Sentenza n. 362/2003

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.362

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 71 e 27, commi 16 e 17, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale - Legge finanziaria 2002), promossi con ricorsi delle Regioni Marche, Toscana, Basilicata, Campania e Emilia-Romagna notificati il 22, il 26, il 22 e il 27 febbraio 2002, depositati in cancelleria il 28 febbraio e l’1, il 6, il 7 e l’8 marzo successivi ed iscritti ai numeri 10, 12, 20, 22 e 23 del registro ricorsi 2002.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 giugno 2003 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Massimo Luciani per la Regione Basilicata, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con il ricorso n. 10 del 2002 la Regione Marche ha - fra l’altro - impugnato in via principale nei confronti dello Stato, ai sensi dell’art. 127, secondo comma, della Costituzione, l’art. 71 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale - Legge finanziaria 2002), sostenendo che esso - laddove (sotto la rubrica "Disposizioni in materia di trasferimento di beni demaniali") prevede che "le disposizioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 177, concernente il trasferimento di beni demaniali al patrimonio disponibile dei comuni e la successiva cessione ai privati, si applicano anche alle aree demaniali ricadenti nel territorio nazionale non destinate all’esercizio della funzione pubblica e su cui siano state eseguite opere di urbanizzazione e di costruzione in epoca anteriore al 31 dicembre 1990" - sarebbe lesivo dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Premette la ricorrente: a) che la disposizione impugnata sarebbe direttamente connessa con la legge 5 febbraio 1992, n. 177 (Norme riguardanti aree demaniali nelle province di Belluno, Como, Bergamo e Rovigo, per il trasferimento al patrimonio disponibile e successiva cessione a privati) che ha dettato (agli artt. 1 e 2) una specifica e minuziosa disciplina relativa al trasferimento al patrimonio disponibile di ciascun Comune interessato, in vista della successiva cessione di tali beni ai "privati possessori", delle "aree demaniali ricadenti nel territorio della provincia di Belluno, nonché dei comuni di Solico in provincia di Como, di Seriate in provincia di Bergamo e di Guarda Veneta, Polesella e Papozze in provincia di Rovigo, su cui siano state eseguite in epoca anteriore al 31 dicembre 1983 opere di urbanizzazione da parte di enti o privati cittadini, a seguito di regolare concessione o anche in assenza di titolo alcuno, e quelle ancorché non edificate, ma comunque in possesso pacifico di privati"; b) che l’art. 6 di detta legge ha stabilito che l’acquisto delle aree "ha valore di sanatoria agli effetti urbanistici e fa venir meno le pretese dello Stato per canoni pregressi ed in genere per compensi richiesti a qualsiasi titolo in dipendenza dell’occupazione delle aree".

Dopo tale premessa, la ricorrente ricorda che l’art. 117 della Costituzione - nel testo innovato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - ha ricompreso nell’ambito della legislazione concorrente delle Regioni la materia relativa al "governo del territorio" ed ha stabilito che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Conseguentemente, sarebbe evidente che l’art. 71 della legge n. 448 del 2001, nella parte in cui prevede un possibile passaggio di beni del demanio statale al patrimonio disponibile dei Comuni, con valore di sanatoria agli effetti urbanistici degli abusi commessi, contrasta con le competenze regionali costituzionalmente garantite in materia di governo del territorio, in quanto estenderebbe una disciplina di estremo dettaglio - originariamente limitata ad alcune, specifiche aree demaniali site nelle indicate Province - a tutte le ipotesi di trasferimento di "aree demaniali ricadenti nel territorio nazionale non destinate all’esercizio della funzione pubblica e su cui siano state eseguite opere di urbanizzazione e ricostruzione in epoca anteriore al 31 dicembre 1990". Detta sanatoria acquisterebbe ora il significato e le dimensioni di una sanatoria generalizzata, destinata ad esplicare effetto sul territorio di ciascuna singola Regione, in tal modo incidendo illegittimamente sull’esercizio di competenze costituzionalmente garantite alle Regioni, giacché la potestà legislativa regionale in materia di "governo del territorio" sarebbe caratterizzata da una sfera di autonomia non eliminabile o indebitamente comprimibile dal legislatore nazionale, cui competerebbe solo di stabilire i "principi fondamentali" della materia.

