Ordinanza n. 214 del 2004

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ORDINANZA N.214

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Gustavo                     ZAGREBELSKY      Presidente

-  Valerio                       ONIDA                        Giudice

-  Carlo                          MEZZANOTTE                “

-  Fernanda                   CONTRI                            “

-  Guido                        NEPPI MODONA            “

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                     “

-  Annibale                    MARINI                            “

-  Franco                       BILE                                  “

-  Giovanni Maria         FLICK                                 “

-  Francesco                  AMIRANTE                      “

-  Ugo                           DE SIERVO                      “

-  Romano                     VACCARELLA                “

-  Paolo                         MADDALENA                 “

-  Alfio                          FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                     QUARANTA                    “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e del combinato disposto degli artt. 69, comma 7, e 72, comma 1, lettera bb), dello stesso decreto legislativo, nonché dell’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promossi con ordinanze del 21 novembre 2002 e del 23 gennaio 2003 della Corte di appello di Catanzaro e del 24 gennaio 2003 del Tribunale ordinario di Napoli, rispettivamente iscritte ai numeri 22, 157 e 591 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 5, 14 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2003.

  Visti gli atti di costituzione della Regione Calabria e di Marenghi Maria Luisa e altre, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2004 e nella camera di consiglio del 26 maggio 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello, promosso dalla Regione Calabria nei confronti di tre dipendenti, avverso la sentenza del Tribunale ordinario di Catanzaro, in funzione di giudice del lavoro (n. 1502 del 15 novembre 2000), con la quale erano state accolte le domande delle appellate, tendenti ad ottenere il riconoscimento del diritto all’inquadramento in una qualifica superiore e alle conseguenti differenze retributive, la Corte di appello di Catanzaro, con ordinanza in data 23 gennaio 2003 (R.O. 157/2003), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 76, 77 e 3 della Costituzione, dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui, modificando l’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), attribuisce al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie riguardanti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, che non siano state proposte davanti al giudice amministrativo nel termine del 15 settembre 2000;

  che, in punto di fatto, la Corte rimettente riferisce che le domande erano state proposte con ricorsi depositati in data 4 giugno 1999 (anteriore, dunque, al termine del 15 settembre 2000) e che il giudice di primo grado aveva respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla convenuta Regione (e dalla stessa riproposta con l’atto di appello), ritenendo che la lesione del diritto delle ricorrenti era riconducibile a una deliberazione della Giunta regionale adottata in data posteriore al 30 giugno 1998 e che le pretese erano state limitate al periodo successivo alla medesima data;

  che, ad avviso della Corte, avendo le ricorrenti chiesto il riconoscimento del diritto all’inquadramento nel livello superiore e la condanna alle conseguenti differenze retributive con decorrenza da date anteriori al 30 giugno 1998, sussisteva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 (vigente al tempo di presentazione dei ricorsi), in quanto la giurisdizione deve essere individuata in relazione al petitum sostanziale con riferimento al momento della proposizione della domanda, a nulla rilevando successive limitazioni, per giunta operate ex officio;

  che, tuttavia, osserva ancora la Corte rimettente, nel corso del giudizio è stato emanato – su delega conferita con la legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999) – il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il quale, all’art. 69, comma 7, stabilisce: «Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;

  che tale disposizione – ad avviso del giudice a quo – deve essere intesa nel senso, profondamente innovativo rispetto al previgente art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, che i diritti dei pubblici dipendenti, che non sono stati fatti valere dinanzi al giudice amministrativo nel termine di decadenza del 15 settembre 2000, possono ancora essere azionati dinanzi al giudice ordinario dopo tale data;

  che, pertanto, essendo sopravvenuta, per la controversia de qua, la giurisdizione dell’adito giudice ordinario, la Corte rimettente afferma che, allo stato, sarebbe impossibile riformare la impugnata sentenza, che aveva, erroneamente (in riferimento alla norma dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, vigente al momento della domanda), dichiarato la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, «senza violare il principio della perpetuatio iurisdictionis e di economia processuale»;

