Ordinanza n. 231 del 2003

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.231

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo                                            CHIEPPA                           Presidente

- Gustavo                                             ZAGREBELSKY                 Giudice

- Valerio                                               ONIDA                                               "

- Carlo                                                   MEZZANOTTE                              "

- Fernanda                                           CONTRI                                             "

- Guido                                                 NEPPI MODONA                          "

- Piero Alberto                                    CAPOTOSTI                                    "

- Annibale                                            MARINI                                             "

- Franco                                                BILE                                                    "

- Giovanni Maria                                FLICK                                                 "

- Francesco                                          AMIRANTE                                     "

- Ugo                                                    DE SIERVO                                     "

- Romano                                             VACCARELLA                             "

- Paolo                                                  MADDALENA                               "

- Alfio                                                   FINOCCHIARO                             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice di pace di Cortina d’Ampezzo con ordinanza del 1° luglio 2002, dal Giudice di pace di Belluno con ordinanze del 4 giugno 2002 (n. 11 ordinanze), dal Giudice di pace di Carrù con ordinanza del 9 luglio 2002, dal Giudice di pace di Ferrara con ordinanze del 9 ottobre 2002 (n. 4 ordinanze), dal Giudice di pace di Dolo con ordinanza del 24 giugno 2002, dal Giudice di pace di Cortina d’Ampezzo con ordinanza del 23 settembre 2002, dal Giudice di pace di Ferrara con ordinanza del 22 ottobre 2002, rispettivamente iscritte al n. 387, ai nn. da 472 a 480, al n. 492, al n. 493, al n. 517, ai nn. da 521 a 524, al n. 526, al n. 530 e al n. 549 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, n. 43, n. 45, n. 48 e nella edizione straordinaria del 27 dicembre, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che i Giudici di pace di Cortina d’Ampezzo (r.o. n. 387 e n. 530 del 2002), di Belluno (r.o. da n. 472 a n. 480, n. 492 e n. 493 del 2002), di Carrù (r.o. n. 517 del 2002) e di Dolo (r.o. n. 526 del 2002) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione (quest’ultimo evocato solo dai Giudici di pace di Cortina d’Ampezzo e di Belluno), questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che la citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria debba contenere a pena di nullità l’avviso che, qualora ne sussistano i presupposti, l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, possa presentare domanda di oblazione;

che, in particolare, secondo il Giudice di pace di Carrù la mancanza di tale avviso, previsto invece dall’art. 552, comma 1, lettera f), del codice di procedura penale in relazione al decreto di citazione a giudizio nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, determina una disparità di trattamento dell’imputato per reati di competenza del giudice di pace rispetto all’imputato per reati di competenza del tribunale monocratico, con  lesione del diritto di difesa;

che nel giudizio iscritto al n. 387 del r.o. del 2002 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile in quanto l’ordinanza di rimessione appare priva di qualsiasi descrizione degli elementi che connotano la fattispecie, nonché di motivazione in ordine alla rilevanza della questione nel giudizio a quo;

che il Giudice di pace di Ferrara, con cinque ordinanze di identico contenuto (r.o. da n. 521 a n. 524 e n. 549 del 2002), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, Cost., la medesima questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo n. 274 del 2000;

che il giudice a quo osserva che l’art. 52 del citato decreto legislativo ha mutato il quadro sanzionatorio  per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, consentendo l’applicazione sia dell’oblazione "volontaria" ex art. 162 del codice penale, sia di quella "discrezionale" prevista dall’art. 162-bis del medesimo codice, con particolare riferimento alle contravvenzioni già punite con pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda e oggi punite con la pena alternativa dell’ammenda, della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità;

che, a fronte di tale situazione, la disciplina censurata nella parte in cui non prevede che la citazione a giudizio contenga, a pena di nullità, l’avviso che l’imputato può presentare domanda di oblazione appare in contrasto, secondo il rimettente, con:

- l’art. 3 Cost., perché pone in essere una irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quanto disposto in relazione al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica dall’art. 552, comma 1, lettera f), e comma 2, cod. proc. pen., ove è previsto non solo l’avviso, ma anche la nullità in caso di omissione;

- l’art. 3 Cost., poiché, irragionevolmente, l’avviso non è previsto proprio in relazione a un procedimento connotato da «principi di massima semplificazione e di deflazione del dibattimento»;

- l’art. 24, secondo comma, Cost., perché  incide sulla facoltà dell’imputato di chiedere tempestivamente di essere ammesso all’oblazione, che è espressione del diritto di difesa;

- l’art. 97, primo comma, Cost., perché comporta «ritardi nella fase del dibattimento in quanto l’imputato, stante l’assenza dell’informazione non è posto nella condizione di scegliere tale strada alternativa, in anticipo rispetto alla fase dibattimentale» e il «dibattimento di conseguenza diviene in effetti una fase del procedimento del tutto obbligata»;

che il rimettente ricorda infine che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 497 del 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., nel testo precedente la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (che ha sostanzialmente trasfuso tale disposizione nell’attuale art. 552, comma 2, cod. proc. pen.), nella parte in cui non prevedeva la nullità del decreto di citazione a giudizio in caso di mancanza dell’avviso concernente la facoltà di chiedere i riti alternativi ovvero di presentare domanda di oblazione, per violazione dell’art. 24 Cost.

