Sentenza n. 283 del 2004

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SENTENZA N.283

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

- Paolo MADDALENA                     

- Alfonso QUARANTA         

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 19 luglio 2000, n. 403, recante "Approvazione del nuovo regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, concernente disciplina della riproduzione animale", promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento, notificato il 9 marzo 2001, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 10 del registro conflitti 2001.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 aprile 2004 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso del 6 marzo 2000, ritualmente notificato e depositato, la Provincia autonoma di Trento solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro della sanità, 19 luglio 2000, n. 403, recante "Approvazione del nuovo regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, concernente disciplina della riproduzione animale", deducendone il contrasto con gli artt. 8, numero 21, 9, numero 10, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione, con l’articolo 136 della Costituzione e con il principio di certezza normativa, con l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) nonché, più in generale, con i principî e le regole costituzionali in materia di rapporti tra regolamenti statali ed attribuzioni provinciali.

Il regolamento impugnato - che sostituisce il decreto ministeriale 13 gennaio 1994, n. 172 (Regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, recante "Disciplina della riproduzione animale"), primo decreto di attuazione della legge quadro - contiene disposizioni concernenti le stazioni di monta, l’inseminazione artificiale equina, i centri di produzione dello sperma, l’impianto embrionale, la vigilanza e le certificazioni relative agli atti riproduttivi.

La Provincia assume che l’art. 1, comma 2, del decreto, disponendo che l’espressione "Regioni" debba intendersi come comprensiva anche delle Province autonome di Trento e di Bolzano quali destinatarie delle disposizioni in esso contenute, ed in particolare dell’obbligo di adeguamento alla disciplina posta dal medesimo decreto, previsto dal successivo art. 41, porrebbe in essere una illegittima invasione delle competenze legislative ed amministrative ad essa spettanti in base allo statuto, alle norme di attuazione di quest’ultimo ed alla legge provinciale 28 dicembre 1984, n. 16 (Disciplina della produzione animale e modifiche di leggi provinciali in materia di agricoltura).

Ai sensi degli artt. 8, numero 21, e 9, numero 10, dello statuto speciale, le Province autonome di Trento e di Bolzano sono dotate di potestà legislativa primaria nelle materie dell’agricoltura e patrimonio zootecnico, e di potestà legislativa concorrente nella materia dell’igiene e sanità. In dette materie le Province sono poi dotate delle correlate potestà amministrative, in virtù dell’art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e delle norme di attuazione di cui al d.P.R. 31 agosto 1974, n. 279, il cui art. 9 dispone che "con legge provinciale sarà disciplinato il controllo della produzione e del commercio di sementi e di altro materiale di moltiplicazione".

In attuazione di tale previsione, la Provincia autonoma di Trento, con la legge 28 dicembre 1984 n. 16, prima citata, riferisce di aver organicamente ed esaustivamente disciplinato il settore della riproduzione animale.

Anche il Capo VII del decreto, relativo all’importazione ed all’esportazione del bestiame e del materiale da riproduzione, lederebbe le competenze provinciali, posto che la disciplina ivi dettata rientra tra le funzioni amministrative delegate con d.P.R. n. 279 del 1974 ed in relazione alle quali sussiste, in base al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ed alla legge 15 marzo 1997, n. 59, un potere di adottare norme di attuazione analoghe a quelle del decreto impugnato.

Si deduce anche la violazione dell’art. 136 Cost., giacché con la sentenza n. 349 del 1991 di questa Corte si è statuito che la disposizione dell’art. 8 della legge quadro del 1991, relativa al potere regolamentare del quale il decreto impugnato costituisce espressione, "limitandosi a conferire all’organo ministeriale una potestà normativa di rango secondario […] non appare di per sé idonea a produrre effetti lesivi nei confronti di una competenza, quale quella in tema di patrimonio zootecnico, spettante alle Province ricorrenti, suscettibile di esprimersi attraverso la posizione di norme che, per la loro stessa natura primaria, sono comunque destinate nel settore in esame a risultare prevalenti".

La Provincia denuncia altresì la illegittimità del decreto, ove lo si intenda direttamente applicabile nel proprio territorio, per violazione degli artt. 8, numero 21, 9, numero 10, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, dei principî costituzionali in materia di rapporti tra regolamenti statali e potestà provinciali e del principio di certezza normativa. Né il decreto ministeriale potrebbe essere ricondotto all’esercizio della funzione stratale di indirizzo e coordinamento, giacché tale funzione rientra soltanto nella competenza governativa e non in quella di singoli ministri.

2. ¾ Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità o comunque l’infondatezza del ricorso.

