Sentenza n. 263/2003

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SENTENZA N.263

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’ordinanza emessa dalla Corte di assise di Reggio Calabria il 16 novembre 1998, in un procedimento penale a carico dell’on. Amedeo Gennaro Matacena, promosso con ricorso della Camera dei deputati notificato il 20 giugno 2001, depositato in cancelleria il 3 luglio successivo ed iscritto al n. 20 del registro conflitti 2001.

Visti gli atti di costituzione della Corte di assise di Reggio Calabria e del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Camera dei deputati, Giovanni Pitruzzella per la Corte di assise di Reggio Calabria e Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso depositato il 14 dicembre 2000, la Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte di assise di primo grado di Reggio Calabria, chiedendo alla Corte:

a) di dichiarare che non spetta a quel Giudice stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione del deputato alle udienze penali, epperciò causa di giustificazione della sua assenza, il diritto-dovere di assolvere il mandato parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea;

b) di annullare, per l’effetto, l’ordinanza 16 novembre 1998, con cui lo stesso Giudice aveva rigettato la richiesta della difesa dell’on. Matacena di giustificare l’assenza dell’imputato all’udienza in ragione dell’impedimento parlamentare (attestato da un telegramma del Presidente della Camera dei deputati), disponendo procedersi e dichiarando la contumacia dell’imputato.

Nella menzionata ordinanza, la Corte d’assise faceva leva sul fatto che l’on. Matacena aveva giustificato la propria assenza "adducendo la concomitanza di lavori parlamentari", ma non aveva specificato se "parteciperà a detti lavori o se la sua presenza per eventuali votazioni o interpellazioni prenotate sia oggi indispensabile in Parlamento".

La Camera dei deputati ritiene che sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi del conflitto. In particolare, essa esclude che il ricorso intenda censurare non già la carenza del potere del giudice, ma un semplice error in iudicando: ciò che è in contestazione è proprio la titolarità, in capo al giudice, del potere di negare che l’impegno in votazioni in assemblea sia valida causa di giustificazione dell’assenza, all’udienza penale, del parlamentare interessato.

Sussisterebbe anche l’interesse a ricorrere della Camera, che si collega alle affermazioni dell’ordinanza impugnata, là dove si presuppone, erroneamente, che vi siano votazioni per le quali la presenza del parlamentare è indispensabile e votazioni per le quali tale presenza indispensabile non è.

Nella specie, dai resoconti parlamentari risulterebbe che, nella giornata del 16 novembre 1998, la Camera dei deputati ha iniziato la propria seduta alle ore 12.05, con votazioni elettroniche, alle quali il deputato Matacena ha partecipato, in ordine ai disegni di legge n. 5267 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) e 5349 (Conversione in legge del decreto-legge n. 335 del 1998: lavoro straordinario).

L’ordinanza impugnata avrebbe avuto come effetto quello di anteporre le esigenze processuali alla funzione parlamentare. In concreto, i valori collegati alla funzione parlamentare sono stati posti su un gradino inferiore rispetto a quelli attinenti alla funzione giurisdizionale. Di qui l’interesse della Camera ad ottenere una pronuncia della Corte che ristabilisca il corretto rapporto tra potere giudiziario e potere legislativo, in riferimento ai valori costituzionali che detti poteri rappresentano.

Su questo interesse non inciderebbe il fatto che l’on. Matacena abbia preso parte alle votazioni fissate in concomitanza con l’udienza innanzi alla Corte di assise di Reggio Calabria, trattandosi di determinazione strettamente personale del deputato, che ha sacrificato il proprio diritto di difesa al diritto-dovere di partecipazione ai lavori parlamentari; determinazione estrinseca rispetto alla concreta lesività dell’atto impugnato e che non elimina l’oggettiva incertezza circa le condizioni alle quali gli impegni parlamentari giustificano l’allegazione di un impedimento.

Nel merito, la ricorrente Camera dei deputati chiede che venga considerato, per i suoi componenti, impedimento assoluto a comparire in udienza, e quindi causa di giustificazione dell’assenza, non già la necessità di partecipare a qualsivoglia lavoro parlamentare, bensì soltanto quella di assolvere il mandato parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea. L’attività di votazione infatti non è delegabile ad altro parlamentare, e va esercitata personalmente. Né sarebbe possibile che il deputato chieda od ottenga lo spostamento della votazione, onde conservare la possibilità di partecipare, non essendovi possibilità di rimedio all’assenza. Diverso è invece il regime delle altre attività parlamentari. Ove infatti il deputato intenda partecipare ad una discussione, ovvero sia programmato un suo intervento su un determinato provvedimento, ma sia contemporaneamente convocato dal giudice penale per un procedimento nei propri confronti, egli può ben chiedere lo spostamento ad altra data dell’esame del provvedimento, e la prassi consolidata è nel senso che – ove possibile – il rinvio venga concesso.

