Ordinanza n. 395 del 2004

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ORDINANZA N. 395

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Valerio                       ONIDA                                             Presidente

-  Carlo                          MEZZANOTTE                                  Giudice

-  Guido                        NEPPI MODONA                                    “

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                             “

-  Annibale                    MARINI                                                    “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria         FLICK                                                                  “

-  Francesco                  AMIRANTE                                             “

-  Ugo                           DE SIERVO                                             “

-  Romano                     VACCARELLA                                       “

-  Paolo                         MADDALENA                                        “

-  Alfio                          FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                     QUARANTA                                            “

-  Franco                       GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 92, comma secondo, del codice di procedura civile promosso con ordinanza del 22 luglio 2003 dal Tribunale di Camerino nel procedimento civile vertente tra Piloni Ruggero e Trottini Ada ed altri, iscritta al n. 321 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

  Ritenuto che, con ordinanza del 22 luglio 2003, il Tribunale di Camerino ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, comma secondo, del codice di procedura civile, «nella parte in cui consente al giudice la facoltà di compensare, in tutto o in parte e ai danni della parte rimasta vittoriosa, le spese processuali, senza esporre espressa e giustificata motivazione dei “giusti motivi” di tale decisione»;

  che il giudice a quo riferisce di aver deciso il procedimento civile n. 176 del 1996 con sentenza del 24 giugno 2003 di accoglimento della domanda attrice e di avere, tuttavia, disposto la sospensione del processo limitatamente alla pronuncia accessoria sulle spese legali, perché, ritenendo di dover fare uso della facoltà di compensarle, ai sensi dell’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., dubita della legittimità costituzionale di tale norma, «così come interpretata dalla giurisprudenza pressoché univoca e costante della Suprema Corte»;

  che il principio fissato dall’art. 91 cod. proc. civ. – secondo il quale gli oneri economici del processo vanno a carico della parte soccombente (principio di cui è applicazione l’ipotesi di compensazione per soccombenza reciproca) – ha come unica eccezione l’ipotesi della compensazione «per giusti motivi», perché in questo caso le spese vengono a gravare sulla parte vittoriosa;

  che l’applicazione del canone ermeneutico sancito dall’art. 12 delle preleggi, nonché l’esigenza di rendere trasparente l’iter argomentativo seguito dal decidente, allorché reputa di discostarsi dalla regola generale di cui all’art. 91 cod. proc. civ., lascerebbero intendere che il giudice debba esplicitare le ragioni per le quali «dispone, in deroga al principio legale di soccombenza, la compensazione ai danni della parte vittoriosa»;

  che, tuttavia, la giurisprudenza pressoché costante e univoca della Cassazione (smentita dalla sola sentenza n. 4455 del 1999) ritiene che non vi sia alcun obbligo di motivare il capo della sentenza col quale viene disposta la compensazione delle spese “per giusti motivi”, trattandosi di statuizione discrezionale, assistita da una presunzione di conformità a diritto;

  che necessario corollario di tale affermazione – per la quale, in definitiva, il giudice è arbitro di ribaltare a proprio piacimento il principio della soccombenza – è che la parte vittoriosa, che si sia vista compensare le spese di lite, può impugnare il relativo capo della pronuncia solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia esposto motivi di compensazione illogici o erronei, e non già invece quando abbia omesso ogni motivazione;

  che l’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., nella lettura fattane dal “diritto vivente”, sembra al decidente palesemente in contrasto con gli articoli 24 e 111 della Costituzione, come rilevato anche dalla Corte di cassazione nella citata sentenza n. 4455 del 1999, che rappresenta, allo stato, il solo enunciato dissenziente in un panorama giurisprudenziale di segno contrario sostanzialmente compatto;

  che, riportati ampi stralci di tale pronuncia, il rimettente sottolinea che essa, accolta da un unanime coro di consensi da parte di tutti gli operatori giuridici, è stata tuttavia smentita dai successivi arresti del giudice di legittimità, con i quali, dopo aver negato l’applicazione, in parte qua, «del principio sancito dall’art. 111 della Costituzione, secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato», la Corte di cassazione (sentenza n. 1597 del 2002) ha affermato che «la garanzia costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale non si estende fino al punto da ricomprendervi anche la condanna del soccombente»;

  che, in tale contesto, ritiene il rimettente che la norma impugnata violi gli artt. 24 e 111 della Costituzione, perché se è incontestabile che la compensazione delle spese di causa per giusti motivi menoma, sotto il profilo economico, il riconoscimento del diritto azionato, essa incide, per ciò stesso, sull’effettività della tutela giurisdizionale, con la conseguenza che il giudice è tenuto ad esporre «in modo esplicito e coerente» i motivi che, a suo avviso, giustificano, nel caso dedotto in giudizio, il sacrificio parziale o totale del diritto stesso, altrimenti incorrendo in una flagrante violazione dell’art. 111 della Costituzione ed essendo posto in condizioni di perpetrare, sotto l’ombrello della norma processuale impugnata, comportamenti inquadrabili nella fattispecie criminosa di cui all’art. 323 cod. pen.;