Quanto all’inammissibilità, la difesa erariale sostiene che nel ricorso non si specifica quali disposizioni del regolamento, di contenuto innovativo rispetto a quelle del regolamento precedente, contrastino con la legislazione provinciale in materia, sicché la relativa censura risulterebbe viziata da astrattezza ed indeterminatezza.

Un ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe poi dall’inidoneità del regolamento a produrre effetti lesivi, come si desumerebbe da quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 349 del 1991. Tale decisione – secondo l’Avvocatura - avrebbe infatti riconosciuto alla legge in questione natura attuativa di direttive comunitarie, in grado, come tale, di fungere da limite nei confronti delle competenze regionali e provinciali esclusive.

Nel merito, si contesta che il decreto impugnato sia affetto da vizi formali, ove lo stesso si intendesse quale espressione della funzione di indirizzo e coordinamento, rilevandosi che la sua natura interministeriale e non – come affermato dalla ricorrente - governativa, costituisce attuazione di quanto disposto dalla legge n. 30 del 1991. Inoltre, argomenta ancora la difesa erariale, quest’ultima legge, nel disciplinare la procedura per l’adozione del regolamento, ha previsto la previa consultazione della Conferenza Stato-Regioni e Province autonome.

L’Avvocatura dello Stato sostiene, infine, che l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, nel prevedere l’obbligo di adeguamento della legislazione regionale ai principî e norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, non escluderebbe in radice un obbligo di adeguamento più ampio.

3. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Provincia autonoma di Trento contesta la fondatezza delle eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura. Si sostiene che la sostanza delle censure risiede nella pretesa del regolamento di porre un vincolo a carico della potestà legislativa provinciale e si osserva che ciò che rileva è la natura innovativa del regolamento nella sua qualità di fonte normativa. Si assume poi che la difesa erariale ha omesso di indicare a quali norme comunitarie il regolamento darebbe attuazione. Infine, si sostiene che il regolamento impugnato sarebbe comunque lesivo, se non altro per motivi connessi alla certezza normativa, delle attribuzioni provinciali.

4. Anche l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria in prossimità dell’udienza, insistendo nelle eccezioni di inammissibilità già formulate e rilevando, nel merito, che l’uniformità della disciplina relativa alla tenuta delle certificazioni genealogiche degli animali è principio fondamentale della legislazione statale.

Considerato in diritto

1. Con ricorso notificato e ritualmente depositato, la Provincia autonoma di Trento ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 19 luglio 2000, n. 403, recante "Approvazione del nuovo regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, concernente disciplina della riproduzione animale".

Il decreto ministeriale – succedendo al decreto ministeriale 13 gennaio 1994, n. 172 (Regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, recante: "Disciplina della riproduzione animale"), che conteneva la prima attuazione della legge quadro sulla riproduzione animale - detta la disciplina relativa alle attività connesse alla riproduzione animale (stazioni di monta naturale pubblica e di inseminazione artificiale equina; centri di produzione dello sperma; impianto embrionale). Esso stabilisce, all’art. 41, comma 1, che le Regioni provvedono, entro sei mesi dalla sua emanazione, all’eventuale adeguamento della propria normativa in materia.

In relazione al vincolo di adeguamento posto dal citato art. 41, nonché, in genere, a tutte le disposizioni del decreto che prevedono attuazione da parte di Regioni e Province autonome, la ricorrente deduce la violazione della propria potestà legislativa primaria nelle materie dell’agricoltura e del patrimonio zootecnico, nonché di quella concorrente in materia di igiene e sanità (rispettivamente, artt. 8, numero 21, e 9, numero 10, dello statuto speciale). Viene altresì dedotta la violazione dell’art. 136 della Costituzione, in riferimento alla sentenza n. 349 del 1991, con la quale questa Corte ha stabilito che l’esercizio della potestà regolamentare, attribuita allo Stato dall’art. 8 della legge n. 30 del 1991, è inidoneo a ledere la competenza legislativa provinciale in materia di patrimonio zootecnico, prevalendo questa, in virtù del suo rango primario, sulle norme regolamentari.

Con ulteriore motivo di censura la Provincia autonoma assume che le norme del regolamento impugnato, ove ritenute immediatamente applicabili nel proprio territorio, violino le proprie competenze legislative, le norme statutarie concernenti i rapporti tra regolamenti statali e potestà provinciali, nonché il principio di certezza normativa.

2. Non possono trovare accoglimento le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa erariale. È infondato il rilievo di genericità ed astrattezza delle censure per mancata indicazione delle norme del regolamento statale che si assumono in contrasto con la legge provinciale in materia. Le doglianze provinciali hanno ad oggetto, più che il contrasto puntuale tra il contenuto delle diverse fonti, la pretesa del regolamento statale di vincolare l’esercizio della potestà legislativa provinciale o di sostituirsi a questa.

