Ordinanza n. 225 del 2004

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ORDINANZA N. 225

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY      Presidente

- Valerio                        ONIDA                      Giudice

- Guido                         NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI             "

- Annibale                     MARINI                    "

- Franco                        BILE                          "

- Giovanni Maria          FLICK                       "

- Francesco                   AMIRANTE              "         

- Ugo                            DE SIERVO              "

- Romano                      VACCARELLA        "

- Paolo                          MADDALENA         "

- Alfonso                      QUARANTA            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Marco Boato nei confronti del dott. Guido Salvini, promosso dalla Corte d’appello di Milano, seconda sezione civile, con ricorso depositato il 26 febbraio 2003 ed iscritto al n. 238 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2004 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile promosso da Guido Salvini, magistrato in Milano – per ottenere il risarcimento dei danni, asseritamente subiti in conseguenza di dichiarazioni rese in qualità di teste dal parlamentare Marco Boato, il 23 febbraio 1990, nel processo dinanzi alla Corte d’assise a carico di Adriano Sofri ed altri, imputati dell’omicidio Calabresi, e ribadite nel corso di un dibattito e di successive interviste alla stampa – la Corte d’appello di Milano, seconda sezione civile, con ricorso depositato presso la cancelleria di questa Corte il 26 febbraio 2003, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato avverso la delibera del 31 gennaio 2001, con la quale il Senato della Repubblica ha dichiarato a maggioranza assoluta che i fatti oggetto del processo civile concernono opinioni espresse dal parlamentare Boato nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che la Corte d’appello ricorrente osserva che la ritenuta insindacabilità da parte del giudice ordinario dei fatti oggetto del procedimento civile muove dalla premessa, svolta dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, secondo la quale – essendo "estremamente riduttivo collegare e limitare la tutela dell’insindacabilità di un parlamentare ad una stretta connessione e pertinenza rispetto alle dichiarazioni da lui rese nell’esercizio dell’attività parlamentare formalmente intesa" – "la vicenda che ha interessato l’on. Boato travalica il fatto in sé per assumere il rilievo di una denuncia dei mali della giustizia, di deprecabili comportamenti di magistrati di cui, quello in esame, non è purtroppo l’unico ma uno dei tanti che negli ultimi anni, con frequente ricorrenza, hanno violentemente caratterizzato e condizionato l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese, ed è significativo episodio che rivela, in particolare, le distorsioni delle regole processuali nell’uso (e nell’abuso!) dei collaboratori di giustizia"; e, pertanto, non potrebbe dubitarsi del "significato di critica politica" dell’episodio stigmatizzato "collegata alla funzione parlamentare del Boato";

che viceversa, secondo la ricorrente, "il taglio dato all’argomento nella richiamata delibera stride insanabilmente" con i principi affermati in ripetute pronunce di questa Corte, secondo cui la garanzia prevista dal citato art. 68, primo comma, Cost. in tanto si applica alle dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia, in quanto sussista una sostanziale corrispondenza di significato con opinioni già espresse, o contestualmente espresse, nell’esercizio di funzioni parlamentari tipiche, non essendo sufficiente a tal uopo la semplice comunanza di argomenti, né, tanto meno, la semplice riconducibilità ad un medesimo contesto politico;

che la ricorrente – premesso che le dichiarazioni rese dal parlamentare Boato, nel richiamato procedimento penale a carico di Adriano Sofri ed altri, non possono considerarsi quale divulgazione all’esterno di opinioni già espresse dal parlamentare in sede strettamente politica, bensì rappresentano specifica accusa al dott. Salvini di aver tentato, "fuori da ogni verbale" di strumentalizzare uno o più pentiti onde estorcere loro il nome del parlamentare medesimo come mandante dell’omicidio Calabresi – sottolinea l’estraneità delle dichiarazioni rese rispetto all’ambito delle attività parlamentari o politiche, resa evidente sia dalla circostanza che la fonte della notizia non risulta in alcun modo collegata allo svolgimento di attività parlamentari; sia dal rilevante lasso cronologico intercorso tra l’acquisizione della notizia (nel 1986) e la sua divulgazione (nel 1990); sia, precipuamente, dalla sede prescelta per la divulgazione stessa (processo penale di scottante attualità, dove il Boato è stato sentito in qualità di teste, vincolato quindi all’obbligo di dire la verità, dovendosi invece astenere dall’esprimere opinioni);

che, in conclusione, l’autorità giudiziaria ricorrente chiede che questa Corte: a) "dichiari che non competeva al Senato della Repubblica la valutazione della condotta attribuita all’on. Marco Boato, in quanto estranea, in tutto o in parte, alla previsione normativa dell’art. 68, primo comma, della Costituzione"; b) "annulli la relativa deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 31 gennaio 2001".

Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a deliberare preliminarmente, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, in riferimento ai requisiti soggettivi e oggettivi indicati nel primo comma dello stesso art. 37;

che, sotto l’aspetto soggettivo, la Corte d’appello ricorrente è legittimata a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, quale organo competente a dichiarare definitivamente – nel procedimento civile del quale essa è investita – la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell’esercizio di funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita (v., tra le tante e da ultimo, ordinanze n. 252, n. 282 e n. 283 del 2003);

che anche il Senato della Repubblica – che ha adottato la deliberazione di insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare Boato quando rivestiva la qualità di senatore (v. sentenza n. 252 del 1999) – è legittimato ad essere parte del conflitto costituzionale, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che esso impersona, in relazione all’applicabilità della prerogativa dell’insindacabilità (v. ordinanza n. 272 del 2003);

che, sotto l’aspetto oggettivo del conflitto, la Corte d’appello di Milano lamenta la lesione delle proprie attribuzioni, costituzionalmente garantite, in conseguenza dell’adozione, da parte del Senato della Repubblica, di una deliberazione che ha affermato – in modo da essa ritenuto arbitrario, perché non corrispondente ai criteri stabiliti dalla Costituzione – l’insindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che, pertanto, esiste la materia di un conflitto costituzionale di attribuzione, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte, restando impregiudicata ogni decisione definitiva anche in ordine all’ammissibilità del ricorso.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, a norma dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Corte d’appello di Milano, seconda sezione civile, nei confronti del Senato della Repubblica, con l’atto indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla Corte d’appello di Milano, seconda sezione civile, ricorrente;

b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2004.