Viceversa, la norma statale impugnata per il suo carattere di assoluto dettaglio sacrificherebbe <<in maniera del tutto illegittima ed incoerente, quel contenuto minimo dell’autonomia legislativa regionale….>> che il legislatore statale nelle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle Regioni non potrebbe comprimere od eliminare, tenuto conto che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi-quadro nazionali devono avere un livello di maggior astrattezza rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale.

1.1. - Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria, nella quale ha chiesto rigettarsi il ricorso, limitandosi a dedurre che la norma censurata <<per evitare effetti indesiderati di sanatoria urbanistica su siti demaniali protetti, in attuazione di un preciso impegno governativo in tal senso, è stata abrogata>> con l’art. 16-bis del decreto legge 28 dicembre 2001, n. 452 (Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonché sui rimborsi IVA, sulla pubblicità effettuata con veicoli, sulle contabili speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento di beni demaniali, sulla giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale della riscossione dei tributi e su contributi ad enti ed associazioni), convertito in legge 27 febbraio 2002.

1.2. - Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione, prendendo atto dell’abrogazione della norma censurata, ha sostenuto che sarebbe cessata la materia del contendere.

2. - Con il ricorso n. 12 del 2002 la Regione Toscana ha - fra l’altro - impugnato anch’essa, nei confronti dello Stato l’art. 71 della legge n. 448 del 2001, per violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.

Anche in questo ricorso, la ricorrente - dopo avere richiamato il contenuto della legge n. 177 del 1992, particolarmente quanto all’art. 6, nonché ricordato il disposto della norma censurata - sostiene che la conseguente previsione di una generalizzata sanatoria agli effetti urbanistici degli abusi commessi sarebbe fortemente lesiva delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite in materia di edilizia, la quale rientra tra le materie affidate alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Sulla premessa che nella previgente formulazione dell’art. 117 della Costituzione, l’edilizia era compresa tra le materie sottoposte a competenza concorrente delle Regioni, in quanto si collocava all’interno dell’urbanistica e che, invece, con la riforma di detta norma costituzionale tutte le materie contemplate nel vecchio testo sarebbero state attribuite in via esclusiva alla competenza regionale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, si assume che tale competenza sarebbe stata lesa.

Inoltre, la norma violerebbe anche la competenza concorrente regionale in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali, una volta considerato che consente l’alienazione del demanio marittimo oggi in concessione ai privati per fini turistico-ricettivi e che la sanatoria degli abusi edilizi suddetta permette di condonare abusi commessi sulle coste che invece dovrebbero essere valorizzate e protette anche per la prevenzione dei rischi idrogeologici. Tali aspetti rientrerebbero nelle materie del governo del territorio e della valorizzazione dei beni ambientali, attribuite alla potestà legislativa concorrente, con la conseguenza che lo Stato dovrebbe limitarsi alla sola determinazione dei principi fondamentali.

Viceversa, la norma impugnata non conterrebbe principi fondamentali - da intendersi come criteri di carattere generale ai quali si ispira la disciplina nazionale della materia - bensì una previsione specifica, di dettaglio, riferita ad un particolare aspetto della materia. Simile disciplina sarebbe ormai preclusa al legislatore statale, per effetto del nuovo rapporto Stato-Regioni delineato dal terzo comma dell’art. 117 della Costituzione in riferimento all’ambito della potestà legislativa concorrente.

2.1. - Anche in questo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria, rilevando l’avvenuta abrogazione della norma impugnata da parte dell’art. 16-bis del d.l. n. 452 del 2001 e deducendo l’inammissibilità del ricorso, sulla premessa che la norma abrogativa ha previsto, altresì, che siano privi di effetti tutti gli atti e i provvedimenti eventualmente adottati in applicazione del citato art. 71, così facendo venir meno ogni efficacia della norma, anche nel periodo intercorso tra la sua emanazione e la definitiva abrogazione.

