Sentenza n. 179 del 2004

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SENTENZA  N.179

ANNO 2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Gustavo         ZAGREBELSKY      Presidente     

-  Valerio           ONIDA                      Giudice

-  Carlo              MEZZANOTTE        "

-  Fernanda        CONTRI                    "

-  Guido            NEPPI MODONA    "

-  Piero Alberto CAPOTOSTI             "

-  Annibale        MARINI                    "

-  Franco            BILE                          "

-  Giovanni Maria FLICK                    "

-  Francesco       AMIRANTE              "

-  Ugo                DE SIERVO              "

-  Romano         VACCARELLA        "

-  Paolo              MADDALENA         "

-  Alfio              FINOCCHIARO       "

-  Alfonso          QUARANTA            "

ha pronunciato la seguente                        

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'Allegato E del d.P.C.m.11 maggio 2001, recante «Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ai sensi dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 5 giugno 1997, n. 143», nella parte in cui individua i beni dello Stato, siti nel Veneto, non trasferiti alla Regione, promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato l'8 agosto 2001, depositato in cancelleria il 14 successivo ed iscritto al n. 27 del registro conflitti 2001.

  Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 27 aprile 2004 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

  uditi gli avvocati Romano Morra e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1.- La Regione Veneto ha proposto – con ricorso notificato in data 8 agosto 2001 e depositato in data 14 agosto 2001 – conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione all'Allegato E del d.P.C.m. 11 maggio 2001, recante «Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ai sensi dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 giugno 2001, n. 134, supplemento ordinario), nella parte in cui non ha trasferito alla ricorrente taluni beni siti nel Veneto, mantenendoli in proprietà allo Stato.

    Il predetto atto lederebbe le attribuzioni costituzionali conferite alla Regione Veneto dagli artt. 117, primo comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione, «per il tramite di varie norme legislative interposte», tra cui gli artt. 66-78 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), nonché l'art. 1 del decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143 (Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale).

    1.1.- La ricorrente premette che gli artt. 117, primo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, attraverso le citate norme legislative interposte, hanno trasferito alla Regione Veneto un «elevatissimo numero di funzioni e compiti amministrativi» nelle materie dell'agricoltura e delle foreste, conservando allo Stato solo funzioni e compiti di rilievo nazionale. 

    Al fine di consentire l'esercizio di dette funzioni e compiti in modo effettivo, l'art. 1, terzo comma, numero 2, della legge 22 luglio 1975, n. 382 (Norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione), gli artt. 3, comma 1, lettera b), ultimo periodo, e 7, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), l'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 143 del 1997, nonché l'art. 7, comma 3, primo periodo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), hanno stabilito che lo Stato avrebbe dovuto trasferire alla Regione tutti i beni necessari per consentirle, appunto, l'esercizio di dette funzioni, mantenendo i soli beni strumentali all'esercizio delle funzioni e dei compiti conservati.

    1.2.- Detto trasferimento nelle materie dell'agricoltura e delle foreste è stato previsto, prosegue la ricorrente, dall'art. 4 del d.P.C.m. 11 maggio 2001, che ha conservato allo Stato i soli beni necessari per l'esercizio delle uniche funzioni, affidate al Corpo forestale dello Stato dalle leggi 6 dicembre 1991, n. 394  (Legge quadro sulle aree protette) e 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), di riduzione in pristino – a seguito di interventi vietati – in danno dei trasgressori, dei luoghi rientranti nelle aree naturali protette (art. 6, comma 6, della legge n. 394 del 1991), nonché di sorveglianza sui territori delle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale (art. 21, comma 2, della medesima legge).

    La Regione ritiene che, «in contraddizione logica manifesta con gli intenti dichiarati» nell'art. 4 del d.P.C.m. citato, lo Stato, con l'impugnato Allegato E del medesimo d.P.C.m., non avrebbe provveduto a trasferirle una notevole quantità di beni, ad esso non necessari per l'esercizio delle suddette funzioni affidate al Corpo forestale dello Stato.

    Detti beni sarebbero costituiti da: cinque Comandi stazione del coordinamento territoriale del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi; vaste aree agro-silvo-pastorali (boschi e pascoli); tredici immobili connessi alle predette aree agro-silvo-pastorali. Si tratta di beni che, secondo la ricorrente, atterrebbero «strutturalmente all'agricoltura e alle foreste» e in quanto tali sarebbero necessari per esercitare in modo effettivo le funzioni e i compiti spettanti alla ricorrente stessa nella suddetta materia.

    1.3.- Nell'ultima parte del ricorso la difesa della Regione Veneto, per dimostrare la fondatezza delle argomentazioni sostenute, afferma come, sul piano teorico, sia meritevole di condivisione la tesi secondo cui in tanto può dirsi che un soggetto è titolare di un potere in quanto ha la possibilità di esercitarlo. Ciò significa, continua la difesa regionale, che nel caso in esame la Regione Veneto «non avendo i beni necessari per potere esercitare le funzioni ed i compiti» ad essa spettanti nella materia in esame, «non ha la possibilità di esercitare tali funzioni e compiti e, dunque, si deve concludere che non abbia questi ultimi».