In primo luogo, il mancato riconoscimento giudiziale dell’assoluto impedimento a comparire all’udienza penale del deputato impegnato in una votazione assembleare, determinando un grave ostacolo alla partecipazione ad essa del deputato, comprimerebbe l’indipendenza e l’autonomia della Camera, violando gli artt. 64, 68 e 72 della Costituzione, i quali garantiscono quell’indipendenza e quell’autonomia sia sotto il profilo del potere della Camera di disciplinare con autonomo regolamento la propria organizzazione e il funzionamento dei propri lavori, con particolare riferimento alla funzione legislativa, sia per quanto attiene alla posizione di indipendenza dei singoli membri della Camera, riconosciuta dalla Costituzione quale strumento di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia dell’istituzione di appartenenza.

L’atto impugnato porrebbe inoltre a rischio la funzionalità dell’Assemblea, compromettendo la formazione dei quorum strutturali e funzionali richiesti per la validità delle deliberazioni. La ricorrente denuncia, al riguardo, la violazione delle seguenti disposizioni della Costituzione: dell'art. 64, terzo comma, anche in riferimento agli artt. 64, primo comma, 73, secondo comma, 79, primo comma, 83, terzo comma, 90, secondo comma, 138, primo e terzo comma; nonché dell’art. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; dell’art. 3 della 1egge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2; degli artt. 9, comma 3, e 10, comma 3, della 1egge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1. Essendo la partecipazione dei parlamentari alle sedute preordinate alle votazioni, nonché alle votazioni medesime, indispensabile, nei termini quantitativi imposti dalla Costituzione, per la validità degli atti deliberativi, ogni impedimento a tale partecipazione si risolve in impedimento alla funzionalità del Parlamento, e dunque nella (pur potenziale) compromissione delle attribuzioni del potere legislativo. Né si potrebbe opporre che la lesione delle prerogative parlamentari deriverebbe, comunque, dalla scelta del singolo deputato. Ad avviso della ricorrente, perché tale obiezione fosse fondata, infatti, occorrerebbe che detta scelta fosse effettivamente libera, potendo il deputato optare, senza condizionamenti di sorta, per la partecipazione o meno alla votazione parlamentare. Ma detta scelta non sarebbe affatto libera, né priva di condizionamenti, in quanto il deputato sottoposto a procedimento penale esercita, partecipando alle udienze, il proprio diritto costituzionale alla difesa in giudizio; l’adempimento del dovere di partecipazione alle votazioni (funzionale al valido esercizio delle attribuzioni della Camera), confliggerebbe quindi, in questo caso, con un primario diritto costituzionale.

La Camera lamenta inoltre la coartazione (ab extrinseco) della libertà dell’espletamento del mandato parlamentare, denunciando la violazione degli artt. 67 e 68 della Costituzione, anche in riferimento ai parametri sopra invocati. Sulla premessa che le prerogative che la Costituzione riconosce ai singoli deputati non sono loro guarentigie personali ma strumenti funzionali all’integrità della posizione costituzionale delle istituzioni di appartenenza, la ricorrente sostiene che, ogni volta che viene leso il libero esercizio del mandato parlamentare, garantito dall'art. 67 della Costituzione in una con l'art. 68, si ledono perciò l'autonomia e l'indipendenza della Camera di appartenenza, che in tanto possono sussistere, in quanto i singoli componenti siano tutelati nella loro libertà di esercitare il mandato parlamentare senza impedimenti.

Infine, l’ordinanza della Corte d’assise sacrificherebbe integralmente, nel conflitto tra valori di pari rango costituzionale, in violazione dell’art. 3 Cost., quelli dell’autonomia, indipendenza e funzionalità delle istituzioni parlamentari, rispetto a quello dell’efficienza del processo, senza consentire di raggiungere, attraverso il bilanciamento delle contrapposte esigenze ed il rispetto del principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, un punto di equilibrio, reso possibile dal non quotidiano espletamento delle votazioni, idoneo a garantire la certezza del diritto.