  che il giudice a quo, tuttavia, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, ravvisando, innanzitutto, un vizio di eccesso di delega legislativa in relazione alla legge di delegazione n. 340 del 2000, la quale (art. 1, comma 8) consentiva al Governo di «emanare un testo unico per il riordino delle norme, diverse da quelle del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, secondo quanto disposto dall’articolo 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, apportando le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni», e pertanto conferiva all’esecutivo non già veri e propri poteri normativi, bensì meramente compilativi e di «coordinamento delle diverse disposizioni»;

  che, in tal modo, sono stati travalicati i limiti della delega, sicché la norma delegata risulta illegittima per violazione degli artt. 76 e 77 Cost.;

  che, secondo la Corte rimettente, la norma denunciata sarebbe in contrasto anche con l’art. 3 Cost., in quanto, da un lato, essa irragionevolmente consente che posizioni sostanziali identiche possano essere sottoposte alla cognizione di organi giurisdizionali diversi, operanti con moduli processuali non completamente sovrapponibili e con differenti forme di tutela, a seconda del momento in cui l’azione venga proposta, ed in quanto, dall’altro lato, irragionevolmente consente «la rinascita postuma» di un eventuale diritto soggettivo, già estinto per effetto di una decadenza sostanziale (quale, appunto, quella comminata dall’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998), solo a condizione che del diritto stesso non sia stata chiesta tempestiva tutela (nel termine decadenziale del 15 settembre 2000), mentre chi abbia proposto l’azione (dinanzi al giudice amministrativo) dopo il decorso del termine di decadenza, ma prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001, si potrebbe trovare di fronte a una decisione con forza di giudicato che dichiari estinto il proprio diritto per effetto della decadenza;

  che si è ritualmente costituita l’appellante Regione Calabria, eccependo, innanzitutto, la inammissibilità della questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto prospettata in via ipotetica o perplessa;

  che, nel merito, essa osserva che in giurisprudenza, anche delle sezioni unite della Corte di cassazione, si è affermata un’opzione ermeneutica divergente da quella adottata dalla Corte rimettente, secondo la quale l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 non ha sostanzialmente innovato l’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, ma ne ha riprodotto il contenuto normativo, sia pure con diversa formulazione, sicché non ha determinato il trasferimento alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie, già devolute al giudice amministrativo, non proposte nel termine del 15 settembre 2000;

  che, pertanto, sarebbero infondati i dubbi di costituzionalità sollevati in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost.;

  che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, in quanto, da un lato, la legge di delega n. 340 del 2000 non si è limitata a demandare all’esecutivo compiti meramente compilativi e ricognitivi, ma ha conferito ad esso piena potestà normativa (in particolare, un potere correttivo-modificativo non solo formale, bensì anche sostanziale) e, dall’altro lato, l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 non ha apportato alcuna modifica sostanziale al disposto dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, dovendosi entrambe le disposizioni interpretare nel senso che il termine del 15 settembre 2000 non costituisce un termine di decadenza sostanziale, ma il limite temporale della giurisdizione del giudice amministrativo, oltre il quale le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 sono devolute al giudice ordinario;

  che non sussisterebbe la sospettata violazione dei principi di cui all’art. 3 Cost., perché, da un lato, rientra nella discrezionalità del legislatore la definizione del riparto fra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella del giudice ordinario, e del relativo momento discriminante, e, dall’altro lato, non prevedendo né l’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, né l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 alcuna decadenza sostanziale, non è configurabile alcuna disparità di trattamento, collegabile all’eventualità di un giudicato che sanzioni la tardiva proposizione dell’azione;

  che, in prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Calabria e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie;

