Sentenza n. 113 del 2003

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SENTENZA N.113

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo  CHIEPPA                         Presidente               

- Gustavo   ZAGREBELSKY             Giudice

- Valerio     ONIDA                                                              "

- Carlo        MEZZANOTTE                                                 "

- Fernanda  CONTRI                                                            "

- Guido       NEPPI MODONA                                             "

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                                "

- Annibale  MARINI                                                            "

- Franco      BILE                                                                  "

- Giovanni Maria FLICK                                                      "

- Francesco AMIRANTE                                                      "

- Ugo          DE SIERVO                                                      "

- Romano   VACCARELLA                                                "

- Paolo        MADDALENA                                                 "

ha pronunciato la seguente                                                         

SENTENZA

nei giudizi per conflitto di attribuzione sorti a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 ottobre 1998, n. 486 (Regolamento recante norme per le modalità di versamento all'erario dell'importo previsto dall'art. 1, comma 126, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), promossi con ricorsi della Regione Friuli-Venezia Giulia e della Regione Siciliana notificati il 12 e 15 marzo 1999, depositati in cancelleria il 18 e 19 successivi ed iscritti ai nn. 12 e 14 del registro conflitti 1999.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2002 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi gli avv.ti Mario Bertolissi per la Regione Friuli-Venezia Giulia, Liana Cordone e Giovanni Corica per la Regione Siciliana, nonché l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ricorso notificato il 12 marzo 1999 e depositato in cancelleria il successivo 18 marzo, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (r. confl. n. 12 del 1999), in riferimento all’art. 2, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 ottobre 1998, n. 486 (Regolamento recante norme per le modalità di versamento all'erario dell'importo previsto dall'art. 1, comma 126, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), al fine di ottenere la dichiarazione che non spetta allo Stato incamerare gli importi corrispondenti alla riduzione dei compensi attribuiti a dipendenti pubblici, che siano componenti di organi di amministrazione, di revisione e di collegi sindacali, per la parte riconducibile ai versamenti effettuati dagli enti e dalle aziende del servizio sanitario e dagli enti locali della Regione.

La ricorrente ritiene che la predetta disposizione di cui all’art. 2, comma 2, del citato d.P.C.m. violi la potestà legislativa esclusiva in materia di autorganizzazione, di autonomia finanziaria e di ordinamento degli enti locali, attribuita alla Regione Friuli-Venezia Giulia dall’art. 4, numero 1 e numero 1-bis, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

1.1. ¾ In particolare, la Regione Friuli-Venezia Giulia, dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, sottolinea che l’art. 2, comma 2, del d.P.C.m. in questione appare “autonomamente lesivo dell’autonomia finanziaria della Regione, nella parte in cui prevede il versamento allo Stato delle somme risultanti dalle riduzioni disposte anche da parte di enti, quali gli enti locali della Regione e le aziende del servizio sanitario regionale, le cui finanze dipendono ormai unicamente – a decorrere dal 1997 – dalle risorse trasferite a carico del bilancio regionale”.

E la lesività dell’impugnato d.P.C.m., secondo la Regione, diventa ancor più evidente e ingiustificata se si considera che, a fronte di costi certi (quali quelli relativi al finanziamento della sanità e delle autonomie locali), il provvedimento in questione determina un decremento delle entrate regionali, in riferimento alle risorse da attribuirsi in tutto o in parte alla Regione a titolo di IRAP, di addizionale regionale IRPEF e di compartecipazione al gettito IRPEF.

A ciò va aggiunto che la disposizione in parola arreca “un danno alle finanze comunali e regionali”, in quanto “determina un decremento del gettito delle addizionali comunali all’IRPEF”, da attribuirsi alla Regione ai sensi dell’art. 31, comma 2, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo).

La Regione, infine, sottolinea che la previsione oggetto di impugnativa non può essere ricondotta nell’ambito delle clausole c.d. di riserva all’erario, come disciplinate dall’art. 4, comma 1, del d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), poiché nel caso in esame lo Stato non dispone “maggiorazioni di aliquote o altre modificazioni in ordine ai tributi devoluti alla Regione” per il risanamento della finanza pubblica o per altri scopi determinati, ma interviene “a monte” provocando, comunque, un decremento delle risorse regionali. Pertanto, il regolamento impugnato avrebbe dovuto prevedere “meccanismi di attribuzione alla Regione delle quote delle risorse recuperate, a seguito dell’applicazione dell’art. 1, comma 126, della legge n. 662 del 1996, per la parte riconducibile ai versamenti effettuati dagli enti ed aziende del servizio sanitario e dagli enti locali della Regione”.

2. ¾ Con ricorso notificato il 15 marzo 1999 e depositato in cancelleria il successivo 19 marzo, la Regione Sicilia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (r. confl. n. 14 del 1999), al fine di ottenere, previa sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, “la dichiarazione di illegittimità costituzionale” dell’art. 2, comma 2, del d.P.C.m. 16 ottobre 1998, n. 486, in quanto lesivo dell’art. 36 dello statuto speciale della Regione Siciliana (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e delle correlate norme di attuazione (d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074), che disciplinano le attribuzioni finanziarie della Sicilia, nonché degli artt. 116 e 119 della Costituzione.