2.2. - Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione, prendendo atto dell’avvenuta abrogazione della norma censurata, ha sostenuto che il ricorso sarebbe divenuto inammissibile.

3. - Con il ricorso n. 22 del 2002, anche la Regione Campania ha impugnato, nei confronti dello Stato, il citato art. 71 della legge n. 448 del 2001, per violazione degli artt. 3, 9, 114 e 117 della Costituzione, <<nonché dei principi di ragionevolezza e di leale cooperazione fra Stato e regione e per lesione della sfera di competenza della regione>>.

Nel ricorso - sulla premessa del carattere di straordinarietà e del significato derogatorio della disciplina legislativa estesa dalla norma impugnata a tutto il territorio nazionale - si sostiene: a) che gli artt. 114 e 117, secondo comma, Cost. ed il principio di leale collaborazione sarebbero violati, in quanto - non essendo riconducibile la materia alla quale si riferiscono la norma impugnata e quella cui essa fa rinvio (estendendone l’applicazione) ad alcuna di quelle di cui al catalogo del secondo comma dell’art. 117 - l’intervento legislativo dello Stato si sarebbe verificato <<con disposto compiuto ed esaustivo>>, in un ambito materiale in cui lo Stato non avrebbe competenza; b) che l’art. 117 sarebbe violato in riferimento al quarto comma, in quanto la materia urbanistica, sulla quale inciderebbe la norma impugnata si dovrebbe considerare estranea a quella del "governo del territorio" e, dunque, la norma impugnata sarebbe intervenuta su una materia attribuita alla competenza esclusiva delle Regioni; c) che l’art. 117 sarebbe invece violato in relazione al terzo comma, qualora la materia urbanistica si considerasse coincidente con quella del "governo del territorio", giacché la previsione impugnata recherebbe non già un "principio fondamentale della materia", bensì un’analitica disciplina di dettaglio, come confermerebbe anche il fatto che si riferisce a situazioni pregresse e, quindi, in quanto già verificatesi, determinate e concrete; d) che il principio di ragionevolezza - che la Regione ritiene di essere legittimata a dedurre in base al nuovo art. 127 Cost., in quanto Stato e Regione avrebbero ormai una posizione paritaria agli effetti dei vizi deducibili - sarebbe violato: d1) in quanto l’automatica estensione all’intero territorio nazionale di una disciplina eccezionale nata per essere applicata in un ambito territoriale limitato, e qualificata dalla esigenza di risolvere una situazione contingente collegata a quell’ambito territoriale, sarebbe priva di giustificazione, perché non considererebbe le differenze tra luoghi e tra situazioni, unificando <<tutto in un disastroso regime di sanatoria indiscriminata, realizzata anche con potestà straordinarie in deroga alle normative vigenti, con ricadute di estrema gravità sul piano urbanistico e, in genere, sul valore stesso della legalità>>; d2) ed in quanto privo di qualunque giustificazione sarebbe lo spostamento del termine contemplato per il compimento delle opere di urbanizzazione e costruzione, che dall’originario 31 dicembre 1983 viene portato al 31 dicembre 1990; e) che l’art. 9 della Costituzione sarebbe violato, in quanto la norma censurata permetterebbe il consolidarsi di situazioni illegali (peraltro diffuse) in aree di particolare pregio paesaggistico e comprimerebbe la competenza della Regione nella "valorizzazione dei beni ambientali", impedendo scelte di recupero ambientale e vanificando, nel momento in cui si consente la sottrazione di quei beni alla disponibilità e al controllo della mano pubblica, la regolazione regionale in quelle aree.

3.1. - Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria di identico tenore rispetto a quanto dedotto sull’impugnazione della norma censurata nella memoria depositata nel giudizio, di cui al ricorso n. 12 del 2002.