  che la Regione Calabria ha ribadito, in ordine alla censura di eccesso di delega, che l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 è norma di mero recepimento, in punto di riparto di giurisdizione, della disciplina introdotta dalla legge di delegazione 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), la quale, all’art. 2, si è limitata a stabilire che l’attribuzione al giudice ordinario delle controversie in materia di rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni doveva essere disposta «comunque non prima della fase transitoria», con ciò rimettendo alla discrezionalità del legislatore delegato la determinazione dei tempi e delle modalità del trasferimento delle anzidette controversie alla giurisdizione ordinaria;

  che nello stesso senso va interpretato – ad avviso della parte – l’art. 11, comma 4, della legge n. 59 del 1997, il quale, nel conferire la delega, in forza della quale è stato emanato il d.lgs. n. 80 del 1998, ha indicato la data del 30 giugno 1998, entro la quale dovevano essere devolute al giudice ordinario le medesime controversie, ma ha previsto, altresì, l’adozione di «misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso», così lasciando al legislatore delegato un ulteriore margine di discrezionalità;

  che la diversa formulazione dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 (rispetto all’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998) costituisce – senza travalicare i limiti della delega – una mera variazione letterale, dovuta non a una diversa ratio della norma, bensì soltanto alla circostanza che, al momento dell’emanazione della legge delegata, la data del 15 settembre 2000, presa in considerazione, era già stata superata;           che, quanto alla sospettata violazione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo è incorso in errore nell’interpretare la norma denunciata, la quale non consente affatto «la rinascita postuma di un eventuale diritto soggettivo travolto da una decadenza sostanziale», ma conferma sia il riparto di giurisdizione attuato dall’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 sia la decadenza comminata dalla stessa norma;

  che l’Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, a sua volta, nel prendere atto dell’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità riguardo all’art. 69, comma 17, del d.lgs. n. 165 del 2001, afferma che esso non conduce a conclusioni diverse da quelle formulate nell’atto di intervento, dal momento che esso, da un lato, esclude in radice qualsivoglia dubbio di illegittimità costituzionale della norma per eccesso di delega, così come, dall’altro, esclude ogni violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della ingiustificata differenziazione delle forme di tutela;

  che, nel corso di un distinto giudizio di appello, promosso da alcuni dipendenti dell’Azienda sanitaria locale (ASL) n. 1 di Paola nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro, avverso le sentenze del Tribunale ordinario di Paola, in funzione di giudice del lavoro (n. 16 e n. 17 del 19 gennaio 2000), con le quali il giudice adito aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, la stessa Corte di appello di Catanzaro, con ordinanza in data 21 novembre 2002 (R.O. 22/2003), ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76, 77 e 3 Cost., dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, precisando, in punto di fatto, che gli appellanti, con ricorsi depositati nell’anno 1997, avevano chiesto e ottenuto dal Pretore di Paola decreti ingiuntivi, con i quali la ASL datrice di lavoro era stata condannata a pagare somme loro dovute per lavoro straordinario prestato fino al 1994 e che, a seguito dell’opposizione proposta dall’ingiunta, il Tribunale aveva emesso le impugnate sentenze declinatorie della giurisdizione; aggiunge la Corte rimettente che, poiché la controversia attiene a pretese retributive maturate in epoca anteriore al 30 giugno 1998, ai sensi dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 (vigente al tempo di presentazione dei ricorsi) il giudice del lavoro di Paola difettava di giurisdizione al momento della instaurazione della lite, e i ricorrenti avrebbero dovuto adire il competente Tribunale amministrativo regionale, nel termine di decadenza del 15 settembre 2000;

  che, essendo stato emanato nel corso del giudizio il citato d.lgs. n. 165 del 2001 e, in particolare, l’art. 69, comma 7, la Corte rimettente afferma che, in base alla sopra riferita interpretazione di tale norma, sarebbe impossibile confermare le impugnate sentenze, che avevano correttamente (in riferimento all’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, previgente) dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, «senza violare il principio della perpetuatio iurisdictionis e di economia processuale»;

  che il giudice a quo, pertanto, sulla base di argomentazioni in tutto analoghe a quelle contenute nell’ordinanza sopra riferita, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001;

