Ordinanza n. 137 del 2003

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ORDINANZA N.137

ANNO 2003

 

repubblica italiana

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo                     CHIEPPA                                                 Presidente

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                                     Giudice

- Valerio                        ONIDA                                                             “

- Carlo                           MEZZANOTTE                                               “

- Fernanda                     CONTRI                                                           “

- Guido                          NEPPI MODONA                                           “

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                                    “

- Annibale                     MARINI                                                           “

- Franco                         BILE                                                                 “

- Giovanni Maria           FLICK                                                              “

- Ugo                             DE SIERVO                                                     “

- Romano                      VACCARELLA                                              “

- Alfio                           FINOCCHIARO                                              “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448  (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promosso con ordinanza del 29 novembre 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bari, iscritta al n. 494 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 29 novembre 2001, pervenuta a questa Corte il 23 ottobre 2002, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nella parte in cui non prevede, fra i casi nei quali può essere adottata la misura della custodia cautelare, l’ipotesi di cui all’art. 380, comma 2, lettera e-bis, del codice di procedura penale;

che il remittente, chiamato a decidere sulla richiesta di applicazione ad un minorenne della misura della custodia cautelare, fra l’altro, per un reato di furto con strappo, rileva che tale delitto, previsto oggi dall’art. 624-bis del codice penale, è contemplato fra quelli in relazione ai quali l’art. 380, comma 2, del codice di procedura penale sancisce l’arresto obbligatorio in flagranza, ma non già alla lettera e (come avveniva prima della novella di cui alla legge 26 marzo 2001, n. 128, in relazione all’ipotesi di furto qualificato dall’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, seconda ipotesi), bensì alla lettera e-bis, introdotta dalla predetta legge n. 128 del 2001; e che il testo, da allora invariato, dell’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988 stabilisce che ai minorenni la custodia cautelare possa essere applicata, fuori dalle ipotesi di delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo ovvero della reclusione non inferiore a nove anni, solo quando si procede per uno dei delitti previsti dall’art. 380, comma 2, lettere e, f, g ed h, non dunque quando si procede per i delitti previsti oggi dalla lettera e-bis del medesimo art. 380, comma 2;

che, secondo il giudice a quo, l’errore in cui è incorso il legislatore, che nel porre mano alla riforma della normativa sul furto con strappo e sul furto in abitazione ha omesso di raccordare le nuove norme con la specifica disciplina dettata per i minori, avrebbe dato luogo ad una evidente irragionevolezza nel sistema delle misure cautelari minorili, poiché prima della riforma recata dalla legge n. 128 del 2001 – il cui scopo dichiarato sarebbe quello di inasprire il trattamento sanzionatorio e, dovrebbe ritenersi, anche cautelare, a seguito della più negativa valutazione effettuata a riguardo delle ipotesi di furto in questione – il furto con strappo, come il furto in abitazione, era compreso fra i reati per i quali poteva disporsi a carico del minore la misura della custodia cautelare, mentre esso resta, oggi come ieri, compreso fra i delitti per i quali l’art. 380, comma 2, cod. proc. pen. consente l’arresto in flagranza nei confronti dei maggiorenni;

che l’accennata situazione darebbe luogo alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, in relazione all’art. 380 cod. proc. pen. e all’art. 16 del d.P.R. n. 448 del 1988 (quest’ultimo relativo alle ipotesi in cui è possibile l’arresto in flagranza del minorenne, ipotesi determinate con rinvio a quelle nelle quali può essere disposta la custodia cautelare), sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento sia fra maggiorenni e minorenni, sia fra minorenni prima e dopo la riforma di cui alla legge n. 128 del 2001;

che pertanto, a giudizio del remittente, sarebbe necessaria “una correzione, da effettuare con sentenza interpretativa ovvero con una riforma legislativa”;

che non vi è stata costituzione di parti né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato che la determinazione delle ipotesi tassative, di per sé eccezionali, nelle quali è consentito adottare misure custodiali – tanto più nei confronti dei minori, per i quali vale un criterio di ulteriore assoluta eccezionalità (cfr. sentenza n. 46 del 1978) – spetta al legislatore, ai sensi dell’art. 13 della Costituzione, nel rispetto degli altri principi costituzionali e nei limiti della non manifesta irragionevolezza (cfr. sentenza n. 188 del 1996; ordinanze n. 450 del 1995, n. 187 del 2001, n. 40 del 2002);

che la situazione normativa denunciata dal remittente, in base alla quale non risulta oggi consentito adottare nei confronti dei minori la misura della custodia cautelare in relazione a delitti non colposi, per i quali non sia prevista la pena dell’ergastolo ovvero della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, diversi da quelli contemplati dall’art. 380, comma 2, lettere e, f, g, h, cod. proc. pen., e in particolare per il delitto di furto, salvo che sia commesso su armi, munizioni o esplosivi nelle armerie o in locali adibiti alla custodia di armi, o sia aggravato dall’uso della violenza sulle cose, – pur se possa essere frutto di una svista del legislatore – rispecchia una scelta legislativa;

che di tale scelta non è dato di riscontrare il contrasto con norme costituzionali da cui si possa desumere, invece, la necessità di prevedere l’adozione della misura custodiale; né essa può dirsi manifestamente irragionevole, anche in rapporto alle diverse situazioni impropriamente invocate dal remittente come tertia comparationis;

che, del resto, la stessa possibilità di ricorrere alla custodia cautelare nei confronti dei minori per il delitto di furto era del tutto estranea alla previsione originaria dell’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, che consentiva tale misura solo in relazione a delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, mentre tale possibilità è stata introdotta solo con l’art. 42 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12;

che pertanto la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bari con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2003.