4. - Con il ricorso n. 23 del 2002 anche la Regione Emilia-Romagna ha - fra l’altro - impugnato, nei confronti dello Stato, il citato art. 71 della legge n. 448 del 2001, peraltro in via soltanto cautelativa (per l’ipotesi dell’eventuale rinvio per riesame della legge di conversione al Parlamento), in ragione del fatto che, pur essendo a conoscenza della sua intervenuta abrogazione da parte dell’art. 16-bis della legge di conversione del d.l. n. 452 del 2001, con la previsione che sono posti nel nulla gli effetti da essa prodotti, la norma abrogativa non era al momento del ricorso ancora promulgata.

Le ragioni della censura sono articolate assumendo la violazione dell’art. 117 Cost., giacché la norma impugnata non costituirebbe <<certo espressione di un intervento "di principio" nella materia "governo del territorio", ma una arbitraria intrusione nella politica urbanistica regionale, che favorisce i fenomeni di speculazione abusiva in aree demaniali spesso di ingente valore paesistico-ambientale>> e farebbe venir meno <<le funzioni pubbliche di controllo e di pianificazione urbanistica e paesistica>> ed inoltre, <<se pure si dovesse ammettere che permangono quelle dei comuni, si mettono nel nulla le responsabilità e le funzioni delle Regioni>>.

4.1. - Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria di identico tenore rispetto a quanto dedotto sull’impugnazione della norma censurata nella memoria depositata nel giudizio di cui al ricorso n. 12 del 2002.

4.2. - Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione ha preso atto dell’effettiva avvenuta abrogazione della norma censurata e ha sostenuto che sarebbe venuto meno l’interesse ad una decisione sul merito del ricorso.

5. - Con il ricorso n. 20 del 2002, la Regione Basilicata ha - fra l’altro - impugnato, nei confronti dello Stato, l’art. 27, commi 16 e 17, della legge n. 448 del 2001, per violazione degli artt. 3, 5, 114 e 117 della Costituzione.

Il ricorso premette alcune considerazioni generali, riferite anche alle altre censure (delle quali non si dà conto in questa sede e su cui questa Corte ha deciso con altre pronunce) e precisamente: a) che la legge finanziaria, di cui fa parte la norma censurata, sarebbe in generale <<un esempio emblematico della tendenza (…) a tenere in sostanziale non cale la profonda riforma del Titolo V della Costituzione>>, in quanto, nonostante il rovesciamento dell’enumerazione delle competenze legislative, lo Stato avrebbe seguitato a legiferare come se nulla fosse avvenuto, vuoi intervenendo con propri atti anche in materie assoggettate alla competenza esclusiva delle Regioni, vuoi adottando una normativa di dettaglio nelle materie di competenza concorrente.

Sotto questo secondo aspetto, la ricorrente sottolinea anzitutto che il nuovo art. 117 Cost. ha inteso equiparare pienamente le Regioni e lo Stato quanto alla titolarità della funzione legislativa, sicché, ormai, salve le peculiarità espressamente previste, legge statale e legge regionale sono in posizione di piena equiordinazione ed hanno la stessa dignità, costituendo al medesimo titolo modalità di pieno esercizio della funzione legislativa. Con riferimento alle materie affidate alla competenza concorrente, lo Stato non potrebbe intervenire con norme di dettaglio, pur disponendone la cedevolezza (cioè la derogabilità da parte di successive leggi regionali), giacché tale possibilità sarebbe assolutamente esclusa, di fronte al tenore testuale del terzo comma dell’art. 117, la cui formulazione - affatto inequivoca nel limitare l’intervento della legge statale alla normazione di principio - non lascerebbe ormai alcuno spazio alla prassi affermatasi nel vigore del previgente testo costituzionale, secondo la quale l’adozione di una normativa statale di dettaglio poteva trovare fondamento nell’interesse nazionale.