  che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata per le medesime ragioni addotte con riguardo alla identica questione di costituzionalità di cui sopra;

  che nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, promosso dalla Regione Campania nei confronti di un suo dipendente, il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 24 gennaio 2003 (R.O. 591/2003), ha sollevato:

a) questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76 e 111 Cost., del combinato disposto degli artt. 69, comma 7, e 72, comma 1, lettera bb), del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui, innovando la precedente disciplina transitoria dettata dall’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie riguardanti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, che non siano state proposte davanti al giudice amministrativo nel termine del 15 settembre 2000;

b) subordinatamente all’accoglimento della questione sub a), questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76, 3 e 24 Cost., dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui, riguardo alle controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, impone il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la tutela giurisdizionale;

c) «subordinatamente al rigetto o alla inammissibilità delle questioni sub b)», questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76, 3 e 24 Cost., dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui, riguardo alle controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, impone il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la tutela giurisdizionale;

  che, in punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che la controversia, portata al suo esame, attiene a crediti retributivi di un pubblico dipendente maturati nel periodo 1988-1995, spettante, a norma dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; controversia che avrebbe dovuto essere proposta, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000;

  che la decorrenza di tale termine comportava una decadenza non meramente processuale, ma di natura sostanziale, in quanto le situazioni giuridiche soggettive dei pubblici dipendenti, non tempestivamente azionate davanti al giudice amministrativo, rimanevano sfornite di qualunque tutela giurisdizionale;

  che, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001 – emanato su delega conferita con la legge n. 340 del 2000 – la disciplina transitoria dettata dal d.lgs. n. 80 del 1998 sarebbe stata innovata dal legislatore delegato, il quale ha espressamente disposto, all’art. 72, comma 1, lettera bb), del d.lgs. n. 165 del 2001, l’abrogazione dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, sostituendolo con il nuovo art. 69, comma 7, dello stesso d.lgs. n. 165 del 2001;

  che, ad avviso del giudice rimettente, poiché tale disposizione dovrebbe intendersi nel senso che il termine del 15 settembre 2000 costituisce il limite temporale della giurisdizione amministrativa, e non della tutela giurisdizionale, sarebbe dubbia la legittimità costituzionale della nuova disciplina transitoria della giurisdizione in materia di lavoro pubblico, in quanto essa, proprio per la sua portata innovativa, non avrebbe rispettato i limiti posti al legislatore delegato dall’art. 1, comma 8, della legge n. 340 del 2000;

  che la normativa denunciata, oltre che per l’eccesso di delega, sarebbe viziata, in relazione all’art. 111 Cost., per il fatto che la devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, non proposte davanti al giudice amministrativo entro il 15 settembre 2000, «introduce un elevatissimo rischio di sovraccarico di contenzioso del giudice ordinario, con pregiudizio del giusto processo sotto il profilo della sua ragionevole durata»;

  che, secondo il giudice a quo, in caso di accoglimento della questione di costituzionalità di cui innanzi, si verificherebbe la “reviviscenza” della previgente disciplina dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 (in base al principio di cui alle sentenze n. 107 del 1974 e n. 108 del 1986), norma anch’essa sospetta di illegittimità costituzionale, in quanto detto decreto legislativo, emanato su delega conferita con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), abilitava l’esecutivo soltanto a «devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario … tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni … prevedendo: misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso», senza consentirgli di stabilire il termine del 15 settembre 2000 per adire il giudice amministrativo, e di prevedere, in tal modo, una decadenza con effetti sostanziali, privativa di ogni tutela giurisdizionale;

  che, in secondo luogo, la norma in esame sembra al giudice rimettente in contrasto con l’art. 3 Cost., sia perché essa, irrazionalmente, determina, in forza della imposta decadenza, l’anticipata estinzione di situazioni soggettive di vantaggio, per le quali non sia ancora maturato il termine di prescrizione, senza che tale effetto sia in alcun modo giustificato rispetto agli obiettivi di graduale trasferimento della giurisdizione; sia perché, essendo la decadenza rilevabile d’ufficio dal giudice, a differenza della prescrizione (art. 2938 del codice civile), l’assoggettamento alla prima comporta una diversità di disciplina della tutela giurisdizionale fra dipendenti pubblici e privati del tutto priva di giustificazione, ove si consideri la tendenziale equiparazione delle due categorie di dipendenti;

