Sentenza n. 162 del 2004

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SENTENZA N.  162

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY      Presidente

- Valerio                        ONIDA                      Giudice   

- Carlo                           MEZZANOTTE               “

- Fernanda                    CONTRI                           “

- Guido                        NEPPI MODONA            “

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                    “

- Annibale                     MARINI                           “

- Franco                        BILE                                  “

- Giovanni Maria          FLICK                              “

- Francesco                   AMIRANTE                     “

- Ugo                            DE SIERVO                     “

- Romano                      VACCARELLA               “

- Paolo                          MADDALENA                “

- Alfonso                      QUARANTA                   “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, e articoli ad esso collegati della legge della Regione Toscana 12 maggio 2003, n. 24 (Norme in materia di igiene del personale addetto all’industria alimentare); degli articoli 7 e 8 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2003, n. 11, (Nuove misure per la prevenzione delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti. Abolizione del libretto di idoneità sanitaria); degli articoli 2 e 4 della legge della Regione Lombardia 4 agosto 2003, n. 12, (Norme relative a certificazioni in materia di igiene e sanità pubblica), e dell’art. 45 della legge della Regione Lazio 11 settembre 2003, n. 29 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Lazio per l’anno finanziario 2003), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 7 luglio, i1 19 agosto, il 7 ottobre e il 18 novembre 2003, depositati in cancelleria il 19 luglio, il 25 agosto, il 17 ottobre e il 27 novembre successivi ed iscritti ai nn. 55, 65, 70 e 85 del registro ricorsi 2003.

  Visti gli atti di costituzione delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio;

  udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

  uditi l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mario Loria per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e Mario Passaro per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, con distinti ricorsi, contro quattro leggi regionali, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, della Costituzione. Sono stati impugnati: a) l’art. 1, comma 2, nonché gli articoli “ad esso collegati”, della legge della Regione Toscana 12 maggio 2003, n. 24 (Norme in materia di igiene del personale addetto all’industria alimentare), con ricorso notificato il 7 luglio 2003 e depositato il 19 luglio 2003 (reg. ricorsi n. 55 del 2003), sulla base della delibera governativa del 19 giugno 2003; b) gli articoli 7 ed 8 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2003, n. 11 (Nuove misure per la prevenzione delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti. Abolizione del libretto di idoneità sanitaria), con ricorso notificato il 19 agosto 2003 e depositato il 25 agosto 2003 (reg. ricorsi n. 65 del 2003), sulla base della delibera governativa del 18 luglio 2003; c) gli articoli 2 e 4 della legge della Regione Lombardia 4 agosto 2003, n. 12 (Norme relative a certificazioni in materia di igiene e sanità pubblica), con ricorso notificato il 7 ottobre 2003 e depositato il 17 ottobre 2003 (reg. ricorsi n. 70 del 2003), sulla base della delibera governativa del 19 settembre 2003; d) l’art. 45 della legge della Regione Lazio 11 settembre 2003, n. 29 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Lazio per l’anno finanziario 2003), con ricorso notificato il 18 novembre 2003 e depositato il 27 novembre 2003 (reg. ricorsi n. 85 del 2003), sulla base della delibera governativa del 7 novembre 2003.

2. – Le disposizioni impugnate contenute nelle leggi delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna e l’art. 4 della legge della Regione Lombardia stabiliscono nuove norme relative all’igiene del personale addetto all’industria alimentare, anche con la conseguente eliminazione dell’obbligo del “libretto di idoneità sanitaria” di cui all’art. 14 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande). Invece l’art. 45 della legge della Regione Lazio si limita ad eliminare il “libretto di idoneità sanitaria” per i farmacisti e i dipendenti delle farmacie pubbliche e private.

Inoltre, l’art. 2 della legge della Regione Lombardia prevede una serie di casi nei quali le aziende unità sanitarie locali (AUSL) della Regione non rilasciano più alcuni certificati sanitari.

Quanto alla eliminazione dell’obbligo del “libretto di idoneità sanitaria”, il ricorrente sostiene che tale previsione sarebbe incostituzionale perché posta in violazione di “un principio fondamentale stabilito dallo Stato per la tutela della salute pubblica”. Ciò in quanto l’art. 14 della legge n. 283 del 1962 troverebbe la propria ragion d’essere nell’esigenza di evitare che operatori non sani entrino a contatto con i prodotti alimentari, con possibile rischio di contaminazione degli stessi.

Le disposizioni impugnate, inoltre, sarebbero lesive anche della competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., concernente la materia “ordine pubblico e sicurezza”. A sostegno di tale argomentazione, nei ricorsi vengono richiamate anche alcune pronunzie della Corte di cassazione nelle quali si qualifica l’art. 14 citato “norma imperativa attinente all’ordine pubblico e posta a tutela (…) del diritto alla salute, costituzionalmente garantito alla generalità dei cittadini”.

Quanto all’art. 2 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2003, si osserva in particolare che quest’ultimo, “escludendo dalle competenze delle AUSL della Lombardia il rilascio di alcuni certificati sanitari”, violerebbe un principio fondamentale della materia, risultando in tal modo lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Ciò perché le prestazioni in questione costituirebbero, ai sensi dell’art. 14, terzo comma, lettera q), della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), “conseguenza diretta dell’attività di controllo attribuita istituzionalmente alle AUSL”.