    1.4.- Sulla base delle riportate motivazioni la ricorrente chiede che questa Corte voglia: «1) dichiarare che lo Stato non ha la possibilità di mantenere ed ha l'obbligo di trasferire alla Regione Veneto i beni statali, siti nel Veneto, necessari alla Regione per poter esercitare le funzioni ed i compiti amministrativi ad essa trasferiti nelle materie dell'agricoltura e delle foreste; 2) annullare l'Allegato E del d.P.C.m. 11 maggio 2001, nella parte in cui ha individuato i beni dello Stato, siti nel Veneto, che sono mantenuti allo Stato e non trasferiti alla Regione del Veneto, ai fini di cui all'art. 4 del d.P.C.m. citato».

    2.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità ovvero per la infondatezza del conflitto.

    2.1.- La difesa erariale premette che il ricorso avrebbe semplicemente  trascritto il contenuto dell'impugnato Allegato E, senza operare alcuna distinzione tra i vari beni e quindi senza alcuna individuazione concreta di quelli che illegittimamente sarebbero stati inclusi nell'elenco; inoltre, non sarebbero neanche indicate le ragioni specifiche che, per ciascun bene, giustificherebbero l'erroneità della inclusione in elenco, limitandosi la ricorrente a ribadire in modo del tutto generico la loro necessità per l'esercizio delle funzioni trasferite e senza neanche fare riferimento al Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, di cui, in concreto, i beni indicati nell'Allegato E costituiscono parte.

    2.2.- In via preliminare, l'Avvocatura generale dello Stato  chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile sia per la sostanziale mancanza di una esposizione anche in punto di fatto sulla addotta «necessità» dei beni in questione; sia perché la controversia non avrebbe spessore costituzionale, trattandosi di una vindicatio rei che avrebbe dovuto essere proposta innanzi al giudice comune con riferimento a norme primarie non costituzionali; sia, infine, perché l'atto che ha dato origine  al conflitto ha recepito e confermato un «accordo» raggiunto il 22 aprile 1999 in seno alla Conferenza unificata ed una «intesa» raggiunta il 12 ottobre 2000 in seno alla Conferenza Stato-Regioni.

    L'inammissibilità del ricorso, aggiunge la difesa erariale, emergerebbe dalla stessa formulazione del ricorso, con cui la Regione non contesta la competenza dello Stato ad emanare l'atto (o parte di tale atto) occasione del conflitto, formulando conclusioni  («dichiarare che lo Stato … ha l'obbligo di trasferire alla Regione Veneto i beni» in questione) incongrue per un conflitto di attribuzione.

    2.3.- Nel merito, secondo l'Avvocatura, il ricorso non è fondato, non sussistendo la «necessità» dei beni in questione per l'esercizio delle funzioni attribuite alla Regione.

    3.- Con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica l'Avvocatura generale dello Stato ha ribadito che i beni in contestazione – rappresentati da cinque comandi stazione del coordinamento del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi e da altri immobili siti all'interno del Parco – sarebbero indispensabili al Corpo forestale per lo svolgimento dei compiti ad esso affidati. Ugualmente indispensabili sarebbero quelle aree incluse nel Parco, che nel ricorso vengono denominate, sottolinea la difesa erariale, «aree silvo-pastorali», in quanto si tratterebbe di terreni classificati (tra il 1954 ed il 1970) «riserve naturali dello Stato» mediante più decreti ministeriali, al fine di preservare gli eccezionali valori naturalistici, faunistici e, in genere, ambientali dei luoghi. In dette «riserve» sarebbero presenti specie animali e vegetali rare e protette, considerate meritevoli di particolare tutela ai sensi della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979 recepita in Italia con la legge 5 agosto 1981, n. 503, nonché della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici e della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatica.

    La gestione delle riserve naturali site in parchi nazionali è affidata – sottolinea, altresì, la difesa erariale – all'Ente parco, ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 394 del 1991, nonché ai sensi dell'art. 4, comma 5, della legge 6 febbraio 2004, n. 36 (Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato).

    La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, con l'intesa conseguita in data 12 ottobre 2000 ai sensi dell'art. 78, comma 2, del decreto legislativo n. 112 del 1998, ha, inoltre, incluso le otto riserve naturali delle Dolomiti bellunesi tra quelle che restano affidate alla gestione dello Stato (All. 4 dell'atto di intesa).

    In conclusione, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che sembrerebbe che oggetto della controversia sia non tanto una vindicatio rei di alcuni immobili, quanto addirittura la sopravvivenza del Parco come parco nazionale dopo che lo Stato ha affrontato oneri per la sua istituzione.

