazione in ordine alla rilevanza;

    che, sulla base delle considerazioni sopra svolte, le questioni sollevate dalla Corte d'appello di Roma e dai Tribunali di Orvieto, della Spezia e di Roma devono essere dichiarate manifestamente infondate e la questione sollevata dal Tribunale di Foggia deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 511, comma 2, 525 e 526 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Foggia, con l'ordinanza in epigrafe;

    dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 500, 511, comma 2, 511-bis, 514 e 525, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Roma e dai Tribunali di Orvieto, della Spezia e di Roma, con le ordinanze in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

    Valerio ONIDA, Presidente

    Guido NEPPI MODONA, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2004.