Ordinanza n. 131/2003

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ORDINANZA N.131

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Taranto e dal Tribunale di Macerata con ordinanze in data 28 maggio e 19 giugno 2002, rispettivamente iscritte al n. 379 e al n. 452 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36 e n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 28 maggio 2002 (r.o. n. 379 del 2002) il Tribunale di Taranto, su eccezione della difesa, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono la nullità della richiesta di decreto penale del pubblico ministero e del successivo decreto del giudice in caso di omissione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ovvero dell'invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen., qualora la persona sottoposta alle indagini lo abbia richiesto entro il termine di cui al comma 3 dell'art. 415-bis cod. proc. pen.;

che ad avviso del rimettente le modifiche apportate al codice di procedura penale dalla legge 19 dicembre 1999, n. 479, e il nuovo art. 111 Cost. consentono di ritenere la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità prospettata, nonostante la Corte costituzionale abbia respinto analoghe questioni con le ordinanze n. 326 e n. 325 del 1999 e n. 432 del 1998;

che, in particolare, il terzo comma dell’art. 111 Cost. assicurerebbe all'accusato di un reato il diritto ad essere informato, nel più breve tempo possibile, riservatamente, "ma soprattutto prima della conclusione delle indagini preliminari", della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;

che l'attuazione di tale precetto costituzionale sarebbe assicurata, nel procedimento ordinario, dalla disciplina dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, introdotto dalla legge n. 479 del 1999;

che nel procedimento per decreto la mancata previsione, a pena di nullità, dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen. violerebbe perciò l'art. 3 Cost. per l'evidente disparità di trattamento tra l'imputato nei cui confronti è emesso il decreto di condanna e l'imputato tratto a giudizio con le forme ordinarie, nonché gli artt. 24 e 111, terzo comma, Cost., in quanto "la "assolutezza" del livello di tutela costituzionale del diritto di difesa" mal si concilia con un procedimento in cui la tutela di tali diritti è ""differita" ad un contesto dibattimentale soltanto eventuale", sì che l'imputato è privato del diritto di essere informato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico nel più breve tempo possibile, e comunque entro la fase delle indagini preliminari;

che analoga questione è stata sollevata con ordinanza del 19 giugno 2002 (r.o. n. 452 del 2002) dal Tribunale di Macerata, il quale dubita della legittimità costituzionale dell'art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede "quale adempimento "pregiudiziale" all'esercizio dell'azione penale sotto forma di richiesta di decreto penale di condanna" che all'imputato sia dato avviso di conclusione delle indagini preliminari a norma dell'art. 415-bis cod. proc. pen.;

che ad avviso del Tribunale l'assetto normativo del procedimento per decreto, "unico modello di esercizio dell'azione che non prevede "comunicazioni obbligatorie" all'indagato quale presupposto di validità dell'azione stessa", si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost., in quanto, "in antitesi con il modello processuale "minimo" delineato dall'art. 111 Cost.", determina disparità di trattamento tra soggetti nei cui confronti l'azione penale è esercitata mediante richiesta di decreto penale di condanna e "soggetti che beneficiano del diritto all'informazione sull'accusa previsto dall'art. 415-bis cod. proc. pen." e impedisce una effettiva esplicazione del diritto di difesa, privando l'indagato del suo diritto ad interloquire sulla decisione relativa all'esercizio dell'azione penale e pregiudicando la ricerca e l'acquisizione delle fonti di prova a sua difesa;

che nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

Considerato che il dubbio di legittimità costituzionale prospettato da entrambi i rimettenti investe la mancata estensione della disciplina dell'avviso di cui all'art. 415-bis del codice di procedura penale al procedimento per decreto;

che, essendo le questioni sollevate sulla base di censure sostanzialmente analoghe, va disposta la riunione dei relativi giudizi;

che con l'ordinanza n. 32 del 2003, successiva alle ordinanze di rimessione, la Corte ha dichiarato manifestamente infondata questione analoga, rilevando che, precedentemente alla modifica dell'art. 111 della Costituzione aveva già escluso che il procedimento monitorio, configurato come rito a contraddittorio eventuale e differito ed improntato a criteri di economia processuale e di massima speditezza, si ponesse in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;

che, in particolare, la Corte aveva osservato che "l'esigenza di garantire la conoscenza dell'indagine […] si trasferisce […] sulla fase processuale, conseguente all'esercizio dell'opposizione, operando il decreto solo quale mezzo di contestazione dell'accusa definitiva […], che è essenziale per garantire il diritto di difesa", e che "il decreto penale costituisce una decisione preliminare, soggetta a opposizione, cosicché l'esperimento dei mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si colloca nel vero e proprio giudizio che segue all'opposizione" (v. ordinanza n. 432 del 1998 ed i precedenti ivi menzionati, nonché le successive ordinanze n. 325, n. 326 e n. 458 del 1999);

che, con specifico riferimento alla mancata previsione dell'avviso di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen., richiamandosi anche a questioni di costituzionalità concernenti la disciplina del giudizio immediato (ordinanza n. 203 del 2002), nell'ordinanza n. 32 del 2003 la Corte ha sottolineato che "l'innesto della disciplina dell'avviso di conclusione delle indagini nel procedimento monitorio ne snaturerebbe la struttura e le finalità, inserendovi una procedura incidentale che potrebbe determinare una notevole dilatazione temporale, e si sostanzierebbe in una garanzia che, oltre ad essere costituzionalmente non imposta, si rivelerebbe del tutto incongrua rispetto ai caratteri del rito speciale";

che, quanto alle censure riferite all'art. 111, terzo comma, Cost., la Corte, richiamando l'ordinanza n. 8 del 2003 (con la quale sono state dichiarate manifestamente infondate numerose questioni di legittimità costituzionale della medesima disciplina, nella parte in cui non consente alla difesa dell'imputato di interloquire sulla richiesta del pubblico ministero prima che il giudice emetta il decreto penale di condanna), ha osservato che "in via generale […] il dettato del terzo comma non esclude che il diritto dell'indagato di essere informato nel più breve tempo possibile dei motivi dell'accusa possa essere variamente modulato dal legislatore ordinario in relazione ai singoli riti alternativi" e che "la disciplina del procedimento per decreto non si pone in contrasto con il secondo e terzo comma di tale norma, in quanto il decreto penale, al di là della denominazione formale di "decreto di condanna", costituisce una sorta di decisione "preliminare", destinata ad essere posta nel nulla ove sia proposta opposizione ed a svolgere in tale caso la mera funzione di informazione dei motivi dell'accusa";

che, non risultando profili diversi o aspetti ulteriori rispetto a quelli già valutati con la precedente ordinanza n. 32 del 2003, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Taranto e dal Tribunale di Macerata, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2003.