Sentenza n. 334/2003

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SENTENZA N.334

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA   Presidente      

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

- Paolo MADDALENA                     

- Alfio FINOCCHIARO                    

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 5, 6 e 7, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), promosso con ricorso della Regione Toscana, notificato il 26 gennaio 2001, depositato il 5 febbraio 2001 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2001.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 14 ottobre 2003 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ― La Regione Toscana, con ricorso depositato il 5 febbraio 2001, ha sollevato questione di legittimitΰ costituzionale dell’art. 83, commi 5, 6 e 7, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

2. ― La ricorrente premette che il citato art. 83, nell’ambito delle misure adottate con l’art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) per il rispetto degli adempimenti assunti dall’Italia con l’adesione al Patto di stabilità e crescita, dispone la soppressione, con decorrenza dal 1° gennaio 2001, del vincolo di destinazione delle risorse riservate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e prevede che le Regioni, contestualmente all’accertamento dei conti consuntivi sulla spesa sanitaria da effettuare entro il 30 giugno di ogni anno, sono tenute a provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l’autonomia impositiva con le procedure e le modalità indicate ai commi 5, 6 e 7 dello stesso articolo.

Tali commi prevedono:

a) che i Ministri della sanità, del tesoro e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, procedono, sulla base delle risultanze delle gestioni sanitarie, ad accertare gli eventuali disavanzi delle singole Regioni, ad individuare le basi imponibili dei rispettivi tributi regionali e a determinare le variazioni in aumento di una o più aliquote dei tributi medesimi, in misura tale che l’incremento di gettito copra integralmente il predetto disavanzo (comma 5);

b) che entro il 31 ottobre di ogni anno le Regioni deliberano l’aumento delle aliquote dei propri tributi nei termini stabiliti in sede di Conferenza permanente (comma 6);

c) che, in caso di inerzia da parte delle Regioni nell’adozione delle misure di cui al sesto comma, il Governo, previa diffida, provvede in via sostitutiva (comma 7).

3. ― La Regione ricorrente non contesta il principio sancito dall’art. 83, comma 4, della legge in esame, secondo cui l’eventuale disavanzo di gestione della spesa sanitaria deve essere ripianato dalle amministrazioni regionali nella misura in cui lo stesso sia riconducibile alle responsabilità delle Regioni, bensì i commi 5, 6 e 7 dello stesso art. 83, in quanto lesivi delle attribuzioni costituzionalmente garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché dell’autonomia finanziaria e tributaria prevista dall’art. 119 della Costituzione (secondo la formulazione antecedente alla modifica del Titolo V della Costituzione).

4. ― Ulteriore lesione delle attribuzioni regionali, sotto il profilo degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, deriverebbe dalla considerazione che i c.d. tributi propri sono risorse autonomamente utilizzabili dalle Regioni per assolvere all’intero complesso delle loro "funzioni normali", secondo le priorità determinate dagli organi di governo regionale, senza alcun vincolo di specifiche destinazioni. Ne consegue che la previsione per cui l’autorità ministeriale determina gli aumenti dei tributi regionali in misura tale da coprire in modo integrale il disavanzo sanitario a livello regionale interferisce sul normale esercizio delle funzioni che gli artt. 117 e 118 della Costituzione attribuiscono alla Regione.

5. ― Le disposizioni censurate sarebbero altresμ lesive degli artt. 3 e 97 della Costituzione perché differenziano in modo irragionevole le modalità di riequilibrio finanziario a livello regionale nel settore sanitario rispetto a quanto previsto, anche dall’art. 53 della stessa legge n. 388 del 2000, per gli altri settori di intervento della Regione.

6. ― Sempre in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, l’art. 83, commi 5, 6 e 7, della legge n. 388 del 2000 sarebbe lesivo delle attribuzioni regionali, perché impone, quale forma di ripiano integrale dell’eventuale disavanzo sanitario, l’aumento dei tributi regionali. Le Regioni, infatti, ben potrebbero individuare misure alternative per reperire le entrate necessarie al ripiano del deficit sanitario, con la possibilità di vagliare gli impatti delle misure adottabili sulla collettività e di decidere in conseguenza.