  che, in terzo luogo, il giudice a quo scorge una violazione dell’art. 24 Cost., giacché la prevista decadenza priverebbe di qualunque possibilità di tutela giurisdizionale situazioni giuridiche soggettive sostanziali di vantaggio, pur non essendo per esse decorso il termine di prescrizione;

  che, ad avviso del giudice rimettente, nell’ipotesi si ritenga impossibile la “reviviscenza” dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, in quanto definitivamente sostituito dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, ovvero abrogato dall’art. 72, comma 1, lettera bb), del medesimo d.lgs., le appena riferite censure di incostituzionalità andrebbero mosse al citato art. 69, comma 7, sicché dal testo di questo il rimettente chiede l’espunzione dell’inciso «solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;

  che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, avendo il giudice rimettente omesso di ricostruire i fatti di causa, non consentendo in particolare, di stabilire quando sia stata instaurata la controversia de qua;

  che, nel merito, le questioni sarebbero non fondate, in quanto ancorate ad una interpretazione delle norme censurate che non costituisce “diritto vivente”; quella sollevata in relazione all’art. 111 Cost. sarebbe basata su mere congetture; la censura relativa all’eccesso di delega non considererebbe non solo che al Governo è stato conferito non già un compito di mera compilazione e ricognizione, bensì un potere normativo modificativo-correttivo e, quindi, anche sostanziale, ma anche che il legislatore delegato, dettando l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, non ha apportato alcuna modifica sostanziale al disposto dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, essendosi limitato ad un intervento di carattere meramente interpretativo, volto a rendere esplicito il significato della disposizione, come pure è stato riconosciuto dalle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenze n. 9260 e n. 14216 del 2002).

  Considerato che i giudizi de quibus debbono essere riuniti in quanto le ordinanze di rimessione sollevano, relativamente alle medesime norme sospettate di incostituzionalità, questioni ora identiche ora analoghe;

  che, infatti, le due ordinanze della Corte di appello di Catanzaro dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, per aver questo, in violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, modificato sostanzialmente l’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, nonostante la delega, conferita al Governo con la legge 24 novembre 2000, n. 340, fosse limitata al «riordino delle norme» e al «migliore coordinamento delle diverse disposizioni», e per avere in tal modo – irragionevolmente e, quindi, in violazione dell’art. 3 Cost. – sottoposto a organi giurisdizionali diversi, operanti con diversi moduli processuali, situazioni soggettive identiche in base al momento di proposizione della domanda giudiziale e consentito, inoltre, la «rinascita postuma» di diritti soggettivi che, nonostante la decadenza comminata dal citato art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, non si estinguerebbero se la domanda sia stata proposta dopo l’entrata in vigore dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, a differenza dei diritti fatti valere davanti al Tribunale amministrativo regionale dopo il 15 settembre 2000, ma prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001;

  che l’ordinanza del Tribunale ordinario di Napoli (a) pone, per l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, la medesima questione (anche con riguardo all’art. 72, comma 1, lettera bb) quanto al travalicamento dei limiti della delega (art. 76 Cost.), rilevando, inoltre, che il sovraccarico di lavoro del giudice ordinario, così determinato, pregiudicherebbe il «giusto processo» di cui all’art. 111 Cost.; (b) solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale, ove venga accolta la prima questione, dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 (se “reviviscente” a seguito della pronuncia), sia per aver questo travalicato i limiti della delega, conferita al Governo con la legge 15 marzo 1997, n. 59, prevedendo una decadenza con effetti di diritto sostanziale, sia per avere, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., irrazionalmente disposto l’estinzione di diritti soggettivi in un tempo minore di quello prescrizionale e determinato una disparità irragionevole di trattamento dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati; (c) propone, infine, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 – per l’ipotesi si ritenga impossibile la “reviviscenza” dell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 – nella parte in cui, in violazione degli artt. 76, 3 e 24 Cost., impone il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la tutela giurisdizionale;