In proposito, per comprendere il cambiamento del quadro costituzionale, dopo la riforma del Titolo V, andrebbe considerato: a) che, secondo il vecchio testo dell’art. 117 Cost. la Regione poteva emanare norme legislative in varie materie, nel rispetto dei "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato", oltre che dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni, e, quindi, norme legislative di dettaglio; b) che l’art. 17, comma 4, della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario), stabiliva che le Regioni avrebbero potuto legiferare anche in assenza delle leggi statali identificative dei principi fondamentali (cioè delle c.d. "leggi cornice"), ma nel rispetto dei principi comunque desumibili dal complesso della legislazione statale; c) che, comunque, si ammetteva che lo Stato potesse adottare anche norme puntuali di dettaglio, fintanto che la Regione non avesse provveduto ad adeguare la normativa di sua competenza ai nuovi principi dettati dal Parlamento.

La situazione sarebbe ora diversa, dopo la modifica del Titolo V, giacché, mentre prima i principi fondamentali erano qualificati espressamente come un inevitabile limite delle leggi regionali e per tale ragione si era consentito che potessero desumersi da tutte le leggi vigenti, anche in mancanza di vere e proprie "leggi cornice", ora, essendo riservata allo Stato solo la determinazione della normativa di principio, non sarebbe ammesso un intervento legislativo statale con normazione di dettaglio, per quanto cedevole essa possa essere. L’art. 117, comma 3, infatti, affida espressamente allo Stato la fissazione dei principi fondamentali.

D’altro canto, ove pure si reputasse sopravvissuto, l’interesse nazionale potrebbe consentire, oramai, soltanto l’esercizio dei poteri sostitutivi ai sensi dell’art. 120, secondo comma, della Costituzione, ma non l’adozione di una normativa di dettaglio a prescindere da qualsivoglia inerzia regionale. Quest’ultima violerebbe <<l’intero (nuovo) disegno costituzionale delle autonomie>> e sarebbe <<anche manifestamente irragionevole (e perciò in contrasto con l’art. 3, nel suo rapporto con gli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione), poiché, in presenza della garanzia costituzionale dei poteri sostitutivi statali, non vi è alcuna ragione di ricorrere ad una normazione con siffatto contenuto>>.

La disposizione impugnata (come le altre censurate e qui non considerate), invece, avrebbero dettato proprio <<norme di analitico dettaglio>> e, peraltro, senza nemmeno la previsione della loro cedevolezza, cosa che avrebbe reso illegittima la norma anche secondo i previdenti parametri costituzionali.

Con specifico riferimento alla norma censurata, dopo averne richiamato i contenuti, il ricorso specifica la doglianza, osservando che essa sarebbe intervenuta con previsioni di dettaglio, in una materia (quella dell’edilizia) che sarebbe assegnata alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, con conseguente superamento del limite della fissazione dei principi fondamentali per essa stabilito dalla Costituzione, che impedisce alla legge dello Stato di spingersi oltre.

Inoltre, avendo il legislatore disposto la modificazione di alcune prescrizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), recante il testo unico delle norme in materia edilizia - la cui entrata in vigore è stata ripetutamente procrastinata, anche allo scopo di consentire la sua armonizzazione con la revisione del Titolo V della Costituzione, della quale, come avrebbe osservato la dottrina, non sarebbe rispettoso - la censurata normativa sarebbe anche intimamente contraddittoria e irrazionale, <<in quanto (in violazione degli artt. 3 e 5 della Costituzione, in una con le disposizioni del Titolo V) irrispettosa di una scelta prudenziale suggerita proprio dall’entrata in vigore delle nuove norme costituzionali>>.

5.1. - Anche in questo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria, nella quale, sulla censura in oggetto si limita ad osservare che <<l’art. 27 della legge finanziaria riguarda le disposizioni finanziarie per gli enti locali>> e che <<la materia disciplinata, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, non riguarda, quindi, (come si evince chiaramente dall'integrale lettura della norma) l’edilizia, ma la perequazione delle risorse finanziarie che rientra nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato>>.

5.2. - Con memoria depositata nell’imminenza della pubblica udienza, la Regione, oltre a ribadire le premesse generali del ricorso in punto di normativa di dettaglio dopo la riforma del Titolo V, con specifico riferimento alle censure relative all’art. 27, commi 16 e 17, insiste nella prospettazione circa l’inerenza della disciplina al "governo del territorio" e sostiene (riferendosi al comma 17) che anche a voler qualificare "il contributo di edificazione" come "tributo"la norma inciderebbe comunque in quella materia, poiché le previsioni in ordine a contributo condizionano l’esercizio della facoltà di edificare, inerente al diritto di proprietà.