L’ordinanza della Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria provvederebbe in realtà alla salvaguardia d'uno solo degli interessi in conflitto, sacrificando integralmente l'altro, mentre il modello disegnato dalla giurisprudenza costituzionale sarebbe diverso, occorrendo, come è stato precisato dalla sentenza n. 379 del 1996, un "equilibrio razionale e misurato tra le istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori connessi all'esercizio della giurisdizione ... e la salvaguardia di ambiti di autonomia parlamentare ...".

2.– Questa Corte, con ordinanza n. 178 del 2001, ha dichiarato ammissibile il predetto conflitto di attribuzione proposto dalla Camera dei deputati, estendendo la notifica del ricorso, oltre che alla Corte di assise di primo grado di Reggio Calabria, anche al Senato della Repubblica, stante l’identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in relazione alle questioni di principio da trattare.

Il ricorso è stato successivamente notificato e regolarmente depositato con la prova delle avvenute notifiche.

3.– Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la Corte di assise di primo grado di Reggio Calabria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ovvero per difetto della materia del conflitto e, nel merito, per la non fondatezza del medesimo.

In relazione alla carenza di interesse a ricorrere, la Corte di assise resistente rileva che tra gli accadimenti assunti dalla Camera come lesivi delle proprie attribuzioni costituzionali e la proposizione del conflitto sono trascorsi circa due anni. Sebbene l’esperimento del ricorso non sia sottoposto al alcun termine di decadenza, tuttavia ciò non potrebbe in alcun modo tradursi nella perenne precarietà degli atti dei pubblici poteri, sussistendo interessi di primaria importanza che spingono verso una qualche delimitazione della sfera temporale nel cui ambito può essere proposto il ricorso.

In ogni caso, ad avviso della Corte d’assise, l’interesse a ricorrere per la Camera dei deputati, ove pure fosse stato sussistente al momento della proposizione del conflitto, sarebbe ormai indubbiamente venuto meno, giacché, a seguito delle ultime elezioni politiche che hanno portato al rinnovamento della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, l’on. Matacena non ricopre più la carica di deputato. La sopravvenuta estraneità dell’on. Matacena alla Camera oggi ricorrente renderebbe del tutto indipendenti le vicende del primo da quelle della seconda e ciò determinerebbe la sopravvenuta carenza di interesse.

La resistente ritiene in conclusione che l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici – particolarmente forte là dove essa riguarda i rapporti apicali nell’ordinamento costituzionale – e l’esigenza di evitare che la possibilità di sollevare il conflitto si presti a strumentalizzazioni, spingerebbero a considerare il conflitto tempestivamente proposto anche a distanza di molto tempo dagli accadimenti denunciati solo ove sussistano delle ragioni giustificatrici: ragioni che invece palesemente non sarebbero sussistenti nel caso di specie.

Inoltre, ad avviso della resistente, che richiama in proposito l’ordinanza n. 101 del 2000 di questa Corte, il ricorso sarebbe inammissibile perché farebbe assolutamente difetto la materia del conflitto, non potendo costituire oggetto di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato il modo in cui l’autorità giurisdizionale conforma il concreto atteggiarsi del diritto di difesa nei procedimenti che si svolgono dinanzi a sé.

Sempre in via preliminare, la Corte di assise di Reggio Calabria deduce che la mancanza di interesse della Camera ricorrente alla risoluzione del conflitto risiederebbe anche nel fatto che l’on. Matacena avrebbe regolarmente partecipato ai lavori parlamentari svoltisi in data 16 novembre 1998, preferendo adempiere al suo mandato rappresentativo anziché presenziare all’udienza del processo che lo vedeva coinvolto in qualità di imputato. Non sussisterebbe quindi in alcun modo la necessità di ripristinare un assetto di attribuzioni vulnerato dal cattivo esercizio del potere giurisdizionale: anche se la valutazione operata dal giudice dovesse ritenersi erronea, essa non si tradurrebbe comunque in una lesione dell’attività della Camera, ma rimarrebbe mero error in iudicando, contro il quale l’unico soggetto eventualmente leso (il deputato-imputato on. Matacena) avrebbe a disposizione i consueti rimedi endoprocessuali.

Osserva la Corte d’assise resistente che il ricorso della Camera dei deputati, ove accolto, avrebbe l’effetto non già di ripristinare il corretto svolgimento della funzione che in forza delle norme costituzionali esercita l’odierna ricorrente, bensì quello di ribaltare la posizione processuale dell’imputato. Si tratterebbe di una finalità del tutto estranea allo strumento del conflitto, che peraltro porrebbe il deputato sottoposto a procedimento penale in una condizione di vero e proprio privilegio, potendo costui usufruire di un rimedio ulteriore per reagire ai provvedimenti giurisdizionali che lo riguardano rispetto a quelli a disposizione dei comuni imputati.

