Ordinanza n. 132/2003

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ORDINANZA N.132

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA     "

- Alfio FINOCCHIARO         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Avellino con ordinanze in data 22 aprile (n. 3 ordinanze), 15 aprile e 16 maggio 2002, rispettivamente iscritte al n. 454, al n. 455, al n. 499, al n. 500 e al n. 501 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 e n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con tre ordinanze del 22 aprile (r.o. n. 454, n. 455 e n. 499 del 2002) e un'ordinanza del 15 aprile 2002 (r.o. n. 500 del 2002), identiche nella sostanza, il Tribunale di Avellino ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che "il giudice per le indagini preliminari, prima di emettere decreto penale di condanna, debba consentire alla difesa l'intervento perché possa eventualmente esplicare le proprie argomentazioni difensive";

che il Tribunale - secondo cui l'accoglimento delle questioni comporterebbe la nullità del decreto penale di condanna opposto, emesso inaudita altera parte, e la conseguente regressione del procedimento - ritiene che la disciplina della fase processuale che segue la richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto penale di condanna sia in evidente contrasto con i principi del giusto processo, ed in particolare con il terzo comma dell'art. 111 Cost., che garantisce il "rispetto del contraddittorio anche nella fase delle indagini" e comunque certamente nel momento in cui, mediante l'esercizio dell'azione penale, si dà ingresso alla fase processuale, nonché con l'art. 24 Cost., in quanto priva la difesa della possibilità di interloquire sulla richiesta dell'accusa, in vista di una decisione del giudice per le indagini preliminari di rigetto della richiesta stessa o di proscioglimento dell'imputato ex art. 129 cod. proc. pen.;

che con ordinanza del 16 maggio 2002 (r.o. n. 501 del 2002) il medesimo Tribunale, accogliendo la richiesta formulata dal difensore, ha dichiarato "rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, con riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che il giudice per le indagini preliminari prima di emettere decreto penale di condanna debba consentire alla difesa l'intervento, perché possa esplicare eventualmente le proprie argomentazioni difensive";

che nei giudizi instaurati con le ordinanze iscritte al n. 454, al n. 455 e al n. 500 del r.o. del 2002, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

Considerato che i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della disciplina del procedimento per decreto, in quanto non consente alla difesa dell'imputato di interloquire sulla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto di condanna;

che, investendo le questioni la medesima disciplina ed essendo sollevate in riferimento ai medesimi parametri, va disposta la riunione dei relativi giudizi;

che le questioni sollevate dal Tribunale di Avellino con le ordinanze del 22 e del 15 aprile 2002 (r.o. n. 454, n. 455, n. 499 e n. 500 del 2002) sono del tutto simili a quelle, sollevate dal medesimo rimettente, dichiarate manifestamente infondate con l'ordinanza n. 8 del 2003;

che in tale decisione la Corte - richiamando l'ordinanza n. 432 del 1998, e le precedenti ivi menzionate, nonché le successive ordinanze n. 325, n. 326 e n. 458 del 1999 - ha ribadito che il procedimento monitorio, configurato come rito a contraddittorio eventuale e differito ed improntato a criteri di economia processuale e di massima speditezza, non si pone in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto in tale procedimento "l'esigenza di garantire la conoscenza dell'indagine [...] si trasferisce [...] sulla fase processuale, conseguente all'esercizio dell'opposizione, operando il decreto solo quale mezzo di contestazione dell'accusa definitiva [...], che è essenziale per garantire il diritto di difesa";

che il decreto penale costituisce soltanto "una decisione preliminare soggetta a opposizione", in relazione alla quale "l'esperimento dei mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si colloca nel vero e proprio giudizio che segue all'opposizione", dovendo ritenersi principio consolidato (v. ordinanza n. 203 del 2002 in materia di giudizio immediato) che "l'esercizio del diritto di difesa è suscettibile di essere regolato in modo diverso per essere adattato alle esigenze delle specifiche caratteristiche dei singoli procedimenti, purché di tale diritto siano assicurati lo scopo e la funzione";

che, in riferimento all'art. 111 Cost., la Corte ha rilevato che "il dettato costituzionale, da un lato, non impone affatto che il contraddittorio si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba sempre essere collocato nella fase iniziale del procedimento stesso, dall'altro non esclude che il diritto dell'indagato di essere informato nel più breve tempo possibile dei motivi dell'accusa a suo carico possa essere variamente modulato in relazione alla peculiare struttura dei singoli riti alternativi";

che la disciplina in esame non si pone quindi in contrasto con i parametri evocati, in quanto il decreto svolge la "funzione di informazione dei motivi dell'accusa", al fine di consentire "l'instaurazione del contraddittorio tra accusa e difesa" e di porre "l'imputato nelle condizioni di operare una scelta consapevole tra l'opposizione e l'acquiescenza al decreto";

che, non risultando profili diversi o ulteriori rispetto a quelli già valutati con la precedente ordinanza n. 8 del 2003, le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate;

che la questione di costituzionalità degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., dal medesimo Tribunale con ordinanza del 16 maggio 2002 (r.o. n. 501 del 2002) è completamente priva di motivazione sia in ordine alla rilevanza che alla non manifesta infondatezza, e deve perciò essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 459 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Avellino, con le ordinanze in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Avellino, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2003.