3. – Le Regioni Toscana, con atto depositato in data 23 luglio 2003, Emilia-Romagna, con atto depositato il 10 settembre 2003, e Lazio, con atto depositato il 17 dicembre 2003, si sono costituite, limitandosi a chiedere la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza dei rispettivi ricorsi, e riservandosi di esporre le ragioni a sostegno delle proprie richieste con separata memoria nel corso del giudizio.

4. – La Regione Lombardia si è costituita in giudizio con atto depositato il 6 novembre 2003 ed ha ampiamente sviluppato la propria difesa.

4.1. – Anzitutto la Regione chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Quest’ultimo, infatti, pur apparentemente rivolto all’intera legge, sarebbe motivato solo in relazione a quanto disposto dagli articoli 2 e 4, comma 4, ciò che ne determinerebbe l’inammissibilità. In subordine, la resistente chiede che siano ritenute inammissibili le censure proposte avverso gli articoli 1, 3 e 4, commi 1, 2 e 3, della legge impugnata, “in quanto assolutamente prive di motivazione”.

Nel merito, la difesa regionale argomenta per l’infondatezza delle censure statali.

Quanto alla pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 2, la resistente ritiene privo di fondamento l’argomento dello Stato secondo il quale l’abolizione, da parte della Regione, dell’obbligo per le AUSL di rilasciare una serie di certificati contrasterebbe con il principio fondamentale della materia stabilito dall’art. 14, terzo comma, lettera q), della legge n. 833 del 1978. Al riguardo, la Regione evidenzia, innanzi tutto, come “la ratio sottostante all’eliminazione del rilascio da parte delle AUSL dei suddetti certificati (sia) stata quella di sopprimere funzioni del tutto inefficaci o inutilmente ripetitive”. Così, ad esempio, sarebbe per alcuni certificati che la “prassi applicativa” ormai ignorerebbe da tempo – quali quelli concernenti la vendita dei generi di monopolio o il baliatico – ovvero per quei certificati – quali quelli di esonero dalle lezioni di educazione fisica e di ammissione ai soggiorni di vacanza per minori – attribuiti dall’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2003 al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta. Ancora, tale ratio sarebbe riscontrabile anche nella abolizione per le AUSL dell’obbligo di rilasciare i certificati di idoneità al lavoro, in quanto questi ultimi sarebbero stati attribuiti “al medico competente di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994”.

Quanto alla sostituzione del certificato attestante l’avvenuta esecuzione di vaccinazioni obbligatorie, la resistente afferma che non si sarebbe fatto altro che dare applicazione all’art. 47, comma 1, del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 444 (Disposizioni regolamentari in materia di documentazione amministrativaTesto C), ai sensi del quale “l’atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con l’osservanza delle modalità di cui all’art. 38”. Rilevante, infine, sarebbe anche l’allegato 2A al d.P.C.m. 29 novembre 2001, recante “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, che ha qualificato “prestazioni totalmente escluse dai livelli essenziali di assistenza”, tra le altre, “le certificazioni mediche non rispondenti a fini della tutela della salute collettiva, anche quando richieste da disposizioni di legge”.

Secondo la difesa della Regione sarebbe determinante la considerazione del fatto che non potrebbe essere considerata principio fondamentale una mera norma di tipo organizzativo come l’art. 14, terzo comma, lettera q), della legge n. 833 del 1978, invocato dall’Avvocatura dello Stato quale parametro interposto dell’impugnata normativa regionale. Inoltre, tale norma dovrebbe ritenersi senz’altro superata dalla legislazione statale successiva: infatti, sarebbe rilevante l’art. 2, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il quale ha attribuito alle Regioni “la determinazione dei principi sull’organizzazione dei servizi e sull’attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere”. Il successivo comma 2-sexies, peraltro, individuerebbe le funzioni spettanti alle AUSL indicando “l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, l’assistenza distrettuale e l’assistenza ospedaliera”, e ciò senza ricomprendere o richiamare espressamente funzioni certificatorie. Da tali disposizioni si dovrebbe desumere, secondo la Regione, che tra i compiti affidati alle AUSL non sarebbero obbligatoriamente ricompresi “quelli di certificazione di cui all’ (…) art. 14, terzo comma, lettera q), della legge n. 833 del 1978”. Ciò, peraltro – puntualizza ancora la difesa regionale – non significherebbe che le AUSL non avrebbero funzioni di tipo certificatorio, ma che – “anche in ragione dell’ampliamento delle competenze legislative regionali in materia di tutela della salute per effetto della riforma del Titolo V della Costituzione” – spetterebbe alle Regioni la disciplina di queste ultime.

4.2. – Secondo la resistente anche le censure concernenti l’art. 4, comma 4, della legge impugnata sarebbero da ritenere infondate. In particolare, non sarebbe da condividere l’argomento del ricorso statale secondo cui la citata disposizione regionale avrebbe invaso la competenza statale in materia di “ordine pubblico e sicurezza”; premesso che “di fatto tali certificati vengono rilasciati a tutti i richiedenti che ottemperano a tale obbligo come un adempimento burocratico”, nonché il rilievo secondo il quale l’Organizzazione mondiale della sanità avrebbe giudicato tali adempimenti addirittura “inutili e dannosi”, la Regione Lombardia esclude che “l’oggetto della disciplina contenuta nella norma impugnata (…) possa essere ricondotto alla competenza statale in materia di "ordine pubblico e sicurezza"”, citando, a sostegno della propria affermazione, quanto in proposito affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 407 del 2002.