Nel merito, la difesa della Corte d’assise condivide la tesi, sostenuta dalla Camera ricorrente, secondo cui l’impedimento parlamentare deve essere considerato assoluto ed insuperabile solo nel caso in cui attenga alla partecipazione a votazioni dell’Assemblea, e non anche quando attenga a diverse attività dei deputati. Ma proprio applicando la regola proposta dalla ricorrente al caso in questione, si dovrebbe concludere che la Corte d’assise abbia correttamente esercitato il proprio potere. All’udienza del 16 novembre 1998, infatti, la difesa dell’on. Matacena chiedeva di giustificare l’assenza dell’imputato all’udienza medesima, motivando detta richiesta sulla base di un telegramma proveniente dalla Presidenza della Camera dei deputati, nel quale si faceva riferimento a semplici e generici lavori parlamentari previsti per quello stesso giorno.

Né d’altra parte potrebbe essere fatta valere la circostanza che in effetti in data 16 novembre 1998 si sono svolte concrete attività di votazione: sia perché "il presente giudizio non può che prendere in considerazione le modalità con le quali è stato esercitato il potere da parte della Corte d’assise, e dunque il modo in cui è stato calibrato il potere stesso in relazione agli elementi che il giudice poteva utilizzare nel momento in cui il potere è stato esercitato", sia perché l’onere di provare la sussistenza delle circostanze che costituiscono valida causa di giustificazione dell’assenza incombe sull’imputato, non potendo addossarsi alla Corte d’assise l’onere di verificare se, per caso, tra i generici "lavori parlamentari" indicati nel telegramma proveniente dalla Presidenza della Camera vi fossero anche votazioni.

4.– Si è costituito innanzi a questa Corte anche il Senato della Repubblica, il quale ha concluso chiedendo che la Corte riconosca la fondatezza dei principi affermati nel ricorso della Camera dei deputati, in particolare del principio di leale collaborazione fra i poteri titolari della funzione giurisdizionale e i poteri titolari della funzione parlamentare, nelle ipotesi in cui la presenza fisica di un singolo parlamentare sia necessaria al corretto esercizio di entrambe le funzioni, e, conseguentemente, dichiari l’annullamento dell’ordinanza 16 novembre 1998 della Corte di assise di primo grado di Reggio Calabria.

In particolare, il Senato afferma il proprio interesse alla definizione del presente giudizio per conflitto di attribuzione. Sostiene al riguardo che la Corte di assise, a fronte della richiesta di rinvio dell’udienza presentata dalla difesa dell’on. Matacena, avvalorata da un telegramma del Presidente della Camera dei deputati attestante la concomitanza di lavori parlamentari, si è limitata, dopo una brevissima camera di consiglio, a rilevare l’assenza di qualunque specificazione in ordine sia alla effettiva partecipazione del deputato ai lavori della Camera di appartenenza sia al carattere di "indispensabilità" di quella partecipazione. In tal modo, però, il giudice di Reggio Calabria avrebbe direttamente e unilateralmente negato la posizione di autonomia costituzionale della Camera di appartenenza del parlamentare inquisito, determinando una grave e indebita interferenza sul corretto esercizio delle funzioni degli organi parlamentari, almeno da tre diversi punti di vista: per l’erroneo presupposto che si possano e si debbano distinguere attività degli organi parlamentari in cui la presenza dei componenti l’organo sia "indispensabile" rispetto ad attività in cui tale presenza "indispensabile" non sia; per l’assoluta prevalenza data ai valori costituzionali collegati con l’esercizio della funzione giurisdizionale rispetto ai valori attinenti alla funzione parlamentare, con integrale sacrificio dei secondi; per la mancata ricerca del necessario coordinamento con gli organi della Camera dei deputati (e, in particolare, con la Presidenza che si era appositamente attivata inviando il telegramma), al fine di acquisire le ulteriori informazioni e specificazioni ritenute assenti nell’istanza di rinvio presentata dalla difesa del deputato.

5.– In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica.

5.1.– Replicando alle eccezioni sollevate dalla Corte di assise nell’atto di costituzione, la Camera dei deputati esclude che il ricorso presenti alcun profilo di inammissibilità.

Quanto alla pretesa tardività del ricorso, si osserva che nei conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato vi è (al contrario di quanto accade per i conflitti tra Stato e Regione) completa assenza di un termine di decadenza per la promozione del conflitto. Ciò significa che il conflitto può essere proposto quando il soggetto leso lo ritiene opportuno, senza che il fluire del tempo possa minimamente condizionare tale decisione.

