Ordinanza n. 251/2003

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ORDINANZA N.251

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), promosso con ordinanza del 31 dicembre 2001 emessa dal Giudice di pace di Osimo nel procedimento civile vertente tra Raffaella Giovatore contro Mario Berré ed altri, iscritta al n. 561 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 giugno 2003 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che in un giudizio civile di risarcimento dei danni causati da incidente stradale – nel corso del quale, a seguito della difesa svolta dai convenuti, deducenti l’integrale responsabilità nella causazione del sinistro del conducente di una terza vettura, l’attore aveva chiamato in causa il conducente ed il proprietario di tale altro veicolo, nonché successivamente anche la relativa compagnia di assicurazione –, con ordinanza emessa il 31 dicembre 2001, il Giudice di pace di Osimo (in sede di decisione sull’eccezione dei chiamati in causa di improcedibilità dell’azione nei loro confronti), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), che pone in capo al danneggiato, prima di proporre l’azione, l’onere di richiedere all’assicuratore, almeno sessanta giorni prima, il risarcimento del danno, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento;

che, secondo il rimettente, la norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, "nella parte in cui non prevede che l'atto di citazione ritualmente notificato al terzo chiamato in causa sia equipollente, ai fini della proponibilità dell'azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, alla lettera raccomandata con avviso di ricevimento";

che il Giudice di pace osserva come – in riferimento alle descritte diverse modalità con cui hanno avuto ingresso i soggetti del giudizio a quo – la disposizione impugnata non concederebbe all’attore la possibilità concreta di dare attuazione all’onere legislativamente impostogli, in quanto la necessità della chiamata in giudizio dell’altra compagnia di assicurazione sarebbe processualmente sorta solo in conseguenza della ricostruzione della dinamica dell'incidente operata dai convenuti;

che l’improcedibilità dell’azione [che andrebbe dichiarata sulla base del costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, in ragione appunto del mancato assolvimento nella fattispecie dell’onere in questione] costringerebbe l’attore a proporre un autonomo giudizio; la qual cosa – secondo il giudice a quo - determinerebbe un contrasto con il principio dell'economia processuale e con il favor del legislatore per il simultaneus processus;

che, in ragione di ciò, si configurerebbe per il rimettente il contrasto della norma con gli evocati parametri, sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza (stante l’irrazionale disparità di trattamento, a seconda che l’azione risarcitoria venga proposta nei confronti di soggetti presenti nel processo fin dal suo inizio, ovvero di soggetti che vi entrano in un momento successivo), nonché del diritto di difesa e del principio del giusto processo (con riguardo anche all’ulteriore svolgimento del giudizio, che così provocherebbe distinzioni penalizzanti);

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di infondatezza della sollevata questione.

Considerato che le censure sollevate dal rimettente investono l’art. 22 della legge n. 990 del 1969, secondo cui l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali v’è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano trascorsi sessanta giorni dall’invio all’assicuratore, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, della richiesta risarcitoria da parte del danneggiato;

che questa Corte – già investita del vaglio di costituzionalità della norma impugnata, la quale, anche secondo la costante giurisprudenza di legittimità, pone una condizione di proponibilità della domanda giudiziale – ne ha affermata la legittimità, in considerazione del soddisfacimento delle preminenti esigenze di interesse sociale cui la disposizione tende (sentenza n. 24 del 1973);

che, a riguardo, è stato sottolineato come la previsione dello spatium deliberandi tra la richiesta stragiudiziale e la azionabilità del diritto miri a porre le imprese e gli istituti assicuratori della r. c. auto in grado di istruire la pratica e raccogliere tutti gli elementi di valutazione e favorire la possibilità di liquidazione dell’indennizzo in via di composizione stragiudiziale; così evitando una troppo sollecita proposizione di giudizi, le cui spese, in caso di soccombenza della impresa convenuta, si risolverebbero in un inutile aggravio del costo di gestione dell’impresa medesima, con riflessi pregiudizievoli per l’intero settore del servizio assicurativo (sentenza n. 19 del 1975) e conseguentemente anche per gli assicurati a cagione dell’inasprimento di tariffe e premi;

che – lungi dal costituire un onere tale da vanificare o pregiudicare la possibilità di agire in giudizio – la norma è, dunque, diretta ad evitare un eccesso nell’esercizio del diritto, a salvaguardia, non solo della posizione soggettiva della parte convenuta, ma anche di interessi generali che con tale diritto sostanzialmente non contrastano (ordinanza n. 132 del 1983);

che l’esigenza di favorire la soluzione preventiva della lite, con l’auspicato sollecito soddisfacimento di entrambe le situazioni sostanziali (così anche da evitare un superfluo sovraccarico dell’apparato giudiziario), fa sì che l’imposizione dell’onere di richiesta a ciò finalizzato, e della conseguente (limitata) dilazione temporale, non si pone in contrasto con l’evocato parametro di cui all’art. 24 Cost., che non comporta necessariamente l’assoluta immediatezza dell’esperibilità del diritto di azione (sentenza n. 276 del 2000);

che, d’altronde, anche il principio del giusto processo (verosimilmente richiamato dal rimettente con riferimento alla previsione della sua ragionevole durata) deve essere letto alla luce di tali considerazioni, in quanto, anche dopo la novella dell’art. 111 Cost., il legislatore continua a disporre di ampia discrezionalità in materia processuale, giacché la tendenziale garanzia della maggiore celerità possibile dei processi deve, tuttavia, tendere pur sempre ad una durata degli stessi che sia appunto "ragionevole", in rapporto anche alle altre tutele costituzionali in materia (ordinanze n. 137 e n. 519 del 2002), a cominciare da quella relativa al diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., comprensivo anche del diritto di non essere inutilmente chiamato in giudizio;

che nemmeno vale il richiamo alla mancata possibilità – a causa della specificità della fattispecie – di celebrare un unico giudizio, in quanto questa Corte ha ripetutamente sottolineato che il simultaneus processus non risulta elevato a regola costituzionale, ma costituisce mero espediente processuale, non sempre conveniente o realizzabile (ordinanza 398 del 2000); sicché la sua non attuabilità non riguarda il diritto di azione, né quello di difesa, una volta che la pretesa sostanziale del soggetto interessato possa essere comunque fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria, con pienezza di contraddittorio e di difesa (ordinanza n. 18 del 1999);

che, infine, quanto alla lamentata violazione dell’art. 3 Cost., è proprio la pronuncia additiva auspicata dal rimettente che provocherebbe un’irragionevole differenziazione della posizione dei soggetti convenuti, in relazione ad un criterio meramente fattuale, legato esclusivamente al diverso momento della loro vocatio in giudizio;

che, pertanto, la questione è manifestamente infondata sotto tutti i profili evocati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Osimo, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2003.