Per le stesse ragioni è infondata l’eccezione di inammissibilità basata sulla inidoneità lesiva delle norme regolamentari, per la loro impossibilità di agire a livello primario. Poiché la materia è disciplinata da una legge provinciale, il solo fatto che il regolamento sia destinato ad operare nell’ambito della Provincia autonoma denota l’intendimento di lasciar concorrere, eventualmente confliggendo tra loro, norme regolamentari e norme provenienti da una fonte provinciale. Della lesività dell’atto statale non si può dunque dubitare.

Priva di pregio è altresì l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata sul rilievo che le norme dell’attuale regolamento sono in parte ripetitive di quelle contenute nel previgente decreto ministeriale 13 gennaio 1994, n. 172. L’errore della Provincia ricorrente consisterebbe, nella prospettazione della difesa erariale, nel non aver indicato quale delle norme impugnate avesse carattere innovativo e quale, invece, fosse mera riproduzione di norme regolamentari preesistenti. Ma questa Corte ha più volte affermato che di tardività del ricorso può parlarsi solo quando la lesione dedotta sia riconducibile ad un atto preesistente non tempestivamente impugnato (sentenze n. 215 e 181 del 1999). Ebbene, nella specie, l’atto impugnato non è meramente riproduttivo di quello previgente. La comparazione tra i due atti consente infatti di apprezzare le molteplici differenze di contenuto normativo. L’atto impugnato reca, tra l’altro, un capo secondo contenente la disciplina, interamente nuova, della inseminazione artificiale equina pubblica, nonché un capo sesto, espressamente impugnato, che pone norme attuative della direttiva CEE in materia di commercio con Paesi terzi di animali riproduttori, intervenuta successivamente al primo regolamento di attuazione della legge statale.

3. Venendo al merito, va innanzitutto chiarito che, secondo la giurisprudenza costituzionale (per tutte, si veda la sentenza n. 302 del 2003), la fattispecie dedotta resta inserita nel quadro normativo vigente al tempo in cui l’atto è stato adottato. Poiché il decreto ministeriale reca la data 19 luglio 2000 – ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 8 gennaio 2001 – è priva di rilevanza, ai fini del presente scrutinio, la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, successivamente introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

3.1. Il ricorso è fondato.

È opportuno far precedere l’esame delle singole censure da una breve illustrazione della disciplina della riproduzione animale. Le numerose direttive comunitarie in materia (direttiva CEE 77/04 del 25 luglio 1977; direttiva CEE 87/328 del 18 giugno 1987; direttiva CEE 88/661 del 19 dicembre 1988; direttiva CEE 89/361 del 30 maggio 1989; direttiva CEE 90/427 del 26 giugno 1990; direttiva CE 94/28 del 23 giugno 1994) si fondano sull’art. 37 (ex 43) del Trattato istitutivo delle Comunità europee e si propongono di creare le condizioni per lo sviluppo del mercato agricolo attraverso la liberalizzazione degli scambi degli animali da allevamento e riproduzione e del materiale riproduttivo, dettando altresì misure volte a preservarne il patrimonio genetico per accrescerne il valore. Il vincolo di armonizzazione delle normative statali che esse determinano ha l’obiettivo di eliminare le disparità nelle normative dei vari Paesi, con riguardo alle certificazioni zootecniche in materia di appartenenza genealogica e qualità genetica degli animali da allevamento, nonché di riproduzione degli animali. Le citate direttive comunitarie pongono una serie di principî che vincolano gli Stati nella disciplina dell’istituzione ed iscrizione nei libri genealogici, dell’ammissione degli animali alla riproduzione, dell’impiego di materiale da riproduzione, dei metodi per il controllo delle prestazioni e del valore genetico degli animali.

La legge 15 gennaio 1991, n. 30, ha attuato le predette direttive demandando ad un apposito regolamento di esecuzione una più dettagliata disciplina e stabilendo che essa debba specificamente riguardare l’istituzione e l’esercizio delle stazioni di monta naturale e degli impianti per l’inseminazione artificiale, nonché i requisiti sanitari che devono possedere i riproduttori per essere ammessi ad operare nelle stesse stazioni ed impianti (art. 8, lettera a); i requisiti sanitari per il prelievo, la conservazione, l’impiego e la distribuzione del materiale di riproduzione e di ovuli ed embrioni (lettera b); la certificazione degli interventi fecondativi e la raccolta-elaborazione dei dati riguardanti la riproduzione animale (lettera c); i requisiti e i controlli tecnico-sanitari per l’importazione ed esportazione dei riproduttori, del relativo materiale di riproduzione, nonché di ovuli ed embrioni (lettera d). La medesima legge, all’art. 1, comma 1, ha individuato i principî della legislazione statale riguardanti il settore della riproduzione animale ascrivibili alla materia di potestà concorrente dell’agricoltura, ed al comma 2 ha qualificato le disposizioni della legge, nei limiti in cui attuino la normativa comunitaria, come norme fondamentali di riforma economico-sociale idonee a costituire limite alla potestà legislativa delle autonomie speciali. Quest’ultima previsione è stata dichiarata illegittima dalla sentenza di questa Corte n. 349 del 1991, che ha negato che il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale potesse discendere dalla mera autoqualificazione.