La decisione della Camera dei deputati in ordine al quando, pertanto, non sarebbe sindacabile né censurabile, ma costituirebbe esercizio di quella discrezionalità che i Costituenti hanno, consapevolmente, inteso conferire ai protagonisti dei (possibili) conflitti interorganici.

Né potrebbe sostenersi che l’interesse al ricorso abbia perduto la propria attualità, in ragione della perdita della qualità di deputato dell’on. Matacena, non riconfermato alle elezioni politiche del 13 maggio 2001. Infatti, il conflitto è strumento funzionalizzato alla tutela delle attribuzioni dei poteri dello Stato, non certo dei singoli loro componenti, sicché le vicende personali di costoro non inciderebbero minimamente sul vulnus inferto alle loro prerogative, né sull’interesse a restaurare il corretto rapporto tra i poteri.

La Camera esclude altresì che il conflitto sia stato impiegato per contestare il modo in cui l’autorità giurisdizionale ha conformato il diritto di difesa nel singolo procedimento giurisdizionale. Al riguardo, la ricorrente osserva che la Corte, con la sentenza n. 225 del 2001, avrebbe definitivamente chiarito che, mentre per quanto riguarda un singolo parlamentare, "le posizioni giuridiche protette nella sua qualità di imputato … e i correlati diritti di impugnazione e di difesa, restano sempre suscettibili di essere fatti valere con gli ordinari strumenti processuali", le prerogative della Camera di appartenenza, invece, possono essere salvaguardate solo con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione.

Priva di rilievo sarebbe infine l’eccezione che fa leva sul fatto che "l’on. Matacena ha regolarmente partecipato ai lavori parlamentari svoltisi in data 16 novembre 1998". Anche nella fattispecie scrutinata con la sentenza n. 225 del 2001, invero, il parlamentare destinatario del provvedimento giudiziale impugnato dalla Camera aveva partecipato ai lavori parlamentari anziché all’udienza penale, ma tale scelta è stata considerata irrilevante.

Nel merito, la Camera ricorrente richiama la sentenza n. 225 del 2001 ed afferma che tale pronuncia "costituisce un puntuale precedente in termini, dal quale l’esigenza di accoglimento del ricorso esce decisivamente rafforzata". Ribadisce inoltre che la Corte di assise avrebbe operato una distinzione tra votazioni meritevoli e votazioni non meritevoli di determinare un impedimento assoluto. L’ordinanza da cui è sorto il conflitto avrebbe infatti inteso richiedere al parlamentare di provare se alla Camera si tenessero votazioni (ovvero, fossero previste non meglio precisate "interpellazioni") alle quali fosse indispensabile che il parlamentare medesimo partecipasse, con ciò dando per scontato che potessero e possano darsene di altre, per le quali tale indispensabilità non ricorra. Il che sarebbe non soltanto errato, ma anche lesivo delle prerogative costituzionali della ricorrente Camera dei deputati.

In ogni caso, alla luce della sentenza n. 225 del 2001, il giudice è tenuto a valutare l’assolutezza o meno dell’impedimento derivante dai lavori parlamentari quale che sia il contenuto di questi, poiché è arduo operare una netta "distinzione … fra diversi aspetti dell’attività del parlamentare, tutti riconducibili egualmente ai suoi diritti e doveri funzionali". Fermo restando, dunque, che per la ricorrente Camera dei deputati solo la previsione di votazioni dovrebbe determinare sempre l’insorgenza di un impedimento assoluto a partecipare ad udienze giudiziarie, sarebbe comunque (ed almeno) dovere del giudice procedente valutare sempre la natura dell’impedimento, tanto più che il generale dovere di leale cooperazione tra soggetti istituzionali avrebbe dovuto indurre il giudice procedente ad accertare quali lavori parlamentari fossero previsti, in concreto, per il 16 novembre 1998.

5.2.– Anche il Senato della Repubblica replica alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Corte d’assise, escludendo in particolare che la Camera, attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, abbia utilizzato il conflitto di attribuzione semplicemente per richiedere alla Corte di correggere l’erronea applicazione da parte del giudice ordinario delle norme processuali sul legittimo impedimento a comparire alle udienze, giacché con il ricorso della Camera si chiede in realtà l’accertamento dell’interferenza nelle attribuzioni costituzionali del potere ricorrente derivata dall’ordinanza della Corte di assise di Reggio Calabria. Del resto, anche questa Corte, nella sentenza n. 225 del 2001, avrebbe pienamente condiviso questa impostazione, sindacando l’atto emanato dal potere giurisdizionale solo attraverso elementi di carattere estrinseco, relativi non al merito della decisione adottata, ma piuttosto al corretto esercizio del potere spettante all’autorità giudiziaria, secondo lo schema tipico dei conflitti da menomazione o da interferenza. Le censure mosse dal giudice costituzionale alle ordinanze annullate nella richiamata pronuncia risultano chiaramente finalizzate, in via esclusiva, ad accertare la sussistenza della lamentata compressione della sfera di potere delle due Camere e non hanno affatto lo scopo di sanzionare un errore di interpretazione della legge.