Considerato in diritto

    1.–– Il presente conflitto di attribuzione trae origine dall'impugnativa da parte della Regione Veneto dell'Allegato E del d.P.C.m. 11 maggio 2001 recante «Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ai sensi dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143». Detto provvedimento – emanato, come risulta dal preambolo, sulla base di un «accordo» raggiunto il 22 aprile 1999 in seno alla Conferenza unificata, nonché di una «intesa» conseguita il 12 ottobre 2000 in seno alla Conferenza Stato-Regioni – ha disposto il trasferimento in proprietà alle Regioni dal 1° gennaio 2002 di tutti i beni immobili statali «strumentali ed oggetto delle funzioni conferite alle Regioni» in materia di agricoltura e foreste ai sensi del decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143, recante «Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale» (art. 4, comma 1); lo stesso decreto ha, inoltre, stabilito che «al fine dell'attuazione delle leggi 6 dicembre 1991, n. 394, e 9 dicembre 1998, n. 426, rimangono in proprietà dello Stato i beni di cui all'Allegato E» (art. 4, comma 2). In conseguenza di quest'ultima previsione, il citato allegato – in modo sostanzialmente analogo per varie Regioni – ha disposto di non trasferire alla ricorrente taluni beni rappresentati da cinque «comandi stazione del coordinamento territoriale per l'ambiente del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi»; otto aree incluse nel suddetto Parco; nonché tredici «immobili connessi».

    La Regione Veneto ritiene che i suddetti beni – qualificati nel ricorso come «semplici aree agro-silvo-pastorali» e «immobili connessi a dette aree, quali edifici storici, malghe, ville e rifugi» – «atterrebbero strutturalmente» alla materia dell'agricoltura e delle foreste e non sarebbero, in quanto tali, necessari per l'esercizio delle funzioni, mantenute allo Stato, di sorveglianza e di riduzione in pristino «in danno dei trasgressori», dei «luoghi rientranti nelle aree naturali protette» ai sensi dell'art. 6 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette). Da qui l'asserita violazione degli artt. 117, primo comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione, «per il tramite di varie norme legislative interposte», tra cui gli artt. 66-78 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), nonché l'art. 1 del d.lgs. n. 143 del 1997.

    2.— Va premesso che il ricorso – essendo stato proposto prima dell'entrata in vigore della riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, recata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – deve essere deciso avendo riguardo ai parametri costituzionali all'epoca vigenti (sentenze n. 364, n. 39 e n. 13 del 2003).

    3.–– L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilità del ricorso adducendo, tra l'altro, che la controversia non avrebbe spessore costituzionale, risolvendosi in una mera vindicatio rei.

    L'eccezione merita accoglimento.

    3.1.–– Questa Corte, sin dalla sentenza n. 111 del 1976, con giurisprudenza costante (sentenze n. 95 del 2003, n. 213 del 2001, n. 309 del 1993, n. 223 del 1984), ha affermato che esula dalla materia dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, demandata alla propria competenza dall'art. 134 della Costituzione e dagli artt. 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la vindicatio rerum da parte di uno di tali enti nei confronti dell'altro. Ciò in quanto il conflitto di attribuzione ha per oggetto l'accertamento del rispetto di norme attributive di competenze di rango costituzionale e non anche la mera rivendicazione di beni o pretese di contenuto esclusivamente patrimoniale.

    Nella specie, dall'esame dei motivi del ricorso risulta che la ricorrente non deduce, con adeguata motivazione, una lesione delle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite, essendosi limitata a richiedere l'accertamento del proprio titolo giuridico al trasferimento dei beni in esame. Questo elemento è suffragato dalle conclusioni formulate in calce al ricorso stesso con le quali si chiede che questa Corte voglia «dichiarare che lo Stato non ha la possibilità di mantenere ed ha l'obbligo di trasferire alla Regione Veneto i beni statali, siti nel Veneto, necessari alla Regione per poter esercitare le funzioni ed i compiti amministrativi ad essa trasferiti nelle materie dell'agricoltura e delle foreste».

    3.2.–– Né vale, per affermare il rango costituzionale della controversia, l'osservazione della difesa regionale secondo cui i beni non trasferiti sarebbero necessari per consentire alla Regione di «esercitare in modo effettivo ed efficace le funzioni ed i compiti nelle materie dell'agricoltura e delle foreste».

    Deve, infatti, rilevarsi che nessuna indicazione, neanche sommaria, viene in proposito fornita dalla ricorrente.

    Sarebbe stato, invece, necessario che per ciascun bene, o almeno per ciascuna categoria di beni, oggetto della pretesa, la Regione avesse indicato e dimostrato le ragioni della loro asserita strumentalità necessaria e di come la loro mancanza potesse determinare una situazione di impossibilità di esercitare, in tutto o in parte, le funzioni e i compiti ad essa attribuiti nella materia dell'agricoltura e delle foreste.

    In altri termini, il legame beni-funzioni è soltanto affermato e non provato, con conseguente impossibilità di configurare una vindicatio potestatis.

    Deve, pertanto, ritenersi che il ricorso della Regione Veneto non assuma il necessario tono costituzionale che caratterizza i conflitti di attribuzione tra enti, risolvendosi in una controversia di competenza dei giudici comuni.

per questi  motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato con il ricorso indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2004.

    Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

    Alfonso QUARANTA, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2004.