  che, non a caso, la disciplina delle spese processuali avviene sovente in modo affatto arbitrario, posto che vi sono «compensazioni routinariamente disposte nei giudizi in cui è coinvolta una “certa parte” (per lo più enti pubblici)» e compensazioni negate in giudizi in cui essa dovrebbe invece essere obbligatoriamente ordinata, come quelli nei quali lo Stato, controparte in causa, fornisca «nel corso del processo un’interpretazione autentica diametralmente opposta alle decisioni già prese in casi identici»;

  che, in punto di rilevanza della prospettata questione, il rimettente precisa che, ove la norma impugnata venga ritenuta conforme agli artt. 24 e 111 della Costituzione, egli si pronuncerà nel processo a quo, «(come in tutti i processi a venire) senza esporre alcuna motivazione in merito alla scelta di compensare, parzialmente o totalmente, le spese processuali a discapito della parte vittoriosa, così derogando, per motivazioni che resteranno occulte e insuscettibili di sindacato, al principio legale della soccombenza processuale»;

  che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità o comunque l’infondatezza della proposta questione;

  che, sottolineata la peculiarità della «cesura» operata dal rimettente tra decisione della causa e regolazione delle spese e ricordato che è obbligo del giudice interpretare le norme in modo conforme alla Costituzione, l’interveniente deduce che nulla impediva al decidente di motivare in merito alla compensazione, così dando all’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., un’attuazione conforme ai parametri costituzionali asseritamente violati dalla prevalente giurisprudenza.

  Considerato che il Tribunale di Camerino dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 24 e 111 della Costituzione, dell’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ., «nella parte in cui consente al giudice la facoltà di compensare, in tutto o in parte e ai danni della parte rimasta vittoriosa, le spese processuali senza esporre espressa e giustificata motivazione dei “giusti motivi” di tale decisione»;

  che la questione è manifestamente inammissibile in quanto il giudice rimettente – dopo aver interpretato alla luce dei principî costituzionali (e, in particolare, dell’art. 111, comma sesto, Cost.), la norma che disciplina la compensazione delle spese di lite, e pertanto nel senso che essa attribuisce al giudice un potere discrezionale (e non già arbitrario) di derogare alla regola legale imperniata sul principio della soccombenza (art. 91 cod. proc. civ.) – era tenuto a fare applicazione nel caso di specie della norma come da lui interpretata, e quindi dando conto, con adeguata motivazione, dei “giusti motivi” che lo inducevano a non porre, in tutto o in parte, le spese di lite a carico della parte soccombente;

  che l’esistenza di un “diritto vivente” secondo il quale il giudice potrebbe, a suo arbitrio, motivare o non motivare la compensazione delle spese – sicché l’esercizio di tale potere discrezionale sarebbe sindacabile in sede di impugnazione solo se il giudice avesse optato, senza in alcun modo esservi vincolato, per la motivazione della sua decisione – non consentiva al giudice a quo, sollevando la questione di legittimità costituzionale di quel “diritto vivente”, di esimersi dal dovere di disciplinare il riparto delle spese della lite da lui definita, e di disciplinarlo con provvedimento conforme all’interpretazione assunta come costituzionalmente corretta dell’art. 92 cod. proc. civ.;

  che il “diritto vivente” in questione, infatti, si risolve in una regola – insindacabilità della compensazione delle spese non motivata – della quale è diretto destinatario il giudice dell’impugnazione, e solo indirettamente il giudice munito del potere (discrezionale) di disporre la compensazione delle spese del giudizio da lui definito;

  che la questione de qua, pertanto, poteva essere sollevata non già dal giudice chiamato a provvedere sulle spese della lite da lui decisa – in quanto tale giudice, per ciò solo che secondo il c.d. “diritto vivente” aveva la facoltà, ma non l’obbligo, di non motivare il suo provvedimento, era tenuto a dare dell’art. 92 cod. proc. civ. un’interpretazione, certamente non ostacolata dalla lettera della norma, conforme a Costituzione –, bensì dal giudice davanti al quale fosse stata impugnata una decisione che immotivatamente avesse disposto la compensazione delle spese, perché solo tale giudice sarebbe stato chiamato a fare applicazione del “diritto vivente” secondo il quale non avrebbe potuto – per ciò solo che il giudice del precedente grado si era risolto a non dar conto dei “giusti motivi” posti a fondamento della compensazione delle spese – esercitare alcun controllo su un provvedimento che, pure, per sua natura e inevitabilmente, incide su diritti soggettivi;

  che l’irrilevanza della questione, e la sua conseguente manifesta inammissibilità, è confermata dalla circostanza che il giudice rimettente è stato costretto – per poter sollevare il dubbio di costituzionalità – a scindere, rinviandola ad un secondo momento, la decisione sulle spese da quella sul merito, e pertanto ad emettere l’ordinanza di rimessione a questa Corte dopo che, con la sentenza definitiva del merito, aveva consumato il suo potere decisorio e dopo che, pertanto, la controversia potenzialmente già pendeva davanti al giudice dell’impugnazione (anche per l’omessa pronuncia sulle spese).

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, comma secondo, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Camerino con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2004.