Neppure potrebbe ritenersi violato il principio fondamentale di cui all’art. 14 della legge n. 283 del 1962, il quale avrebbe lo scopo “di evitare che operatori non sani o portatori di malattie vengano a contatto con prodotti alimentari esponendo l’utenza al pericolo di eventuali contagi”. Ciò per diverse ragioni. In primo luogo, in quanto il ricorso dello Stato errerebbe nell’individuare il principio fondamentale in questione direttamente nella lettera delle disposizioni statali considerate, senza compiere l’operazione di “astrazione” che la giurisprudenza costituzionale avrebbe indicato come “necessaria”. Inoltre, l’operazione interpretativa compiuta dal ricorrente sarebbe contestabile in quanto avrebbe preso in considerazione non l’intero quadro normativo, ma solo alcune delle disposizioni che intervengono a comporre quest’ultimo; in particolare, sarebbe stata omessa la considerazione della direttiva 93/43/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993, sull’igiene dei prodotti alimentari, della direttiva 96/3/CE della Commissione del 26 gennaio 1996, recante deroga a talune norme della direttiva 93/43/CEE del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari, con riguardo al trasporto marittimo di oli e di grassi liquidi sfusi, nonché del d.lgs. 26 maggio 1997, n. 155 (Attuazione delle direttive 93/43 CEE e 96/3 CE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari), atti normativi che non prevedono l’adozione del libretto sanitario.

In sintesi, secondo la difesa della Regione Lombardia, “nella competenza concorrente in materia di "tutela della salute" ed "alimentazione"” – nelle quali ricadrebbe la disciplina de qua – “deve (…) essere necessariamente inclusa la possibilità (per le Regioni) di scegliere gli strumenti più idonei al perseguimento della salute dei cittadini (e quindi, ad esempio, di ritenere preferibile, rispetto all’obbligo del libretto sanitario, l’obbligo per gli operatori addetti alla produzione, preparazione, somministrazione e distribuzione degli alimenti di ricevere adeguata preparazione igienico sanitaria)”.

La resistente, alla luce delle considerazioni più sopra richiamate, ritiene di poter affermare che il principio desumibile dalla legislazione statale nella materia de qua non sarebbe quello individuato nel ricorso, bensì quello della “previsione da parte delle Regioni di strumenti/misure adeguati/idonei ad assicurare l’igiene, la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari al fine di preservare la salute dei cittadini”. Tale principio sarebbe stato rispettato dalla Regione Lombardia, la quale, pur eliminando il libretto sanitario, avrebbe in sostituzione previsto le misure contemplate dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 4 della legge regionale n. 12 del 2003.

5. – In prossimità dell’udienza, tutte le Regioni hanno depositato ampie memorie con le quali chiedono che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

5.1. – Sul piano della inammissibilità, in particolare, la Regione Toscana rileva che il ricorso che la riguarda è stato notificato il 7 luglio 2003 e depositato il successivo 19 luglio, in violazione dell’art. 31, comma 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

La Regione Lombardia ribadisce l’inesistenza di qualunque motivazione in ordine alla richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’intera legge, ed in particolare delle disposizioni contenute negli articoli 1, 3 e 4, commi 1, 2 e 3, della legge. Inoltre, la relazione del Ministro per gli affari regionali allegata alla delibera del Governo conterrebbe ragioni di possibile illegittimità costituzionale solo con riferimento agli articoli 2 e 4, comma 4.

La Regione Lazio, a sua volta, evidenzia alcuni presunti profili di inammissibilità.

Innanzitutto l’Avvocatura avrebbe dedotto contemporaneamente l’esistenza di due vizi tra loro contraddittori e tali da escludersi a vicenda, sostenendo che la legge regionale violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico, e al tempo stesso la competenza concorrente, in quanto la legge regionale sarebbe stata adottata in contrasto con un principio fondamentale della materia.

Altro profilo di inammissibilità del ricorso andrebbe ravvisato nel fatto che il potere di impugnativa delle leggi regionali previsto dall’art. 127 Cost. sarebbe esercitabile solo per far valere ragioni di incompetenza e non anche per qualunque vizio di incostituzionalità. Lo Stato, in altri termini, potrebbe censurare le leggi regionali solo nel caso in cui stabiliscano principi fondamentali (determinando così l’usurpazione di materie ed ambiti attribuiti alla competenza statale) e non anche ove la disciplina in esse contenuta si ponga, nel merito, in contrasto con i principi fondamentali della materia. Tale interpretazione sarebbe confermata anche dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), che, all’art. 9, abilita il Governo ad impugnare le leggi regionali solo nel caso in cui eccedano la competenza della Regione.

Ultimo profilo di inammissibilità sarebbe costituito dalla mancata indicazione delle ragioni per cui l’obbligo di possesso del libretto sanitario costituirebbe un principio fondamentale e per quale motivo esso dovrebbe trovare applicazione anche in un settore “affatto diverso e peculiare”, quale quello farmaceutico.

5.2. – Nel merito, le quattro Regioni concordano pienamente nel negare la presunta violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordine pubblico e sicurezza”, anche sulla base della più recente giurisprudenza di questa Corte, che ha esplicitamente confermato la delimitazione della materia alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico (sentenze n. 6 del 2004 e n. 407 del 2002). Al riguardo, la Regione Lazio aggiunge che la nozione di ordine pubblico cui si riferisce la norma costituzionale non sarebbe quella generica a cui sembra richiamarsi l’Avvocatura dello Stato, bensì quella più circoscritta che emerge dallo stesso dettato costituzionale relativo alle attribuzioni miranti “alla difesa e sicurezza interne dei cittadini rispetto in primo luogo alla criminalità”. L’art. 14 della legge n. 283 del 1962, invece, intenderebbe tutelare il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., e tale conclusione sarebbe avvalorata dall’art. 1 della citata legge, che appunto assoggetta a vigilanza la produzione e il commercio delle sostanze alimentari “per tutela della pubblica salute”.