Nel merito – richiamati i principi che questa Corte ha enunciato nella sentenza n. 225 del 2001 – il Senato della Repubblica sostiene che la Corte di assise, anziché seguire un equilibrato uso degli strumenti di leale coordinamento, che permettono di stabilire una corretta relazione tra le sfere di autonomia costituzionale della giurisdizione e del Parlamento, avrebbe provocato direttamente la lesione delle attribuzioni costituzionali della Camera ricorrente.

In primo luogo, perché la scarna motivazione della decisione di non giustificare l’assenza del deputato Matacena all’udienza presupporrebbe erroneamente una distinzione tra "attività parlamentari a presenza indispensabile" e "attività parlamentari a presenza non indispensabile".

In secondo luogo, perché il comportamento complessivo del giudice di Reggio Calabria non risulterebbe propriamente leale e collaborativo. In una breve camera di consiglio e con una formalistica, quasi laconica, motivazione dell’ordinanza, la Corte di assise si è limitata a considerare il dato meramente testuale della mancata specificazione del telegramma inviato dal Presidente della Camera. Sono elementi che renderebbero evidenti, da un lato, la sostanza di una decisione volta a salvaguardare interamente e pregiudizialmente i valori costituzionali collegati all’esercizio della giurisdizione e a sacrificare – altrettanto interamente e pregiudizialmente – i valori attinenti alle funzioni parlamentari; dall’altro, la totale negazione della stessa materiale possibilità di ricercare il necessario coordinamento con la posizione di autonomia costituzionale del Parlamento, attraverso, ad esempio, la diretta consultazione del calendario dei lavori della Camera (come noto, disponibile in rete), oppure l’attivazione di un contatto diretto con la Presidenza dell’organo che aveva inviato il telegramma.

Né, al riguardo, potrebbe sostenersi che l’onere di provare la sussistenza delle circostanze che costituiscono valida causa di giustificazione dell’assenza incombe sull’imputato e che dunque il giudice sarebbe tenuto a decidere esclusivamente sulla base di quanto risulti dagli atti di causa. Tale assunto – si osserva – può forse valere per le ipotesi in cui non vengano in questione interferenze tra la funzione giurisdizionale e le attribuzioni costituzionali di altri poteri dello Stato; ma non può certamente valere quando queste interferenze vi siano, giacché in queste ipotesi sul giudice incombe il preciso obbligo di assicurare (anche, evidentemente, con l’adozione di proprie autonome iniziative) il corretto e leale contemperamento di tutte le esigenze costituzionali.

Infine, la lesione delle attribuzioni costituzionali della Camera ricorrente ad opera della Corte di assise di Reggio Calabria sarebbe resa palese dal fatto che il giudice non avrebbe mostrato di prendere in considerazione alcuna soluzione alternativa idonea a consentire il corretto bilanciamento tra le attribuzioni costituzionali in gioco, né avrebbe sentito il bisogno di motivare in alcun modo la propria decisione in ordine all’impraticabilità di una qualunque forma di contemperamento che fosse in grado di evitare il sacrificio totale delle esigenze parlamentari.

Considerato in diritto

 

1.– Il ricorso per conflitto di attribuzioni è stato proposto dalla Camera dei deputati, con atto depositato il 14 novembre 2000, contro la Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria, in relazione all’ordinanza da questa emessa il 16 novembre 1998 nell’ambito del processo nei confronti di Amedeo Gennaro Matacena, all’epoca componente della Camera dei deputati.

