Ordinanza n. 277 del 2003

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ORDINANZA N. 277

 

ANNO 2003

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

-  Riccardo             CHIEPPA                           Presidente

 

-  Gustavo              ZAGREBELSKY                 Giudice                

 

-  Valerio                ONIDA                                      "          

 

-  Carlo                   MEZZANOTTE                        "

 

-  Guido                 NEPPI MODONA                    "

 

-  Piero Alberto      CAPOTOSTI                             "

 

-  Annibale             MARINI                                    "

 

-  Franco                 BILE                                          "

 

-  Giovanni Maria   FLICK                                       "

 

-  Francesco            AMIRANTE                              "

 

-  Ugo                     DE SIERVO                              "

 

-  Romano              VACCARELLA                        "

 

-  Paolo                   MADDALENA                         "

 

-  Alfio                   FINOCCHIARO                       "

 

ha pronunciato la seguente                                                         

 

ORDINANZA

 

nel giudizio per ammissibilità di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 23 marzo 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli, promosso dalla Corte d'appello di Roma, sezione quarta  penale, con ricorso depositato il 27 marzo 2002 ed iscritto al n. 215 del registro ammissibilità conflitti.

 

Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il giudice relatore Valerio Onida.

 

 

Ritenuto che con “ordinanza” depositata il 27 marzo 2002 la Corte d’appello di Roma, nel corso del procedimento penale nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione a mezzo stampa, per aver offeso nel corso di un dibattito pubblico la reputazione di un magistrato, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo (affermando che “solo la mente perversa di alcuni magistrati può permettere di attribuire a Berlusconi l’associazione mafiosa. Loro che arrivano dal Piemonte per inquinare la Sicilia”), con dichiarazioni pubblicate il 27 marzo 1996 dall’agenzia di stampa AGI e dall’agenzia di stampa ANSA, ha nuovamente sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati avverso la deliberazione del 23 marzo 1999 con la quale l’Assemblea, approvando la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, che i fatti ascritti al parlamentare concernono opinioni da questo espresse nell’esercizio delle sue funzioni;

 

che la Corte d'appello ricorrente espone di essere investita del giudizio a seguito di rinvio della Corte di cassazione, che ha annullato la sentenza di secondo grado di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato “trattandosi dello stesso fatto [vale a dire della medesima dichiarazione resa nel corso del dibattito] per il quale sono già stati iniziati in Milano e in Roma più procedimenti penali” [relativi a talune delle pubblicazioni di quelle dichiarazioni, effettuate da diversi organi di stampa – le agenzie ANSA e AGI ed i quotidiani La Stampa, la Repubblica, il Messaggero, il Corriere della Sera –, si legge nella delibera della Camera];

 

che sempre secondo la Corte ricorrente il giudice di legittimità ha invece ritenuto che “il reato di diffamazione a mezzo stampa si consuma con la pubblicazione e non con la dichiarazione che la precede”, e che “la condotta penalmente rilevante viene posta in essere quanti sono i mezzi di diffusione (giornali, radio, televisioni) che riportano il fatto diffamatorio”;

 

che la ricorrente premette ancora che nello stesso giudizio in sede di rinvio il conflitto di attribuzioni sollevato dalla medesima Corte d’appello avverso la stessa delibera di insindacabilità delle dichiarazioni in esame è stato dichiarato da questa Corte inammissibile con la sentenza n. 363 del 2001, sotto il profilo del difetto nell’atto introduttivo della richiesta di una declaratoria di non spettanza alla Camera del potere in contestazione, e di conseguente annullamento della deliberazione impugnata, ed insieme della lacunosa indicazione delle ragioni del conflitto;

 

che ad avviso della Corte d’appello la delibera di insindacabilità della Camera dei deputati del 23 marzo 1999 avrebbe varcato il limite di demarcazione costituzionalmente previsto fra la sfera di attribuzioni spettanti alla stessa Camera e quella riconosciuta all’Autorità giurisdizionale, determinando una menomazione di quest’ultima, in conseguenza dell’esercizio di un potere illegittimo per erronea valutazione dei presupposti; ciò indurrebbe “a ritenere legittimo sollevare conflitto fra poteri dello Stato, al fine dell’annullamento della delibera della Camera”;

 

che secondo la ricorrente l'opinione manifestata dal deputato Sgarbi nel dibattito non sarebbe stata espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari, non si giustificherebbe quindi l’applicazione del divieto posto dall’art. 68 della Costituzione e, conseguentemente, la decisione adottata dalla Camera.

 

Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare se il ricorso sia ammissibile;

 

che, in via preliminare, occorre osservare che la Corte d'appello di Roma, in riferimento alla delibera della Camera dei deputati del 23 marzo 1999, ripropone il conflitto di  attribuzione che questa Corte ha, una prima volta, dichiarato inammissibile, ritenendo “del tutto prioritario il rilievo” del mancato adempimento da parte del ricorrente dell'onere “di precisare nell'atto di promovimento del conflitto, l'oggetto della pretesa che intende fare valere” (sentenza n. 363 del 2001);

 

che acquista rilevanza decisiva che il conflitto contro la stessa delibera della Camera viene riproposto nel medesimo procedimento giurisdizionale dallo stesso giudice  per la seconda volta, cosicché si pone in essere una situazione processuale che appare in oggettivo contrasto con quanto stabilito da questa Corte nella sentenza n. 116 del 2003, secondo cui le finalità e la particolarità dell'oggetto del conflitto di attribuzione tra poteri fanno emergere, nel quadro della disciplina della legge 11 marzo 1953, n. 87, “l'esigenza costituzionale che il giudizio, una volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle parti confliggenti”;

 

che non è quindi ammissibile mantenere indefinitamente in sede processuale una situazione di conflittualità tra poteri, protraendo così ad libitum il ristabilimento della “certezza e definitività di rapporti”, essenziale ai fini di un regolare svolgimento delle funzioni costituzionali (cfr. sentenza n. 116 e ordinanze n. 153 e n. 188 del 2003);

 

che pertanto deve essere esclusa, sulla base delle argomentazioni già svolte da questa Corte e che qui si ribadiscono, la  riproponibilità (dopo una dichiarazione di inammissibilità) del conflitto in esame e conseguentemente lo stesso deve essere dichiarato inammissibile (ordinanza n. 214 del 2003).

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Corte d'appello di Roma, nei confronti della Camera dei deputati, con l'atto indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8  luglio 2003.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente e Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2003.