7. ― La Regione ricorrente assume, poi, la lesione del principio di copertura finanziaria e di certezza del bilancio garantito dall’art. 81 della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate, prevedendo che l’introito dell’aumento dei tributi regionali sia utilizzato per coprire integralmente il disavanzo sanitario, precludono alle Regioni di ricorrere alla propria potestà tributaria per reperire le risorse necessarie al fine di adempiere ad altri compiti istituzionali programmati.

8. ― La ricorrente, inoltre, ritiene di nessuna validità, per superare le anzidette censure di legittimità costituzionale, il richiamo (previsto dall’art. 83, comma 5) alla previa intesa da assumere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Infatti, la Regione ricorrente ritiene che l’istituto dell’intesa rappresenti sempre un paradigma di concertazione, di coordinamento e di leale cooperazione e quindi uno strumento per l’esercizio in forma collaborativa del potere, con lo scopo di conciliare gli interessi di cui sono portatori Stato e Regioni, a fronte delle interferenze tra le diverse funzioni loro assegnate.

Sennonchè, nella specie, non ricorre un’esigenza di risoluzione di interferenze tra diverse funzioni statali e regionali attraverso la modalità procedimentale dell’intesa, in quanto la Regione è comunque, in materia, titolare dell’autonoma competenza a determinare, entro i previsti limiti, l’entità delle imposte di propria spettanza.

9. ― Altro profilo di censura riguarda la previsione, contenuta nell’art. 83, comma 5, della legge in esame, di affidare a singoli ministri la competenza di individuare le basi imponibili dei tributi regionali e di determinare l’ammontare delle imposte regionali; ciò in quanto, in base all’art. 119, primo comma, della Costituzione, solo la legge statale può fissare i limiti e le forme entro cui può essere esercitata l’autonomia finanziaria regionale.

10. ― Si θ costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso della Regione Toscana venga dichiarato infondato.

  La difesa erariale ritiene che la pretesa della ricorrente poggi su un equivoco di fondo.

  Infatti, il ricorso si limita a censurare i soli commi 5, 6 e 7 dell’art. 83 della legge n. 388 del 2000, senza impugnare il comma 4 dello stesso articolo 83, "il quale inequivocabilmente individua nell’attuazione dell’autonomia impositiva delle regioni il necessario ‘strumento’ per assicurare la copertura degli eventuali disavanzi di gestione delle regioni nel settore sanitario".

Peraltro, osserva l’Avvocatura, in base ai commi 5 e 6 del citato art. 83 della legge n. 388 del 2000, i contestati interventi dei Ministri della sanità, del tesoro e delle finanze si pongono in una fase procedimentale "a valle" rispetto alla preventiva intesa raggiunta in sede di Conferenza permanente e hanno "finalità accertativa, da un lato, e meramente attuativa ed esecutiva, d’altro lato, rispetto alla medesima intesa e al suo contenuto". Talché può ritenersi che la delibera di aumento delle aliquote dei tributi, ai fini del ripiano del disavanzo della gestione, è comunque da intendersi riservata alle Regioni in coerenza con quanto stabilito in sede di Conferenza permanente.

  Non si profila pertanto, ad avviso della difesa erariale, la lamentata interferenza dello Stato nelle attribuzioni regionali: la norma, piuttosto, correttamente individua, in un settore che interessa i diversi livelli di governo statale e regionale come quello della spesa sanitaria, la Conferenza permanente quale sede di raccordo unitario del processo decisionale "volto a realizzare, nel rispetto dell’autonomia di ogni Regione, il coordinato raggiungimento degli interessi pubblici coinvolti".

  11. ― Nell’imminenza dell’udienza hanno presentato memorie sia la Regione Toscana che l’Avvocatura generale dello Stato.

11.1. ― La Regione Toscana, nel richiamare tutte le argomentazioni giΰ esposte nel ricorso, insiste per "la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, rilevando l’infondatezza delle tesi esposte" dalla controparte.

