Ordinanza n. 352 del 2003

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ORDINANZA N.352

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo   MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), introdotto dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di liberazione anticipata), promosso con ordinanza del 30 gennaio 2003 dal Magistrato di sorveglianza di Vercelli sull’istanza proposta da C.G., iscritta al n. 246 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Magistrato di sorveglianza di Vercelli ha sollevato, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che al procedimento di liberazione anticipata si applichino le disposizioni regolative del procedimento di sorveglianza, di cui agli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale;

che il giudice a quo premette di essere investito della richiesta di concessione della liberazione anticipata avanzata da un detenuto e di dover fare quindi applicazione della nuova disciplina dettata al riguardo dal citato art. 69-bis — aggiunto dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di liberazione anticipata) — in forza della quale il magistrato di sorveglianza provvede sull’istanza "con ordinanza, adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti";

che ad avviso del rimettente, la norma impugnata – nel prevedere una procedura camerale caratterizzata dall’assenza di un effettivo contraddittorio fra le parti – si porrebbe in contrasto con il principio di inviolabilità del diritto di difesa, sancito dall’art. 24, secondo comma, Cost.;

che la nuova disciplina non si presterebbe, infatti, ad una lettura "costituzionalmente orientata", atta a ricondurla nell’alveo delle procedure garantite dal contraddittorio, non essendo prevista né quella forma "minimale" di partecipazione al procedimento che in altri casi si attua tramite l’audizione dell’interessato; né la facoltà di quest’ultimo di produrre memorie difensive, contemplata viceversa in via generale per i procedimenti di sorveglianza dall’art. 666 cod. proc. pen. (per il richiamo fattone dall’art. 678 cod. proc. pen.): omissione che non potrebbe essere d’altra parte emendata in via di interpretazione estensiva, apparendo l’operazione in contrasto con la ratio legis;

che, inoltre, il previsto obbligo di comunicazione o notificazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza "ai soggetti indicati nell’art. 127 del codice di procedura penale" non varrebbe ad assicurare all’interessato una difesa tecnica, trattandosi di obbligo finalizzato unicamente a consentire la proposizione dell’eventuale reclamo al tribunale di sorveglianza (sede nella quale soltanto sarebbe garantita dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. la difesa tecnica);

che ad escludere la lesione del parametro costituzionale evocato non varrebbe neppure il "tradizionale argomento" per cui, in un procedimento scandito per fasi, il principio del contraddittorio non imporrebbe che il diritto di difesa sia assicurato in ogni singola fase, essendo sufficiente che esso sia garantito nel corso della procedura complessivamente considerata;

che il procedimento in esame non potrebbe essere considerato, infatti, né un sub-procedimento nell’ambito di una scansione procedimentale più ampia (essendo la fase successiva, del reclamo davanti al tribunale di sorveglianza, meramente eventuale); né una fase di tipo cautelare, in rapporto alla quale possa giustificarsi — come per altri istituti propriamente cautelari previsti dallo stesso ordinamento penitenziario — il differimento delle garanzie difensive ad una fase successiva, rispetto a quella nella quale il giudice di prima istanza decide sul provvisorio assetto del diritto azionato;

che, al contrario, il procedimento di cui all’art. 69-bis dell’ordinamento penitenziario sarebbe "esso stesso" la fase processuale a carattere giurisdizionale in cui si decide del diritto azionato dall’interessato a vedersi riconosciuta la riduzione di pena a titolo di liberazione anticipata; senza che, tuttavia, venga in esso assicurata la garanzia defensionale contemplata dalla Carta costituzionale;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che la nuova disciplina del procedimento in materia di liberazione anticipata, che il giudice rimettente assume in contrasto con l’art. 24, secondo comma, Cost. — disciplina in forza della quale il magistrato di sorveglianza decide sull’istanza dell’interessato de plano, salva una fase successiva di reclamo, a contraddittorio pieno, davanti al tribunale di sorveglianza — è stata introdotta dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 in risposta ad esigenze di snellimento procedurale fortemente sentite nella prassi, anche in correlazione all’elevato numero delle istanze di cui si discute;

che, in particolare, veniva avvertita come fonte di ingiustificato aggravio la previsione di un procedimento in contraddittorio, in vista dell’adozione di un provvedimento che ben poteva essere (ed in larga parte dei casi era) di segno positivo e, dunque, consentaneo alla richiesta dello stesso interessato: apparendo, di contro, assai più ragionevole che l’instaurazione di un contraddittorio pieno fosse contemplata solo nel caso di eventuale insoddisfazione del richiedente (o del pubblico ministero) per la decisione assunta;

che, ciò premesso, questa Corte ha peraltro reiteratamente riconosciuto la piena compatibilità con il diritto di difesa di modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito: i quali, cioè, in ossequio a criteri di economia processuale e di massima speditezza, adottino lo schema della decisione de plano seguita da una fase a contraddittorio pieno, attivata dalla parte che intenda insorgere rispetto al decisum (cfr., ex plurimis, rispetto al procedimento per decreto, ordinanze n. 8 del 2003 e n. 432 del 1998 ed i precedenti ivi richiamati);

che tale conclusione si innesta sul consolidato principio secondo cui l’esercizio del diritto di difesa è suscettibile di essere regolato in modo diverso, onde adattarlo alle esigenze ed alle specifiche caratteristiche dei singoli procedimenti: purché di tale diritto siano assicurati lo scopo e la funzione (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 8 del 2003 e n. 203 del 2002 ed i precedenti ivi richiamati);

che le affermazioni di principio ora ricordate sono a maggior ragione riferibili al procedimento in esame, nel quale il giudice è chiamato a decidere su una domanda proposta dalla stessa parte del cui diritto di difesa si discute: particolare che rende tra l’altro non persuasiva la tesi – prospettata (peraltro in termini problematici) dal giudice a quo – secondo cui la mancata previsione espressa della facoltà del richiedente di produrre memorie difensive equivarrebbe a diniego della stessa; potendosi ritenere, al contrario, che se la legge riconosce al condannato il potere di richiedere (su base argomentativa e documentale) l’applicazione di una determinata misura, essa lo abilita con ciò stesso (in assenza di un’esplicita preclusione) anche a successive produzioni a sostegno degli argomenti addotti;

che, d’altra parte, lo stesso valore del contraddittorio — dalla cui compromissione deriverebbe, secondo il rimettente, il vulnus all’art. 24, secondo comma, Cost. — presuppone un contrasto tra parti, e non già tra soggetto richiedente ed organo decidente;

che nell’ipotesi in esame, dunque, più che una violazione del principio del contraddittorio, potrebbe venire semmai in rilievo, dal lato del richiedente, solo un diretto sacrificio del diritto di difesa: evenienza che, peraltro, non può dirsi realizzata, posto che il condannato, da un lato, è in grado di illustrare e "difendere" la propria domanda di liberazione anticipata e, dall’altro, di opporsi ad una eventuale decisione reiettiva;

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Vercelli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2003.