2.1. ¾ Osserva la ricorrente che l’art. 1, comma 126, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) appare chiaramente finalizzato ad un aumento delle entrate erariali. Da tale rilievo, la Regione Siciliana deduce la qualificazione finanziaria (ed in particolare tributaria) della norma, destinata, in quanto tale, a trovare applicazione nel territorio della Regione. Ne conseguirebbe che la norma non sarebbe di per sé immediatamente lesiva delle prerogative statutarie regionali in materia finanziaria, in quanto il previsto versamento all’erario delle quote da riscuotersi in ambito regionale “ben si sarebbe potuto ritenere attribuito alla Regione in virtù del vigente sistema di ripartizione delle entrate tra Stato e Regione Siciliana”. Sennonché, l’impugnato d.P.C.m. n. 486 del 1998, all’art. 2, comma 2, ha previsto che i suddetti versamenti devono essere “effettuati alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato”, riservando all’erario dello Stato il gettito in questione.

Ciò determinerebbe una compressione delle spettanze regionali in materia finanziaria, in violazione delle disposizioni dell’art. 36 dello statuto e delle norme di attuazione in materia finanziaria, in base alle quali spettano alla Regione “tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate”, ad eccezione di alcune entrate tassativamente previste che restano di competenza statale.

Inoltre, i compensi in parola - qualificati come redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 49, comma 2, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), ovvero come redditi assimilati ai redditi di lavoro dipendente, qualora svolti in relazione alla qualità di prestatore di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 47 dello stesso d.P.R. n. 917 del 1986 - avrebbero contribuito, nel loro importo complessivo, a formare base imponibile sulla quale determinare l’IRPEF, il cui gettito, in base alle richiamate norme di autonomia finanziaria regionale, sarebbe risultato di spettanza regionale.

La predetta riduzione della base imponibile, accompagnata dalla previsione di versamento all’erario degli importi corrispondenti alle riduzioni dei compensi effettuate ai sensi dell’art. 1, comma 126, della legge n. 662 del 1996, secondo la Regione, configura un’entrata parzialmente sostitutiva di un’altra che, in quanto riscossa nel territorio della Regione, è di assoluta spettanza regionale.

3. ¾ E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale rileva, pregiudizialmente, con identiche argomentazioni per entrambi i conflitti di attribuzione in epigrafe, l’inammissibilità dei ricorsi, atteso che essi sono proposti avverso un atto meramente applicativo della legge n. 662 del 1996; per la quale, peraltro, non esistevano più i termini per esperire il ricorso in via principale.

Nel merito, la difesa erariale ritiene l’infondatezza delle impugnative. Infatti, se si ammettesse un diverso regime per le Regioni a statuto speciale, rispetto a quelle a statuto ordinario, si verificherebbe una disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici soggetti alla diminuzione dei compensi in questione.

Né l’autonomia tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia potrebbe dirsi incisa dalla legge n. 662 del 1996, poiché essa deve, comunque, essere coordinata con i principi costituzionali di unicità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.) e di rispetto delle altre istituzioni dello Stato sotto il profilo finanziario (art. 119 Cost.).

II minor gettito lamentato dalle Regioni derivante dall’applicazione dell’atto è, in realtà, diretto a razionalizzare, armonizzare e stabilizzare le entrate e le uscite relative a tutta la finanza pubblica e al suo risanamento. L’adozione delle disposizioni in parola rientra pertanto nella discrezionalità del legislatore statale di modificare gli elementi essenziali dei tributi, anche se le introdotte variazioni possono in concreto determinare un decremento del gettito destinato alle Regioni.

4. ¾ In prossimità dell’udienza, la Regione-Friuli-Venezia Giulia ha presentato memoria con la quale ha evidenziato che la questione prospettata con il ricorso n. 12 del 1999 “riguarda essenzialmente la propria autonomia finanziaria”.

Inoltre, essa ha ribadito la lesività ex se dell’impugnato d.P.C.m. nella parte in cui non prevede che, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, le entrate derivanti dalla diminuzione dei compensi spettanti a determinati dipendenti pubblici siano di competenza regionale.

5. ¾ La Regione Siciliana, a sua volta, nell’imminenza dell’udienza, ad integrazione di quanto precedentemente dedotto, ha presentato memoria con la quale, anche in relazione all’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura, osserva di non avere mai contestato la legittimità dell’art. 1, comma 126, della legge n. 662 del 1996, dal momento che tale norma “nulla disponeva in ordine alla spettanza delle somme relative alle riduzioni operate sui compensi”; talché, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia finanziaria, dette entrate avrebbero dovuto essere considerate di pertinenza della medesima Regione Siciliana.