5.3. – Quanto alla eliminazione dell’obbligo di dotarsi del “libretto sanitario”, le Regioni Toscana, Lombardia ed Emilia-Romagna sostengono, con analoghe ed ampie argomentazioni, che non esisterebbe il principio fondamentale della materia invocato dall’Avvocatura dello Stato nei ricorsi. Ammesso che l’art. 14 della legge n. 283 del 1962 costituisse un principio fondamentale nella materia all’epoca della sua emanazione, oggi, nel mutato contesto della legislazione, delle modalità di produzione e distribuzione degli alimenti, degli studi e delle concezioni igienico-sanitarie, non lo sarebbe più. Esso, anzi, costituirebbe un residuo normativo privo di giustificazione, in quanto ormai inidoneo a tutelare la salute. A sostegno di tale affermazione, le Regioni richiamano in particolare le conclusioni a cui sarebbe pervenuta l’Organizzazione mondiale della sanità già nel 1989: nella relazione finale elaborata all’esito di apposita indagine, essa avrebbe dichiarato che gli esami medici di routine per gli alimentaristi sono inefficaci e perciò inutili; che tali accertamenti non sono consigliabili sulla base del rapporto costo/efficacia e non sono affidabili per prevenire le malattie di origine alimentare. Nel medesimo documento sarebbe rinvenibile una raccomandazione ai Governi a non utilizzare più questo tipo di intervento. Ad analoghe conclusioni – riferiscono ancora le difese regionali – sarebbero giunti diversi altri organismi scientifici e professionali; lo stesso Istituto superiore di sanità avrebbe appoggiato le richieste di eliminazione del libretto sanitario, sottolineando la sua inadeguatezza rispetto allo scopo perseguito ed affermando la maggiore efficacia a tal fine della formazione personale degli addetti alla manipolazione degli alimenti. Sulla base di tali considerazioni, numerose Regioni avrebbero già in precedenza adottato delibere con cui sospendono in via provvisoria le procedure per il rinnovo dei libretti sanitari.

Le Regioni resistenti sottolineano, inoltre, il mutamento dello stesso quadro normativo nazionale ed il totale superamento del sistema precedente. Le nuove concezioni in materia di sicurezza alimentare, contenute nelle direttive 93/43 CEE e 96/3 CE e recepite in Italia con il d.lgs. n. 155 del 1997, avrebbero prodotto una disciplina completa, basata sui principi del controllo ed autocontrollo preventivo di ogni fase del processo alimentare, nella quale nessun esame di routine è previsto.

Significativa sarebbe, inoltre, la circostanza che il d.P.C.m. 29 novembre 2001, in tema di determinazione dei livelli essenziali nel settore assistenziale, non consideri le certificazioni di idoneità sanitaria degli alimentaristi fra gli interventi primari, rispondenti ai fini di tutela collettiva, tra i quali invece sarebbe compresa l’informazione preventiva degli addetti alla produzione, manipolazione, trasporto, somministrazione, deposito e vendita delle sostanze alimentari.

Le norme regionali impugnate, dunque, non farebbero che adeguarsi alle conoscenze scientifiche consolidate che fondano la prevenzione delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti sulla sorveglianza epidemiologica, sull’attività di formazione-educazione alla sicurezza alimentare e sul sistema di controlli basato sull’autocontrollo alla produzione. Infine, la Regione Emilia-Romagna sostiene che, qualora l’art. 14 della legge n. 283 del 1962 fosse ritenuto ancora principio fondamentale della materia, esso sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 32 Cost., in quanto imporrebbe un trattamento sanitario in assenza di qualunque evidenza scientifica sulla sua utilità. Inoltre, esso violerebbe gli articoli. 32 e 97, primo comma, Cost., perché imporrebbe di impiegare risorse amministrative in attività che non hanno utilità scientifica, impedendo di utilizzare le stesse risorse in modi che meglio assicurino la tutela della salute e il buon andamento dell’amministrazione.

5.4. – Differenziate le argomentazioni della Regione Lazio, perché essenzialmente fondate sull’affermazione che la “materia farmaceutica” avrebbe una “dignità normativa del tutto autonoma ed indipendente” dalla disciplina della materia “alimenti e bevande”: la normativa in materia di servizio farmaceutico costituirebbe un compendio autonomo e a sé stante, “governato da principi che, pur mirando in ultima analisi alla tutela della salute del cittadino, sarebbero frutto di scelte specifiche e sistematiche del legislatore in ragione della peculiarità dei beni e dei soggetti coinvolti”.

Il sistema introdotto dalla legge n. 283 del 1962 si articolerebbe in una “fittissima serie di controlli preventivi dettagliatamente disciplinati”, che si svolge su più livelli (ministeriale, regionale e comunale), con l’adozione di misure oggettive e soggettive di varia natura. Nel contesto di una così analitica disciplina “che investe praticamente tutti gli aspetti”, sarebbe comunque ben difficile considerare l’obbligo del libretto sanitario come espressione di un principio fondamentale della materia, ponendosi piuttosto come una delle molteplici prescrizioni da osservarsi a cura degli operatori del settore.