Alla prima udienza del processo, che in seguito è stato riunito con altro pendente nei confronti di diversi imputati, la difesa del deputato Matacena chiedeva di giustificare l’assenza del medesimo, producendo un telegramma del Presidente della Camera dei deputati in cui, in relazione al processo in questione, fissato presso la Corte d’assise di Reggio Calabria per lunedì 16 novembre 1998, si comunicava che in detta data erano "previsti lavori parlamentari". La Corte decideva nel modo seguente: "Ritenuto che l’imputato ha giustificato la propria assenza adducendo la concomitanza di lavori parlamentari, atteso che non appare specificato se esso Matacena parteciperà a detti lavori o se la sua presenza per eventuali votazioni o interpellazioni prenotate sia oggi indispensabile in Parlamento, (…) attesa la genericità delle giustificazioni addotte non le ritiene fondate, conseguentemente essendo stata la notifica del decreto che dispone il giudizio regolarmente effettuata, ed essendo il Matacena oggi assente non adducendo valide giustificazioni, ne dichiara la contumacia".

La Camera ricorrente, premesso di ritenere doversi considerare in ogni caso assoluto l’impedimento del parlamentare imputato solo nel caso – verificatosi nella specie – di concomitanza di votazioni in assemblea, lamenta in primo luogo la violazione degli articoli 64, 68 e 72 della Costituzione in relazione alla lesione della autonomia organizzativa della Camera stessa e della indipendenza dei suoi membri; in secondo luogo, la violazione dell’art. 64, terzo comma, della Costituzione anche in riferimento alle altre norme costituzionali che prescrivono speciali maggioranze per le deliberazioni delle Camere, a causa dell’impedimento alla funzionalità del Parlamento che discenderebbe dall’ostacolo frapposto alla partecipazione del parlamentare alle votazioni; in terzo luogo, la violazione degli artt. 67 e 68 della Costituzione per la lesione al libero esercizio del mandato parlamentare, che si tradurrebbe in lesione dell’autonomia e dell’indipendenza della Camera. Lamenta ancora, infine, la mancanza, nell’atto impugnato, di un bilanciamento fra le esigenze, entrambe di rilevanza costituzionale, della speditezza del processo e della libera esplicazione del mandato parlamentare nonché della funzionalità delle assemblee; e la violazione del principio di leale collaborazione.

La Camera chiede pertanto dichiararsi che "non spetta alla Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione del deputato alle udienze penali, e perciò causa di giustificazione della sua assenza, il diritto-dovere del deputato di assolvere il mandato parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea", e conseguentemente annullarsi l’ordinanza impugnata.

2.– Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 178 del 2001, ed è stato in seguito regolarmente notificato e depositato. Questa Corte ha disposto la notifica del ricorso anche al Senato della Repubblica, che si è a sua volta costituito chiedendo che la Corte riconosca la fondatezza dei principi affermati nel ricorso, in particolare del principio di leale collaborazione fra i poteri titolari della funzione giurisdizionale e i poteri titolari della funzione parlamentare, nella ipotesi in cui la presenza fisica di un singolo parlamentare sia necessaria al corretto esercizio di entrambe le funzioni, e che conseguentemente annulli l’ordinanza impugnata.

3.– Non possono essere accolte le eccezioni di inammissibilità del ricorso, avanzate dalla difesa della resistente Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria.

Non quella, in primo luogo, fondata sulla non attualità dell’interesse fatto valere dalla ricorrente in relazione al lungo tempo trascorso (circa due anni) dall’emissione dell’atto impugnato alla proposizione del ricorso, poiché, in assenza di un termine perentorio per la proposizione del conflitto di attribuzioni fra poteri, non può escludersi, in linea di principio, la sussistenza dell’interesse solo per il decorso del tempo.

Né può condividersi l’eccezione di carenza di interesse al ricorso in ragione della duplice circostanza che il deputato Matacena prese parte, nel giorno indicato, alla seduta della Camera e alle votazioni in essa indette, e che egli non è più, attualmente, membro della Camera, non essendo stato rieletto nella presente legislatura. Infatti, per quanto riguarda il primo aspetto, l’eventuale lesione delle attribuzioni della Camera può sussistere anche indipendentemente dalla effettiva partecipazione del deputato ai lavori dell’assemblea; quanto al secondo aspetto, la lesione delle attribuzioni della Camera, che si fosse verificata, non verrebbe meno per il solo fatto che, successivamente, il parlamentare non venga rieletto.

Nemmeno, infine, può condividersi la tesi secondo cui non vi sarebbe materia di un conflitto quando si controverta sul modo concreto in cui l’autorità giudiziaria ha conformato "il concreto atteggiarsi del diritto di difesa nei procedimenti che si svolgono" innanzi ad essa, poiché, se da un lato il singolo parlamentare può far valere nel processo le eventuali violazioni del suo diritto di difesa, non è escluso che una pronuncia dell’autorità giudiziaria, in ragione del suo specifico contenuto o della sua motivazione, risulti lesiva delle attribuzioni costituzionali del Parlamento, e come tale sia suscettibile di dar luogo ad un conflitto costituzionale.