In particolare la ricorrente, rivendicando la propria competenza a determinare autonomamente, entro i limiti previsti, l’entità delle imposte di propria spettanza, pone in evidenza che l’accoglimento del ricorso restituirebbe alla Regione la pienezza dell’esercizio del potere impositivo in materia di tributi regionali e, di conseguenza, la discrezionalità nell’utilizzo del relativo gettito per far fronte ad eventuali disavanzi di gestione nel settore sanitario.

  11.2. ― L’Avvocatura generale dello Stato, ad integrazione di quanto giΰ esposto, rileva che, per effetto del sopravvenuto decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2001, n. 405 – di recepimento dei contenuti dell’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001 – è stata rimessa all’autonomia legislativa regionale la scelta dei mezzi di copertura degli eventuali disavanzi di gestione, ivi inclusi quelli relativi al 2001.

Peraltro, il contestato "meccanismo" applicativo delineato nelle impugnate disposizioni non risulta essere stato mai, sin dall’origine, concretamente attuato; e ciò in collegamento alle richiamate pattuizioni di cui all’intervenuto Accordo "novativo" dell’8 agosto 2001, trasfuso nel citato decreto-legge n. 347 del 2001. Tale Accordo, da un lato, si limita a prevedere la mera comunicazione da parte delle Regioni ai Ministeri della salute e dell’economia e delle finanze, nonché alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dell’accertamento, da parte delle Regioni, dei conti consuntivi della spesa sanitaria; e, d’altro canto, attribuisce alla potestà legislativa regionale la scelta dei mezzi di copertura degli eventuali disavanzi di gestione, con l’introduzione, alternativa o cumulativa, di misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, di variazioni di aliquota dell’addizionale IRPEF e di altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l’adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci.

Essendo mutato il quadro normativo di riferimento, l’Avvocatura chiede che venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente ovvero la cessazione della materia del contendere.

  In via subordinata, la difesa erariale ribadisce le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione.

12. La Regione Toscana, con memoria depositata in data 1° ottobre 2003, chiede che la Corte costituzionale dichiari la sopravvenuta carenza di interesse rispetto al ricorso proposto, in quanto la norma impugnata, che non ha mai trovato applicazione, è stata superata dalla successiva legislazione, non contestata dall’Amministrazione regionale (art. 4 del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito nella legge 16 novembre 2001, n. 405).

Considerato in diritto

1. ― La Regione Toscana solleva questione di legittimitΰ costituzionale dell’art. 83, commi 5, 6 e 7, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), in relazione agli artt. 3, 81, quarto comma, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione (questi ultimi nella formulazione antecedente la modifica del Titolo V della Costituzione), denunciando la violazione delle proprie attribuzioni in materia di autonomia finanziaria e tributaria.

2. ― Si tratta della materia della copertura dei disavanzi sanitari, in relazione alla quale l’articolo 83 della legge n. 388 del 2000, nel recepire talune misure contenute nell’Accordo Stato-Regioni del 3 agosto 2000, ha previsto, al comma 4, che, nel rispetto degli adempimenti assunti dall’Italia con l’adesione al Patto di stabilità e crescita, "a decorrere dal 2001, le singole Regioni, contestualmente all’accertamento dei conti consuntivi sulla spesa sanitaria da effettuare entro il 30 giugno dell’anno successivo, sono tenute a provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l’autonomia impositiva con le procedure e modalità di cui ai commi 5, 6 e 7".

2.1. ― La Regione Toscana non contesta il principio sancito dal citato comma 4 dell’art. 83 della legge n. 388 del 2000, ma censura “le procedure e le modalitΰ" di cui ai commi 5, 6 e 7 dell’articolo in questione.