Ma soprattutto la legge n. 283 del 1962 e il relativo regolamento di attuazione, di cui al d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, avrebbero ad oggetto solo i cibi e le bevande, cioè le sostanze destinate all’alimentazione, mentre il settore farmaceutico costituirebbe oggetto di numerosissime prescrizioni di dettaglio estranee alla materia degli alimenti e delle bevande e tali da sostituirsi integralmente alla disciplina dettata per questi ultimi, anche sotto il profilo della vigilanza e profilassi sullo stato di salute dei suoi operatori.

In particolare, l’art. 32 del regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706 (Approvazione del regolamento per il servizio farmaceutico), pone a carico del titolare della farmacia l’obbligo di comunicare all’autorità di vigilanza lo stato di salute dei propri dipendenti e di esibire i certificati che comprovino che sono esenti da malattie contagiose che rendano pericoloso l’esercizio dell’attività. Conseguentemente, l’obbligo di tenuta del libretto sanitario di cui all’art. 14 della legge n. 283 del 1962 avrebbe un ruolo “del tutto sussidiario, recessivo e trascurabile” nel settore farmaceutico.

5.5. – Infine, per ciò che riguarda l’art. 2 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2003, la difesa regionale ribadisce la propria eccezione volta a negare la natura di principio fondamentale dell’art. 14, terzo comma, lettera q), della legge n. 833 del 1978, in quanto si tratterebbe di mera norma organizzativa volta ad individuare i compiti delle AUSL. In ogni caso, il presunto principio fondamentale della “competenza esclusiva delle AUSL in materia di certificazioni sanitarie e dell’obbligo per le stesse di esercitare le funzioni certificatorie” dovrebbe considerarsi superato sia in ragione di quanto previsto dalla legislazione statale di settore in tema di certificazioni, sia in ragione di quanto previsto dalla legislazione sanitaria successiva alla legge n. 833 del 1978, sia, infine, in ragione delle competenze legislative acquisite dalle Regioni in base alla riforma costituzionale del Titolo V in materia di “tutela della salute” rispetto a quelle più limitate in ordine all’assistenza sanitaria e ospedaliera di cui al precedente testo dell’art. 117 Cost.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, con distinti ricorsi: l’art. 1, comma 2, nonché gli articoli “ad esso collegati”, della legge della Regione Toscana 12 maggio 2003, n. 24 (Norme in materia di igiene del personale addetto all’industria alimentare); gli articoli 7 ed 8 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2003, n. 11 (Nuove misure per la prevenzione delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti. Abolizione del libretto di idoneità sanitaria); gli articoli 2 e 4 della legge della Regione Lombardia 4 agosto 2003, n. 12 (Norme relative a certificazioni in materia di igiene e sanità pubblica); l’art. 45 della legge della Regione Lazio 11 settembre 2003, n. 29 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Lazio per l’anno finanziario 2003).

I ricorsi governativi censurano, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma della Costituzione, le disposizioni delle leggi delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia, che eliminano in generale l’obbligo del “libretto di idoneità sanitaria” di cui all’art. 14 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo uncio delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), nonché l’analoga eliminazione, ad opera della legge della Regione Lazio, del “libretto di idoneità sanitaria” per i soli farmacisti e dipendenti delle farmacie pubbliche e private.

L’Avvocatura dello Stato sostiene, infatti, che così sarebbe stato violato “un principio fondamentale stabilito dallo Stato per la tutela della salute”, trattandosi di una “misura di profilassi igienico-sanitaria a carattere generale”. Al tempo stesso, anche sulla base di alcune sentenze della Corte di cassazione relative alla natura dell’obbligo scaturente dall’art. 14 della legge n. 283 del 1962, i legislatori regionali avrebbero invaso attribuzioni in materia di “ordine pubblico e sicurezza, riservate allo Stato ai sensi del secondo comma, lettera h), del suddetto art. 117 Cost.”.

Il ricorso governativo contro la legge della Regione Lombardia n. 12 del 2003 impugna inoltre, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 2 della legge in questione, che prevede che le AUSL della Regione non rilascino più alcuni certificati sanitari, perché questa disposizione violerebbe un principio fondamentale della materia che imporrebbe tali certificazioni; esse, infatti, costituirebbero, ai sensi dell’art. 14, terzo comma, lettera q), della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), “conseguenza diretta dell’attività di controllo attribuita istituzionalmente alle AUSL” e, in quanto tali, non potrebbero essere escluse dall’ambito delle competenze attribuite alle stesse.

2. – Le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei quattro ricorsi presentano ampi profili di analogia, onde i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. – In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la questione sollevata contro la legge della Regione Toscana n. 24 del 2003, in quanto il ricorso è stato notificato il 7 luglio 2003 e depositato il successivo 19 luglio 2003, cioè oltre il termine prescritto dall’art. 31, comma 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), stabilito a pena di decadenza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., fra le molte, la sentenza n. 303 del 2003, nonché le ordinanze n. 42 del 2004, n. 99 del 2000 e n. 126 del 1997).

Sempre in via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso governativo sollevata dalla Regione Lombardia, potendo agevolmente ritenersi – anche in base alla delibera del Consiglio dei ministri – che l’atto introduttivo del giudizio sia rivolto esclusivamente e con adeguata motivazione nei confronti degli articoli 2 e 4, comma 4.

Conseguentemente risulta assorbita l’eccezione di inammissibilità parziale proposta in via subordinata.