Considerato in diritto

1. - La presente decisione riguarda - fra le questioni poste dai ricorsi n. 10, 12, 20, 22 e 23 del 2002, relative a varie disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale - Legge finanziaria 2002) – solo quelle concernenti l’art. 71 e l’art. 27, commi 16 e 17.

1.1. - Le Regioni Marche, Toscana, Campania ed Emilia-Romagna (rispettivamente con i ricorsi n. 10, 12, 22 e 23) hanno impugnato l’art. 71 della legge n. 448 del 2001, che ha esteso alle aree demaniali statali site in tutto il territorio nazionale, e non destinate all’esercizio della funzione pubblica, il regime previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 177 (Norme riguardanti aree demaniali nelle province di Belluno, Como, Bergamo e Rovigo, per il trasferimento al patrimonio disponibile e successiva cessione a privati), in tema di trasferimento ai Comuni, per la successiva cessione ai privati che avessero costruito su di esse, di aree demaniali ubicate nella Provincia di Belluno e in taluni Comuni delle Province di Como, Bergamo e Rovigo, con conseguente sanatoria agli effetti urbanistici e cessazione di ogni pretesa per canoni o compensi per occupazione.           

La Regione Marche deduce - in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione - la lesione della potestà legislativa concorrente regionale in materia di <<governo del territorio>>, atteso il carattere di dettaglio della disciplina di cui la norma impugnata ha disposto l’estensione.

La Regione Toscana deduce - in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione - la lesione della potestà legislativa esclusiva regionale in materia edilizia, nonché - in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione - la lesione della potestà legislativa concorrente regionale nelle materie del <<governo del territorio>> e della <<valorizzazione dei beni ambientali>>.

La Regione Campania propone una duplice censura. In via principale, deduce - in riferimento all’art. 114 della Costituzione - che lo Stato ha legiferato in ambito estraneo alla sua potestà legislativa e - in riferimento all’art. 117, secondo e quarto comma, della Costituzione - che è stata lesa la potestà legislativa esclusiva regionale in materia urbanistica. In via subordinata, deduce poi - in riferimento agli artt. 114 e 117, terzo comma, della Costituzione - la lesione della potestà legislativa concorrente regionale nelle stesse materie individuate dalla Regione Toscana, nonché - in riferimento agli artt. 9 e 3 della Costituzione - rispettivamente, l’incidenza negativa della norma impugnata sulla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico, e la sua irrragionevolezza.

La Regione Emilia-Romagna infine deduce - in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione - la lesione della potestà legislativa concorrente regionale in materia di <<governo del territorio>>.

1.2. - Dal suo canto la Regione Basilicata, con il ricorso n. 20, ha impugnato i commi 16 e 17 dell’art. 27 della legge n. 448 del 2001, che modificano - rispettivamente - l’art. 3, comma 1, della legge n. 177 del 1992, ricordata al paragrafo precedente, in tema di determinazione del prezzo di cessione delle aree demaniali, e le lettere a), b) e c) del comma 2 dell’art. 42 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), in tema di misura delle sanzioni pecuniarie determinate dalle Regioni per il ritardato o mancato pagamento dei contributi di costruzione.

Secondo la ricorrente, le norme impugnate contrastano con gli artt. 5, 114 e 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto violano la potestà legislativa regionale in materia edilizia. Inoltre la Regione ritiene che il comma 17 violi anche l’art. 3 della Costituzione, in quanto irragionevolmente modifica una disposizione del d.P.R. n. 380 del 2001, la cui entrata in vigore era stata procrastinata essendo dubbia la sua conformità al nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione.

2. - I giudizi, per la parte relativa alle questioni indicate, possono essere riuniti, avendo ad oggetto l’impugnazione della stessa norma (ricorsi n. 10, 12, 22 e 23) ovvero concernendo questioni variamente connesse (ricorso n. 20).