L’art. 8 della legge n. 30 del 1991, concernente la potestà regolamentare in questione, non è stato toccato dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale. Ad esso è stato dato seguito dapprima con il d.m. 13 gennaio 1994, n. 172, ed ora con l’atto oggetto del presente conflitto, che ha disciplinato i molteplici aspetti della riproduzione animale: stazioni di monta (capi I e II), inseminazione artificiale (capi III e IV), certificazione degli interventi fecondativi (Capo V), vigilanza e controlli (Capo VI), importazione ed esportazione di bestiame da riproduzione (Capo VII).

3.2. Così sommariamente tratteggiate le premesse normative dell’attuale conflitto, va precisato che la disciplina in oggetto concerne ambiti che, alla luce dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, sono riconducibili ad una delle competenze esclusive delle Province autonome. Non vi è dubbio, infatti, che essa rientri nelle materie "agricoltura" e "patrimonio zootecnico" (art. 8, numero 21, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

In tali materie, l’attuazione delle direttive comunitarie spetta alle Province autonome, che sono però vincolate all’osservanza delle leggi statali che si interpongano fra la fonte comunitaria e quella provinciale (art. 7 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526). L’esistenza di questo vincolo è confermata dall’art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), che riconosce allo Stato il potere di assicurare l’adempimento degli obblighi comunitari, con disposizioni di carattere cedevole, applicabili solo nell’ipotesi in cui manchino leggi provinciali (successive o anteriori, come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 425 del 1999).

Nel caso presente, però, il regolamento impugnato non si proclama affatto cedevole di fronte alla futura legislazione provinciale, né intende supplire ad una mancanza di normazione di fonte primaria, e, inoltre, non è affatto esecutivo di una legge statale attuativa di direttive comunitarie, ma si pone esso medesimo come immediatamente attuativo della direttiva CE 28/94 del 23 giugno 1994, sopravvenuta sia alla legge statale n. 30 del 1991, sia al precedente regolamento esecutivo n. 172 del 1994.

È dunque da respingere la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo la quale nel presente conflitto la Corte non dovrebbe discostarsi da quanto affermato nella citata sentenza n. 349 del 1991, la quale aveva ritenuto non illegittima la previsione di un regolamento esecutivo sul rilievo che questo, per il suo rango secondario, era destinato a recedere di fronte al sopravveniente esercizio della potestà legislativa provinciale.

Nella fattispecie, tutto quanto appena osservato depone nel senso della lesione della competenza legislativa provinciale ad opera del decreto ministeriale impugnato.

Viene infatti in considerazione un regolamento che, lungi dall’attenersi al livello secondario che gli è proprio, si muove allo stesso livello delle fonti primarie provinciali. Inequivocabile in tal senso il tenore dell’art. 41, il quale impone alle Regioni (espressione nella quale, ai sensi dell’art. 1 del medesimo regolamento, sono da intendersi ricomprese anche le Province autonome di Trento e di Bolzano) di adeguare la propria normativa al medesimo regolamento entro sei mesi dalla sua emanazione.

La fonte secondaria pretende insomma di condizionare l’esercizio di una potestà legislativa provinciale ed è pertanto illegittimo.

4. La dichiarazione di illegittimità del regolamento non toglie, ovviamente, che permanga in capo alla Provincia di Trento l’obbligo di conformarsi, nell’esercizio della propria competenza legislativa, ai precetti posti dal diritto comunitario al fine di impedire quelle differenze normative in materia zootecnica che sono idonee ad alterare le condizioni di mercato su base territoriale, pregiudicandone la necessaria omogeneità.

5. L’identità della sfera di attribuzioni costituzionali della Provincia ricorrente e della Provincia autonoma di Bolzano rende necessario estendere a quest’ultima gli effetti della pronuncia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato disciplinare, con il decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 19 luglio 2000, n. 403 recante "Approvazione del nuovo regolamento di esecuzione della legge 15 gennaio 1991, n. 30, concernente disciplina della riproduzione animale", la materia della riproduzione animale nelle Province autonome di Trento e di Bolzano;

annulla, per quanto di ragione, il predetto decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 19 luglio 2000, n. 403.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2004.