Vanno altresì respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla Regione Lazio descritte nell’esposizione del fatto.

Innanzitutto, diversamente da quanto sostiene la difesa regionale, è ben possibile contestare la legittimità costituzionale di una norma di legge regionale contemporaneamente alla luce del secondo e del terzo comma dell’art. 117 Cost., sia che si faccia valere un rapporto gradato tra i due presunti vizi, sia anche che si sostenga (come nel caso oggetto del presente giudizio) la contemporanea incidenza su più profili di una singola disposizione legislativa.

Del pari infondata è la tesi che il potere di impugnativa delle leggi regionali previsto dall’art. 127 Cost. sarebbe esercitabile solo per far valere ragioni di incompetenza e non anche qualunque vizio di incostituzionalità: questa Corte, nella sentenza n. 274 del 2003, ha già espressamente chiarito “che lo Stato può impugnare in via principale una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale”. Comunque nel caso di specie viene dedotto un asserito vizio di incompetenza, dal momento che si assume che la legge regionale abbia disciplinato un ambito riservato alla competenza statale.

Ugualmente erronea è la tesi, prospettata dalla Regione resistente, secondo la quale la violazione dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato possa essere invocata solo nel caso in cui la legge regionale abbia inteso porre essa stessa principi fondamentali della materia.

Del pari, non ha fondamento la tesi che il ricorso non indicherebbe né le ragioni per cui l’obbligo di possesso del libretto sanitario costituirebbe un principio fondamentale né per quale motivo esso dovrebbe trovare applicazione anche in un settore quale quello farmaceutico: il ricorso dell’Avvocatura, seppur in estrema sintesi, si riferisce all’art. 14 della legge n. 283 del 1962 come ad una disposizione di principio nel settore della tutela della salute e ricorda che questo articolo “prevede l’obbligo per tutti gli operatori che comunque maneggiano alimenti, di essere muniti di tale libretto”, comprendendovi quindi anche coloro che lavorano presso le farmacie, che appunto vendono anche (ed a volte producono) sostanze alimentari.

4. – Le questioni relative alla abolizione del libretto di idoneità sanitaria non sono fondate.

4.1. – In primo luogo, la censura riferita alla competenza esclusiva del legislatore statale in tema di “ordine pubblico e sicurezza”, di cui alla lettera h) del secondo comma dell’art. 117 Cost. è infondata, dal momento che, nel vigore del nuovo art. 117 Cost., fin dalla sentenza n. 407 del 2002 questa Corte ha riferito tale materia al solo “settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico” (analogamente si veda la sentenza n. 6 del 2004); né appare rilevante l’utilizzazione in alcune pronunce della Corte di cassazione dell’espressione “ordine pubblico” in riferimento alla vigente legislazione sul libretto sanitario, poiché radicalmente diverso è il significato di questa espressione nell’art. 117 Cost. e nei codici.

4.2. – L’affermazione che l’art. 14 della legge n. 283 del 1962 esprimerebbe tuttora un principio fondamentale della materia sanitaria, in quanto tale immodificabile dal legislatore regionale, non appare fondata ove si consideri la avvenuta profonda trasformazione della legislazione a tutela della disciplina igienica degli alimenti, anche sulla spinta in tal senso degli organismi scientifici e medici, sulla base dei molti mutamenti conseguenti alle mutate condizioni igieniche e sanitarie dei processi di produzione e commercializzazione dei prodotti alimentari.

L’art. 14, commi primo e secondo, della legge n. 283 del 1962 aggiunge alla assai articolata e pervasiva disciplina contenuta nella medesima legge, riferita a tutte le fasi della produzione e del commercio “delle sostanze destinate alla alimentazione”, la previsione di obblighi di comportamento dei lavoratori e degli imprenditori che operano nei settori della “preparazione, produzione, manipolazione e vendita di sostanze alimentari”, prescrivendo che chiunque lavori in questi vasti settori debba essere “munito di apposito libretto di idoneità sanitaria” e sia “tenuto a sottoporsi a periodiche visite mediche di controllo e a eventuali misure profilattiche”; né gli imprenditori possono assumere personale privo del libretto sanitario. Tutte queste prescrizioni sono assistite da sanzioni amministrative (resta invece estraneo al presente giudizio il quarto comma dell’art. 14 della legge, che estende queste sanzioni a chi “pur a conoscenza di essere affetto da manifestazioni di malattia infettiva diffusiva, continui ad attendere alla preparazione, produzione, manipolazione o vendita di sostanze alimentari”).

Ulteriori specificazioni sul libretto di idoneità sanitaria sono contenute nel Titolo III del d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327 (Regolamento di esecuzione della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), che disciplina analiticamente la materia, anche con prescrizioni relative ai comportamenti da tenere in caso di malattia del personale e relative all’igiene personale e all’abbigliamento.

Rispetto all’efficacia della prescrizione relativa alla tenuta del libretto sanitario a tutela dell’igiene degli alimenti si è successivamente sviluppato un ampio confronto critico anche a livello scientifico internazionale ed in particolare è stata proposta l’adozione di un nuovo modello di tutela dell’igiene degli alimenti, denominato “Sistema dei punti di controllo critici per l’analisi dei rischi (HACCP)”, caratterizzato da un coinvolgimento attivo degli imprenditori e dei lavoratori interessati nella individuazione dei punti critici e nel loro controllo (anche sulla base di una idonea formazione), pur sempre sotto la vigilanza pubblica.