3. - Per quanto concerne l’art. 71 della legge n. 448 del 2001 la materia del contendere è cessata.

Infatti, in pendenza dei giudizi, la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 16-bis, comma 1, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452 (Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonché sui rimborsi IVA, sulla pubblicità effettuata con veicoli, sulle contabili speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento di beni demaniali, sulla giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale della riscossione dei tributi e su contributi ad enti ed associazioni), introdotto dalla legge di conversione 27 febbraio 2002, n. 16. Inoltre lo stesso art. 16-bis ha disposto al comma 2 che sono privi di effetti tutti gli atti e i provvedimenti adottati in applicazione della norma abrogata.

Tale abrogazione - accompagnata dalla citata espressa previsione di inefficacia - non lascia alcuno spazio idoneo a configurare una persistente ragione di contesa fra le parti, come del resto alcune fra le Regioni ricorrenti hanno avvertito con le memorie illustrative.

4. - Anche per la questione relativa al comma 16 dell’art. 27 della legge n. 448 del 2001, proposta dalla Regione Basilicata, la materia del contendere è cessata.

La norma impugnata ha modificato l’art. 3, comma 1, della legge n. 177 del 1992, che disciplinava la determinazione del prezzo di cessione delle aree demaniali considerate dall’art. 1 della stessa legge, localizzate - come rilevato - nel territorio della Provincia di Belluno e in taluni Comuni delle Province di Como, Bergamo e Rovigo. L’estensione, a certe condizioni, della disciplina della cessione di tali aree all’intero territorio nazionale, recata dall’art. 71 della legge n. 448 del 2001, aveva reso quella disciplina applicabile anche alla Basilicata, onde l’interesse della Regione a ricorrere contro la norma. Ma - a seguito della ricordata abrogazione dell’art. 71 ad opera dell’art. 16-bis del decreto-legge n. 452 del 2001, introdotto dalla legge di conversione n. 16 del 2002, con espressa previsione di inefficacia degli atti e provvedimenti eventualmente adottati in base alla norma abrogata - l’ambito spaziale di applicabilità della legge n. 177 del 1992 è ritornato quello originario, limitato a territori diversi dalla Basilicata.

Pertanto la materia del contendere è cessata.

5. - Il comma 17 dell’art. 27 della legge n. 448 del 2001 è impugnato dalla Regione Basilicata anzitutto in riferimento agli artt. 5, 114 e 117, terzo comma, della Costituzione, sotto il profilo che esso viola la potestà legislativa regionale in tema di edilizia.

La questione è infondata.

La norma censurata modifica parzialmente il comma 2 dell’art. 42 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, concernente la misura delle sanzioni pecuniarie determinate dalle Regioni per il ritardato o mancato versamento del contributo di costruzione.

Questo contributo - denominato <<contributo di concessione>> nel previgente regime di cui all’art. 3 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) - è ora disciplinato dall’art. 16 del citato testo unico, che lo considera un effetto del rilascio del permesso di costruire e lo commisura all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione.

In origine l’art. 42 del testo unico - premesso al primo comma che <<le regioni determinano le sanzioni per il ritardato o mancato versamento del contributo di costruzione in misura non inferiore a quanto previsto nel presente articolo e non superiore al doppio>> - distingueva al secondo comma, lettere a), b) e c), tre diverse misure (minime) di aumento percentuale dell’importo del contributo, correlate alla durata del ritardo. Queste percentuali di aumento sono state tutte ridotte dalle modifiche apportate dalla norma oggi impugnata.

5.1. - La norma in esame non può essere ritenuta espressione di una materia oggetto di competenza legislativa residuale della Regione, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione: essa infatti incide sulla materia del <<governo del territorio>>, dal comma 3 del medesimo articolo attribuita alla potestà legislativa concorrente dello Stato (per la determinazione dei principi fondamentali) e delle Regioni (per ogni altro aspetto della disciplina).