Considerato che i giudici rimettenti dubitano, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione (quest’ultimo evocato solo dai Giudici di pace di Cortina d’Ampezzo, di Belluno e di Ferrara), della legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che la citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria debba contenere a pena di nullità l’avviso che, qualora ne sussistano i presupposti, l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può presentare domanda di oblazione;

che, stante la sostanziale identità delle questioni, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che le questioni sollevate dai Giudici di pace di Cortina d’Ampezzo, di Belluno, di Carrù e di Dolo vanno dichiarate manifestamente inammissibili, in quanto le ordinanze di rimessione difettano della descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus e sono del tutto carenti di motivazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza;

che il Giudice di pace di Ferrara rileva che la normativa censurata si pone in contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina del decreto di citazione a giudizio nel procedimento avanti al tribunale in composizione monocratica (art. 552 cod. proc. pen.), che prevede, a pena di nullità, l’avviso relativo alla facoltà di presentare domanda di oblazione; per la irragionevolezza della mancata previsione di tale avviso in un procedimento connotato da principi di massima semplificazione e dall’obiettivo di deflazione del dibattimento; perché incide sulla facoltà di presentare tempestivamente domanda di oblazione, che è espressione del diritto di difesa, e comporta di conseguenza ritardi nello svolgimento della fase dibattimentale;

che il rimettente richiama, tra l’altro, le argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 497 del 1995, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., nel testo precedente la legge 16 dicembre 1999, n. 479, nella parte in cui non prevedeva la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza ovvero per insufficiente indicazione del requisito previsto dal comma 1, lettera e), e cioè dell’avviso all’imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena, ovvero di presentare domanda di oblazione;

che nella menzionata sentenza la Corte ha osservato che la «diminuzione delle potenzialità difensive» derivava dalla possibilità che, in mancanza di una tempestiva conoscenza, l’imputato potesse trovarsi decaduto dalla facoltà di chiedere il giudizio abbreviato; evenienza che si sarebbe potuta verificare, malgrado la garanzia della difesa tecnica, se l’imputato avesse contattato il difensore dopo la scadenza del termine di quindici giorni dalla notifica del decreto, previsto a pena di decadenza;

che successivamente la Corte ha appunto precisato che la previsione della nullità in caso di omissione dell’avviso «trova la sua ragione essenzialmente nella perdita irrimediabile della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato entro il termine di quindici giorni, previsto a pena di decadenza» e che non vi era motivo per estendere tale disciplina alle ipotesi in cui la richiesta di rito alternativo può essere formulata «sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, in un contesto in cui le garanzie di informazione e di conoscenza sono assicurate dall’assistenza obbligatoria del difensore» (v. sentenza n. 101 del 1997);

che, con riferimento ai requisiti del decreto di citazione emesso in seguito all’opposizione a decreto penale nel procedimento davanti al pretore (art. 565, comma 2, cod. proc. pen.), la Corte ha ribadito che la mancanza dell’avviso circa la facoltà di chiedere l’applicazione della pena ovvero di essere ammesso all’oblazione non era suscettibile di censure in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., anche perché l’applicazione della pena poteva allora essere chiesta sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento e l’oblazione prima dell’apertura del dibattimento ex art. 162 cod. pen., con possibilità di riproporre la domanda sino all’inizio della discussione finale nel caso dell’oblazione disciplinata dall’art. 162-bis cod. pen. (sentenza n. 114 del 1997);

che di recente, in relazione alla disciplina degli avvisi per l’udienza preliminare, la Corte ha altresì avuto occasione di sottolineare che la sentenza n. 497 del 1995 era stata pronunciata in un contesto normativo in cui la vocatio in ius era caratterizzata da una struttura bifasica, superata dalle profonde modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (v. ordinanza n. 484 del 2002);

che dalla sentenza n. 497 del 1995 non possono dunque trarsi argomenti a sostegno della illegittimità costituzionale della disciplina censurata, in quanto l’omissione dell’avviso circa la facoltà di presentare domanda di oblazione non comporta la perdita irrimediabile di tale facoltà, che può essere esercitata dall’imputato nel corso dell’udienza di comparizione prima dell’apertura del dibattimento, alla stregua di quanto espressamente disposto dall’art. 29, comma 6, del decreto legislativo n. 274 del 2000;

che nell’udienza di comparizione l’imputato è obbligatoriamente assistito, a norma dell’art. 20, comma 2, lettera e), del menzionato decreto legislativo, da un difensore, di fiducia o d’ufficio, sì che risultano pienamente garantite la difesa tecnica e l’informazione circa le varie forme di definizione del procedimento, anche alternative al giudizio di merito (conciliazione tra le parti, oblazione, risarcimento del danno, condotte riparatorie);

che inoltre, stante la struttura generale del procedimento avanti al giudice di pace, e il ruolo a questo assegnato di «favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti» (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 274 del 2000) e, comunque, di propiziare forme di definizione del procedimento alternative al giudizio di merito, l’udienza di comparizione, ove avviene il primo contatto tra le parti e il giudice, risulta sede idonea per sollecitare e verificare la praticabilità di possibili soluzioni alternative, tra cui, evidentemente, l’estinzione del reato per oblazione prevista dagli artt. 162 e 162-bis cod. pen.;

che il principio di buon andamento dei pubblici uffici non si riferisce all’attività giurisdizionale in senso stretto, bensì all’organizzazione e al funzionamento dell’amministrazione della giustizia (cfr., ex plurimis, sentenza n. 115 del 2001);

che le questioni sollevate dal Giudice di pace di Ferrara vanno pertanto dichiarate manifestamente infondate alla stregua di tutti i parametri costituzionali evocati dal rimettente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dai Giudici di pace di Cortina d’Ampezzo, Belluno, Carrù e Dolo, con le ordinanze in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Ferrara, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2003.