Queste ed altre sollecitazioni di ordine scientifico sono evidentemente alla base della adozione di due apposite direttive della Comunità europea, recepite dal legislatore nazionale tramite il d.lgs. 26 maggio 1997, n. 155 (Attuazione delle direttive 93/43 CEE e 96/3 CE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari): tale disciplina, infatti, tutela l’igiene dei prodotti alimentari in “tutte le fasi successive alla produzione primaria” (si enumerano “la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, al consumatore”) mediante l’esplicita adozione del “sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP” (cfr. art. 3). In questa completa riforma del settore non si fa parola della necessità di documentare i controlli periodici sul personale addetto alle diverse fasi a cui si riferisce la normazione, mentre il Capitolo VIII dell’Allegato al citato decreto legislativo contiene alcune disposizioni in tema di igiene personale e di malattia, o sospetta malattia, di coloro che operano nel settore, ed il Capitolo X prescrive che gli addetti alle varie fasi di possibile contatto con gli alimenti siano controllati e formati dai responsabili delle imprese interessate ai prodotti alimentari.

Parallelamente, la Comunità europea ha determinato nuovi sistemi pubblici di controllo sui prodotti alimentari mediante altre direttive, anch’esse recepite dal legislatore statale, mediante il d.lgs. 3 marzo 1993, n. 123 (Attuazione della direttiva 89/397 CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari) ed il d.lgs. 26 maggio 1997, n. 156 (Attuazione della direttiva 93/99CEE concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari); in questo ambito si disciplinano vasti poteri di controllo e di ispezione, relativi anche al “comportamento igienico del personale che, direttamente o indirettamente, per esercitare le proprie mansioni, entra in contatto con le sostanze ed i prodotti” (art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 123 del 1993).

Questa complessa evoluzione normativa, anche se non ha prodotto l’abrogazione dell’art. 14 della legge n. 283 del 1962, ha sostanzialmente affiancato al preesistente sistema sulla disciplina igienica relativa alle sostanze alimentari un diverso sistema, di matrice europea, di garanzia sostanziale (e di controllo) sulle modalità di tutela dell’igiene dei prodotti alimentari. Dell’impianto normativo del 1962 resta certamente un sistema sanzionatorio (ormai prevalentemente di natura amministrativa) per tutta una serie di specifici comportamenti valutati come dannosi; non è tuttavia possibile considerare tutte le prescrizioni sostanziali ivi contenute, ormai contraddette dalla più recente legislazione, principi fondamentali della materia: esse, infatti, devono essere ritenute nulla più che semplici modalità nelle quali può essere concretizzato l’autentico principio ispiratore della normativa in esame, ossia il precetto secondo il quale la tutela igienica degli alimenti deve essere assicurata anche tramite la garanzia di alcuni necessari requisiti igienico-sanitari delle persone che operano nel settore, controllabili dagli imprenditori e dai pubblici poteri. D’altra parte, questa Corte in varie occasioni ha già affermato che, qualora nelle materie di legislazione concorrente i principi fondamentali debbano essere ricavati dalle disposizioni legislative statali esistenti, tali principi non devono corrispondere senz’altro alla lettera di queste ultime, dovendo viceversa esserne dedotta la loro sostanziale consistenza (si vedano le sentenze n. 65 del 2001, n. 482 del 1995, n. 192 del 1987): e ciò tanto più in presenza di una legislazione in accentuata evoluzione.

4.3. – La legge della Regione Emilia-Romagna n. 11 del 2003 e la legge della Regione Lombardia n. 12 del 2003 sopprimono l’obbligo del libretto di idoneità sanitaria dopo essersi espressamente ricollegate al d.lgs. n. 155 del 1997 ed aver disciplinato, in coerenza ad esso, alcune iniziative di specifica formazione per il personale operante nei settori dei prodotti alimentari. In tal modo queste Regioni, nell’ambito della loro discrezionalità legislativa, eliminano semplicemente una discussa forma di documentazione episodica dello stato di salute degli operatori del settore alimentare, ma esplicitamente confermano l’esigenza di continui ed efficaci interventi preventivi, nonché di controllo e di ispezione sullo stato di salute e sui comportamenti igienici di coloro che operano nel settore alimentare.

L’art. 45 della legge della Regione Lazio n. 29 del 2003 si limita, invece, ad escludere dall’obbligo del possesso del libretto di idoneità sanitaria “i farmacisti e i dipendenti delle farmacie pubbliche e private”, sulla base della presunta inapplicabilità al settore farmaceutico della legislazione generale in tema di tutela dell’igiene delle sostanze alimentari.

Malgrado, invece, non possa dubitarsi che sia possibile la vendita ed addirittura la preparazione o la trasformazione da parte delle farmacie di alcuni prodotti alimentari (ciò specialmente dopo il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che permette la vendita in farmacia anche di alimenti di consumo correnti, che si vanno ad aggiungere agli alimenti destinati ad un’alimentazione particolare di cui al decreto ministeriale 4 agosto 1988, n. 375, recante “Norme di esecuzione della legge 11 giugno 1971, n. 426, sulla disciplina del commercio”) e che quindi non possano essere escluse le normative a tutela dei prodotti alimentari, tuttavia anche a questo particolare settore sono ormai riferite le direttive europee “concernenti l’igiene dei prodotti alimentari” recepite con i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 1997, con la possibilità quindi che la legge regionale possa escludere la necessità del libretto sanitario nelle farmacie che trattano prodotti alimentari.

5. – Anche le censure relative all’art. 2 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2003 non sono fondate.