  che le questioni sollevate relativamente all’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 (da solo e in combinato disposto con l’art. 72, comma 1, lettera bb), del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001), per essere questa norma frutto di travalicamento dei limiti assegnati al Governo con la legge di delega n. 340 del 2000, muovono dal presupposto che la disciplina così introdotta diverga da quella di cui all’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, avendo trasformato quello del 15 settembre 2000 da termine previsto a pena di decadenza per l’esercizio del diritto di azione in termine che si limita a segnare il confine, relativamente a diritti scaturenti da fatti costitutivi anteriori al 30 giugno 1998, tra giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e giurisdizione ordinaria;

  che tale presupposto interpretativo – certamente non avallato da questa Corte con ordinanze (n. 183 e n. 184 del 2002; n. 144 del 2003) che hanno disposto la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, perché autonomamente valutassero la questione posta dal sopravvenire di una norma non avente «identica formulazione» della precedente – non solo appare erroneo, per la ragione che la diversa formulazione delle due norme si spiega agevolmente con la circostanza che la più antica (nel 1998) prevedeva una «futura» decadenza e la più recente (nel 2001) ne disciplina una già maturata al 15 settembre 2000, ma è anche contraddetto dal diritto vivente costituito da numerose pronunce delle sezioni unite della Corte di cassazione (e recepito dal Consiglio di Stato), univoche nel ritenere che quello del 15 settembre 2000 fosse ab origine, e sia rimasto in seguito, un termine di decadenza con effetti sostanziali;

  che, anche ove dubiti del rispetto dei limiti della delega, il giudice deve privilegiare, specie in presenza di un orientamento giurisprudenziale quale quello ricordato, l’interpretazione idonea a superare i dubbi di costituzionalità;

  che la manifesta infondatezza della questione appena esaminata, da un lato, rende prive di fondamento, per le stesse ragioni, quelle sollevate sul medesimo art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 dalla Corte di appello di Catanzaro, in relazione all’art. 3 Cost., e sul combinato disposto degli artt. 69, comma 7, e 72, comma 1, lettera bb), del citato decreto legislativo dal Tribunale ordinario di Napoli, in relazione all’art. 111 Cost., per l’«elevatissimo rischio di sovraccarico di contenzioso sul giudice ordinario», che deriverebbe dalla pretesa sussistenza della sua giurisdizione anche per le controversie relative al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, non azionate entro il 15 settembre 2000; e, dall’altro lato, assorbe la questione sollevata, sul presupposto dell’accoglimento della prima, dallo stesso Tribunale relativamente all’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998;

  che la questione sollevata, in via ulteriormente subordinata, dal Tribunale ordinario di Napoli con riguardo all’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui prevede – in violazione degli artt. 76, 3 e 24 Cost. – il termine di decadenza del 15 settembre 2000, è manifestamente inammissibile, dal momento che il giudice ordinario adito, come nella specie, per controversia relativa a periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, deve limitarsi a dichiarare il proprio difetto di giurisdizione e non è chiamato a fare applicazione della norma che attribuisce al (solo) giudice munito di giurisdizione il potere di dichiarare la decadenza e di emettere la relativa sentenza di merito.

  Visti gli artt. 26, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli con l’ordinanza in epigrafe;

  2) dichiara la manifesta infondatezza – assorbita ogni altra – delle questioni di legittimità costituzionale (a) dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sollevata, in riferimento agli artt. 76, 77 e 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Catanzaro, e (b) del combinato disposto degli artt. 69, comma 7, e 72, comma 1, lettera bb), del medesimo decreto legislativo, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il  5 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2004.