4.– Nel merito, il ricorso è fondato nei termini di cui appresso.

I principi di ordine costituzionale che connotano la materia in questione sono stati individuati da questa Corte nella sentenza n. 225 del 2001, in termini che debbono qui essere interamente confermati.

Secondo tali principi, "la posizione dell’imputato, che sia membro del Parlamento, di fronte alla giurisdizione penale ( ... ) non è assistita da speciali garanzie costituzionali diverse da quelle stabilite" dall’art. 68, primo e secondo comma, della Costituzione, onde al di fuori delle ipotesi ivi stabilite "trovano applicazione, nei confronti dell’imputato parlamentare, le generali regole del processo, assistite dalle correlative sanzioni, e soggette nella loro applicazione agli ordinari rimedi processuali". Non è compito di questa Corte, ma dei competenti organi della giurisdizione, interpretare e applicare le regole processuali, e nemmeno dunque "stabilire se e in che limiti gli impedimenti legittimi derivanti ( … ) dalla sussistenza di doveri funzionali relativi ad attività di cui sia titolare l’imputato, rivestano tale carattere di assolutezza da dover essere equiparati, secondo il dettato dell’art. 486 del codice di procedura penale, a cause di forza maggiore". Non v’è dunque luogo ad individuare "regole speciali, derogatorie del diritto comune", e nemmeno, quindi, la regola che la Camera dei deputati vorrebbe fosse introdotta, per cui costituirebbe impedimento assoluto solo quello derivante dalla necessità dell’imputato di prendere parte a votazioni in assemblea: il che significherebbe introdurre una distinzione "fra diversi aspetti dell’attività del parlamentare, tutti riconducibili egualmente ai suoi diritti e doveri funzionali", non potendosi inoltre "escludere che l’esigenza di indire votazioni insorga in ogni momento nel corso delle attività delle assemblee parlamentari, indipendentemente dalla preventiva programmazione dei lavori".

Tuttavia l’autorità giudiziaria, come ogni altro potere, "allorquando agisce nel campo suo proprio e nell’esercizio delle sue competenze", deve tener conto "non solo delle esigenze delle attività di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell’applicazione delle regole comuni", e così "ai fini dell’apprezzamento degli impedimenti invocati per chiedere il rinvio dell’udienza" (tutte le citazioni sono tratte dalla sentenza n. 225 del 2001). Pertanto il giudice non può, al di fuori di un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrità funzionale del Parlamento, far prevalere solo la prima, ignorando totalmente la seconda.

5.– Nella specie, la Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria non ha rispettato tali principi.

Di fronte alla allegazione di un impedimento, accompagnata da un telegramma del Presidente della Camera dei deputati, che attestava inequivocabilmente la concomitanza di "lavori parlamentari" nella stessa data, l’autorità giudicante (che si trovava a celebrare la prima udienza del processo) non ha operato alcuna valutazione in concreto atta a confrontare o bilanciare l’interesse del processo con l’interesse della Camera alla partecipazione del suo componente ai lavori in programma, o a rendere compatibili le due esigenze, ma si è limitata a osservare che non sarebbe stato specificato se il deputato avrebbe effettivamente partecipato ai lavori o se la sua presenza fosse "indispensabile in Parlamento".

Essa non ha dunque adeguatamente valutato, in correlazione con l’interesse del processo, quello a non privare l’assemblea parlamentare della partecipazione del suo componente, il cui diritto-dovere di prendere parte ai lavori sussiste, in linea di principio, rispetto ad ogni attività della Camera di appartenenza: con ciò ha leso le attribuzioni costituzionali della ricorrente.

Alla constatazione dell’avvenuta lesione consegue l’annullamento del provvedimento impugnato, fermo restando che spetterà alle competenti autorità giurisdizionali investite del processo (essendosi questo nel frattempo concluso in primo grado) valutare le eventuali conseguenze di tale annullamento sul piano processuale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara, in accoglimento del ricorso in epigrafe, che non spettava alla Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria, senza una valutazione del caso concreto che tenesse conto, oltre che dell’interesse alla speditezza del processo, dell’interesse della Camera dei deputati alla partecipazione del suo componente allo svolgimento delle attività parlamentari, negare la validità dell’impedimento addotto a giustificazione dell’assenza dell’imputato componente della Camera medesima; e conseguentemente

b) annulla l’impugnata ordinanza 16 novembre 1998 della Corte d’assise di primo grado di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2003.