Non può condividersi, infatti, la tesi sostenuta dall’Avvocatura secondo la quale, in forza dell’art. 14, terzo comma, lettera q), della legge n. 833 del 1978, spetterebbe solo alle AUSL il rilascio di certificazioni sanitarie ed i relativi accertamenti attribuiti al Servizio sanitario nazionale, dal momento che non poche leggi statali successive (anche prima della stessa riforma del Titolo V della Costituzione) da una parte hanno attribuito funzioni certificatorie a soggetti diversi e, dall’altra, hanno esplicitamente riconosciuto ai legislatori regionali poteri di riorganizzazione delle strutture sanitarie locali (particolarmente rilevante, in proposito, risulta l’art. 2, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421»).

Tutto ciò trova conferma nella stessa previsione dell’art. 2 della legge regionale n. 12 del 2003.

Il primo comma esclude che possano essere richieste o rilasciate dalle AUSL cinque diverse certificazioni, di cui una (relativa al certificato di idoneità fisica per l’assunzione di minori) esplicitamente ridisciplinata dall’art. 8 della legge 17 ottobre 1967, n. 977 (Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti) e quattro (rispettivamente relative alla sana e robusta costituzione, all’idoneità fisica per l’assunzione nel pubblico impiego, all’idoneità fisica per l’assunzione di insegnanti, all’idoneità psicofisica per la frequenza di istituti professionali o corsi di formazione professionali) puntualmente ridisciplinate dagli articoli 2, comma 1, lettera a), 16, comma 2, e 17, comma 1, del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive 89/39 CEE, 89/654 CEE, 89/655 CEE, 89/656 CEE, 90/269 CEE, 90/270 CEE, 90/394 CEE e 90/679 CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro).

Il secondo comma dell’art. 2 della legge regionale n. 12 del 2003, a sua volta, esclude due altri certificati del tutto analoghi al libretto di idoneità sanitaria (come visto in precedenza, in generale eliminato dall’art. 4 della medesima legge), la cui attuale base legislativa appare per di più dubbia. Il libretto di idoneità sanitaria per i parrucchieri non è esplicitamente richiesto dalla legge 14 febbraio 1963, n. 161 (Disciplina dell’attività di barbiere, parrucchiere ed affini) ed è stato spesso esteso al settore ad opera di regolamenti comunali. Per il “certificato per vendita dei generi di monopolio” l’art. 6 della legge 22 dicembre 1957, n. 1293 (Organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio) prevede semplicemente che il gestore dei magazzini di vendita debba essere “immune da malattie infettive e contagiose”.

Il terzo comma dell’art. 2 della legge regionale n. 12 del 2003, invece, affida all’autocertificazione, “ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 444 (Disposizioni regolamentari in materia di documentazione amministrativaTesto C)”, l’attestazione dell’avvenuta esecuzione delle vaccinazioni obbligatorie che siano richieste: ciò che è già attualmente possibile per la legislazione nazionale, poiché la generica previsione della certificazione per le vaccinazioni necessarie per l’ammissione alla scuola dell’obbligo (art. 117 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado») è stata successivamente integrata dal nuovo art. 47 del regolamento relativo ai servizi di medicina scolastica (d.P.R. 26 gennaio 1999, n. 355: «Regolamento recante modificazioni al d.P.R. 22 dicembre 1967, n. 1518, in materia di certificazioni relative alle vaccinazioni obbligatorie»), che ha previsto espressamente la possibile sostituzione del certificato con l’autocertificazione dell’interessato. D’altra parte, risulta dirimente la considerazione secondo cui la limitazione all’utilizzabilità delle dichiarazioni sostitutive contenuta nell’art. 49 del d.P.R. n. 444 del 2000 non vincola il legislatore regionale, in quanto ormai contenuta in un testo regolamentare (fra le molte, cfr. sentenze n. 17 del 2004, n. 507 del 2000 e n. 420 del 1999).

Il quarto comma dell’art. 2 della legge regionale n. 12 del 2003, infine, attribuisce al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta le certificazioni per l’esonero dalle lezioni di educazione fisica, secondo quanto già previsto nel d.P.R. 28 luglio 2000, n. 270 (Regolamento di esecuzione  dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale) e nel d.P.R. 28 luglio 2000, n. 272 (Regolamento di esecuzione dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti pediatri di libera scelta); analoga soluzione viene scelta dal legislatore regionale per il certificato sanitario per l’ammissione ai soggiorni di vacanza per minori, materia finora disciplinata tramite circolari (da ultimo cfr. circolare 20 aprile 2000, n. 6, del Ministero della sanità).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, nonché degli articoli “ad esso collegati”, della legge della Regione Toscana 12 maggio 2003, n. 24 (Norme in materia di igiene del personale addetto all’industria alimentare), sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ricorsi n. 55 del 2003 in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 7 e 8 della legge della Regione Emilia-Romagna 24 giugno 2003, n. 11 (Nuove misure per la prevenzione delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti. Abolizione del libretto di idoneità sanitaria), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ricorsi n. 65 del 2003 indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale  degli articoli 2 e 4 della legge della Regione Lombardia 4 agosto 2003, n. 12 (Norme relative a certificazioni in materia di igiene e sanità pubblica), sollevate, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ricorsi n. 70 del 2003 indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 della legge della Regione Lazio 11 settembre 2003, n. 29 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione Lazio per l’anno finanziario 2003), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ricorsi n. 85 del 2003 indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria l'1  giugno 2004.