Ordinanza n. 57 del 2004

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ORDINANZA N.57

 

ANNO 2004

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Gustavo                 ZAGREBELSKY             Presidente

 

- Valerio                   ONIDA                                Giudice

 

- Carlo                      MEZZANOTTE                         "

 

- Guido                     NEPPI MODONA                     "

 

- Piero Alberto         CAPOTOSTI                              "

 

- Annibale                MARINI                                     "

 

- Franco                    BILE                                           "

 

- Giovanni Maria      FLICK                                        "

 

- Francesco               AMIRANTE                              "

 

- Ugo                        DE SIERVO                              "

 

- Romano                 VACCARELLA                        "

 

- Alfio                      FINOCCHIARO                       "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice di pace di Ferrara con ordinanze del 5 giugno 2003, iscritte al n. 744 e al n. 745 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

Udito nella camera di consiglio del 17 dicembre 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 

Ritenuto che con due ordinanze il Giudice di pace di Ferrara ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 97, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che il decreto di citazione a giudizio davanti al giudice di pace debba contenere, a pena di nullità, l’avviso che, qualora ne sussistano i presupposti, l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, possa presentare domanda di oblazione;

 

che il giudice a quo osserva che l’art. 52 del citato decreto legislativo ha mutato il quadro sanzionatorio per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, consentendo l’applicazione sia dell’oblazione "volontaria" ex art. 162 cod. pen., sia di quella "discrezionale" prevista dall’art. 162-bis del medesimo codice, con particolare riferimento alle contravvenzioni già punite con pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda e oggi punite con la pena alternativa dell’ammenda, della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità;

 

che, a fronte di tale situazione, la disciplina censurata, nella parte in cui non prevede che la citazione a giudizio contenga, a pena di nullità, l’avviso che l’imputato può presentare domanda di oblazione, appare in contrasto con:

 

- l’art. 3 Cost., perché pone in essere una irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quanto disposto in relazione al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica dall’art. 552, comma 1, lettera f), e comma 2, cod. proc. pen., ove è previsto non solo l’avviso, ma anche la nullità in caso di omissione;

 

- l’art. 3 Cost., poiché, irragionevolmente, l’avviso non è previsto proprio in relazione a un procedimento connotato da «principi di massima semplificazione e di deflazione del dibattimento»;

 

- l’art. 24, secondo comma, Cost., perché incide sulla facoltà dell’imputato di chiedere tempestivamente di essere ammesso all’oblazione, che è espressione del diritto di difesa;

 

- gli artt. 97, primo comma, e 111, secondo comma, Cost., perché comporta «ritardi nella fase del dibattimento in quanto l’imputato, stante l’assenza dell’informazione non è posto nella condizione di scegliere tale strada alternativa, in anticipo rispetto alla fase dibattimentale» che, di conseguenza, diviene «del tutto obbligata»;

 

che il rimettente ricorda infine che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 497 del 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., nel testo precedente la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (che ha sostanzialmente trasfuso tale disposizione nell’attuale art. 552, comma 2, cod. proc. pen.), nella parte in cui non prevedeva la nullità del decreto di citazione a giudizio in caso di mancanza dell’avviso concernente la facoltà di chiedere i riti alternativi ovvero di presentare domanda di oblazione, per violazione dell’art. 24 Cost.

 

Considerato che le ordinanze di rimessione, aventi uguale tenore testuale, sollevano la medesima questione e deve perciò essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

 

che analoghe questioni, sollevate dallo stesso rimettente, sono già state dichiarate manifestamente infondate con ordinanza n. 231 del 2003 e successivamente con ordinanze n. 11 e n. 10 del 2004;

 

che in particolare nell’ordinanza n. 231 del 2003 questa Corte ha affermato che nell’udienza di comparizione l’imputato è obbligatoriamente assistito, a norma dell’art. 20, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, «da un difensore, di fiducia o d’ufficio, sì che risultano pienamente garantite la difesa tecnica e l’informazione circa le varie forme di definizione del procedimento, anche alternative al giudizio di merito (conciliazione tra le parti, oblazione, risarcimento del danno, condotte riparatorie)» e che «l’udienza di comparizione, ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice, risulta sede idonea per sollecitare e verificare la praticabilità di possibili soluzioni alternative, tra cui, evidentemente, l’estinzione del reato per oblazione prevista dagli artt. 162 e 162-bis cod. pen.»;

 

che nell’occasione la Corte ha inoltre ribadito che il principio di buon andamento dei pubblici uffici non si riferisce all’attività giurisdizionale in senso stretto, bensì all’organizzazione e al funzionamento dell’amministrazione della giustizia (cfr., ex plurimis, sentenza n. 115 del 2001);

 

che, non risultando profili diversi o aspetti ulteriori rispetto a quelli già valutati con le pronunce richiamate, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 97, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Ferrara, con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2004.

 

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

 

Guido NEPPI MODONA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2004.