2.2. ― Le “procedure e modalitΰ" di cui si parla sono le seguenti:

a) i Ministri della sanità, del tesoro e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, procedono, sulla base delle risultanze delle gestioni sanitarie, ad accertare gli eventuali disavanzi delle singole Regioni, ad individuare le basi imponibili dei rispettivi tributi regionali e a determinare le variazioni in aumento di una o più aliquote dei tributi medesimi, in misura tale che l’incremento di gettito copra integralmente il predetto disavanzo (comma 5);

b) di conseguenza, entro il 31 ottobre di ogni anno le Regioni deliberano l’aumento delle aliquote dei propri tributi nei termini stabiliti in sede di Conferenza permanente (comma 6);

c) in caso di inerzia da parte delle Regioni nell’adozione delle misure di cui al sesto comma, il Governo, previa diffida, provvede in via sostitutiva (comma 7).

2.3. ― In sostanza, la Regione Toscana lamenta soprattutto che siano i Ministri e non la Regione ad accertare gli eventuali disavanzi sanitari, ad individuare le basi imponibili dei tributi e a determinare le variazioni in aumento delle aliquote.

2.4. ― Tale quadro normativo è stato profondamente modificato dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2001, n. 405 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), che ha recepito l’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001 in materia sanitaria.

2.5. ¾ Si tratta di una disciplina che ha completamente riconsiderato la materia sanitaria in questione e le modalità di riparto degli oneri tra Stato e Regioni, e che, essendo successiva alla presentazione del ricorso regionale, costituisce ius superveniens nel presente giudizio.

Di fondamentale importanza è l’art. 4 del citato decreto-legge n. 347 del 2001, il quale prevede che l’accertamento dei disavanzi sanitari, a decorrere dal 2001, è effettuato dalle Regioni e comunicato al Ministero della salute ed al Ministero dell’economia e delle finanze, nonché alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali. Lo stesso articolo prevede che gli eventuali disavanzi di gestione sono coperti ora dalle Regioni con le modalità stabilite da norme regionali, le quali prevedono, alternativamente o cumulativamente, l’introduzione di: a) misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l’introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa; b) variazioni dell’aliquota dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste dalla normativa vigente; c) altre misure idonee a contenere la spesa, nonché l’adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci.

2.6. Come si nota, fermo restando il permanere della vigenza del comma 4, dell’art. 83, della legge n. 388 del 2000, l’intera sequenza procedimentale configurata dai commi 5, 6 e 7 dello stesso art. 83, deve ritenersi sostituita dalla nuova disciplina dettata dal citato art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001.

Si deve soggiungere che la sequenza procedimentale dei citati commi 5, 6 e 7 dell’art 83, non ha avuto mai attuazione, a causa delle previste scadenze temporali e del sovrapporsi sulla normativa in esame, delle nuove norme introdotte sulla base dell’Accordo dell’8 agosto 2001.

In sostanza, a seguito della sopravvenuta citata normativa, deve ritenersi caducato (prima che abbia potuto avere pratica attuazione) il comma 5 dell’art. 83, che attribuiva ai Ministri della sanità, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica i poteri di accertamento, di individuazione delle basi imponibili dei tributi regionali e di determinazione delle variazioni in aumento delle aliquote dei tributi medesimi.

E debbono ritenersi caducati, essendo venuto meno detto essenziale momento procedimentale, anche i commi 6 e 7 del medesimo art. 83, i quali prevedevano, rispettivamente, che entro il 31 ottobre di ogni anno le Regioni deliberassero l’aumento delle aliquote dei propri tributi nei termini stabiliti in sede di Conferenza permanente, e che, in caso di inerzia da parte delle Regioni nell’adozione delle misure di cui al sesto comma, il Governo, previa diffida, provvedesse in via sostitutiva.

Peraltro, con memoria depositata il 1° ottobre 2003, la stessa Regione Toscana ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari la sopravvenuta carenza di interesse rispetto al ricorso proposto, in quanto la norma impugnata, che non ha mai avuto applicazione, è stata superata dalla successiva legislazione.

Di conseguenza, deve ritenersi cessata la materia del contendere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 5, 6 e 7, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 81, quarto comma, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2003.