Questa Corte ha recentemente affermato (sentenza n. 303 del 2003, n. 11.1. del "Considerato in diritto") che di siffatta materia fa parte l’urbanistica, cui storicamente appartiene la disciplina dei titoli abilitativi ad edificare. Secondo tale sentenza, <<se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuate nello stesso terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel "governo del territorio", appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all'urbanistica, e che il "governo del territorio" sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto>>.

Nella medesima prospettiva, anche l’ambito di materia costituito dall’edilizia va ricondotto al <<governo del territorio>>. Del resto la formula adoperata dal legislatore della revisione costituzionale del 2001 riecheggia significativamente quelle con le quali, nella più recente evoluzione della legislazione ordinaria, l’urbanistica e l’edilizia sono state considerate unitariamente (v. art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione sulle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, modificato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, Disposizioni in materia di giustizia amministrativa).

5.2. - Questi rilievi comportano l’infondatezza della tesi sostenuta dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la norma impugnata sarebbe invece espressione della competenza statale esclusiva in tema di <<perequazione delle risorse finanziarie>>, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, in quanto l’art. 27 della legge n. 448 del 2001, come risulta anche dal tenore letterale della sua rubrica, conterrebbe unicamente disposizioni finanziarie per gli enti locali.

Infatti - a prescindere dall’irrilevanza della formulazione della rubrica del citato articolo e della sua collocazione in una legge finanziaria - il contenuto della norma non ha alcuna finalità perequativa, mirando solo ad attenuare le conseguenze sanzionatorie del ritardato o mancato pagamento del contributo di costruzione.

5.3. - Per risolvere l’indicata questione di legittimità costituzionale occorre pertanto verificare se nella specie sia stato rispettato il criterio per cui, nelle materie di legislazione concorrente, la normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle Regioni la regolamentazione di dettaglio.

Nel testo originario, l’art. 42 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001) non eccedeva l’ambito della determinazione di principi fondamentali, sia quando sceglieva di colpire con una sanzione pecuniaria il ritardato o mancato pagamento del contributo di costruzione, sia quando demandava alla legge regionale di stabilirne discrezionalmente l’importo, all’uopo individuando tre fasce di inadempimento secondo la durata del ritardo e fissando per ciascuna di esse un ammontare minimo ed uno massimo costituito dal suo doppio.

E’ bensì vero che nella nuova versione dell’art. 42 risultante dalla modifica disposta dalla legge impugnata - per effetto della riduzione dei valori minimi di ciascuna fascia, che indirettamente incide anche sui valori massimi - l’ambito entro il quale la legge regionale determina la misura delle sanzioni risulta oggettivamente più angusto rispetto al passato.

Ma si tratta di una modificazione meramente quantitativa, che non tocca la struttura della norma, che pertanto continua - anche nel nuovo testo - ad esprimere principi fondamentali.

5.4. - La censura relativa all’art. 3 della Costituzione è manifestamente inammissibile per genericità: essa infatti si limita all’apodittico assunto secondo cui sarebbe irragionevole la modifica di una disposizione del testo unico in materia edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001), non ancora entrato in vigore per la sua (asserita) dubbia armonizzazione con il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunzie ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale - Legge finanziaria 2002);

riuniti i giudizi, relativamente alle questioni di cui agli artt. 71 e 27, commi 16 e 17, della legge n. 448 del 2001;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 71 della legge n. 448 del 2001, proposta dalla Regione Marche con il ricorso n. 10 del 2002, dalla Regione Toscana con il ricorso n. 12 del 2002, dalla Regione Campania con il ricorso n. 22 del 2002, e dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 23 del 2002;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 16, della legge n. 448 del 2001, proposta dalla Regione Basilicata con il ricorso n. 20 del 2002;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 17, della legge n. 448 del 2001, proposta in riferimento agli art. 5, 114 e 117, comma 3, della Costituzione dalla Regione Basilicata con il ricorso n. 20 del 2002;

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 17, della legge n. 448 del 2001, proposta in riferimento all’art. 3 della Costituzione dalla Regione Basilicata con il ricorso n. 20 del 2002.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2003.