A ciò la ricorrente aggiunge che l’autonomia finanziaria regionale risulta comunque salvaguardata dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il quale dispone che, sino all’adeguamento degli statuti speciali, le nuove disposizioni costituzionali si applicano “per le parti in cui prevedono forme più ampie di autonomia”.

Considerato in diritto

1. ¾ I due conflitti di attribuzione, promossi con i ricorsi descritti in narrativa (n. 12 e n. 14 registro conflitti 1999), riguardano il d.P.C.m. 16 ottobre 1998, n. 486 (Regolamento recante norme per le modalità di versamento all'erario dell'importo previsto dall'art. 1, comma 126, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), e, più precisamente, la disposizione di cui all’art. 2, comma 2, secondo la quale il versamento dell’importo corrispondente alla riduzione dei compensi spettanti a dipendenti pubblici componenti di organi di amministrazione, di revisione e di collegi sindacali, corrisposti da pubbliche amministrazioni, deve essere effettuato “alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato”.

I due giudizi, data l’identità dell’oggetto, devono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. ¾ In via pregiudiziale va considerato che la Regione Friuli-Venezia Giulia, con la memoria presentata nell’imminenza dell’udienza, ha dedotto per la prima volta la violazione degli artt. 5, numero 16 (potestà legislativa della Regione in materia di igiene e sanità ed assistenza sanitaria ed ospedaliera), e 63, comma 2 (appartenenza al Consiglio regionale dell’iniziativa per le modifiche dello statuto), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

La dedotta violazione non può essere presa in considerazione in quanto non risulta essere stata tempestivamente proposta (sentenza n. 63 del 1995).

3. ¾ Ancora in via pregiudiziale occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi, sollevata, per entrambi i conflitti di attribuzione in epigrafe, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo la quale i ricorsi stessi sarebbero stati proposti avverso un atto meramente applicativo dell’art. 1, comma 126, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e, quindi, non lesivo ex se delle competenze regionali.

Sul punto, la difesa erariale sostiene che, data la natura esecutiva dell’atto impugnato, la tutela delle prerogative regionali avrebbe dovuto comportare l’impugnativa in via di azione della norma di legge presupposta dall’atto censurato, anziché il ricorso per conflitto di attribuzione.

La questione non è nuova. Questa Corte, infatti, ha ritenuto inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione nei casi in cui l’atto impugnato sia meramente esecutivo o addirittura ripetitivo rispetto alle disposizioni della legge (sentenza n. 138 del 1999); in tali ipotesi, infatti, la preclusione ad una pronuncia sul merito deriva dal fatto che, con il conflitto, verrebbe a proporsi, nella sostanza, la stessa questione che ritualmente avrebbe dovuto essere sollevata con il ricorso in via di azione.

La Regione Friuli-Venezia Giulia e la Regione Siciliana negano, invece, il carattere meramente attuativo dell’art. 2, comma 2, del d.P.C.m. n. 486 del 1998 e sostengono che esso sia lesivo della loro autonomia, prevedendo il versamento degli importi in questione al solo erario dello Stato, laddove, in base alla legge, detto versamento avrebbe dovuto riguardare anche l’erario delle Regioni. E’ da soggiungere poi che, secondo la prospettazione della sola Regione Friuli-Venezia Giulia, la lesività del d.P.C.m. in parola deriverebbe anche dal fatto che le Regioni a statuto speciale non potrebbero rientrare nel novero delle “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421) – trasfuso ora nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) –, al quale fa riferimento l’art. 1, comma 126, della legge n. 662 del 1996, in sede di delimitazione del campo di applicazione della legge stessa.

In realtà, come esattamente ha ritenuto l’Avvocatura dello Stato, il menzionato d.P.C.m. n. 486 del 1998 ha un valore meramente esecutivo della legge, poiché non risponde al vero l’affermazione delle ricorrenti secondo la quale l’art. 1, comma 126, della legge n. 662 del 1996, per un verso includerebbe nella nozione di “erario” anche l’erario regionale, e per altro verso accoglierebbe una nozione di “amministrazioni pubbliche”, nella quale non potrebbero includersi le Regioni a statuto speciale.

Infatti, che la disposizione della legge n. 662 del 1996 intendesse riferirsi soltanto all’erario statale e non anche a quello regionale è provato dalla circostanza che le entrate di cui si parla, come chiarisce il successivo art. 3, comma 216, della stessa legge, “sono riservate all’erario e concorrono alla copertura degli oneri per il servizio del debito pubblico, nonché alla realizzazione delle linee di politica economica e finanziaria in funzione degli impegni di riequilibrio del bilancio assunti in sede comunitaria….”. Di fronte ad una così chiara formulazione della legge non possono davvero esserci dubbi.

Neppure può sostenersi che la nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, cui fa riferimento la legge n. 662 del 1996, non contempli anche le Regioni a statuto speciale. Se è vero, infatti, che il comma 2 dell’art. 1 di detto decreto legislativo, nel precisare cosa debba intendersi con l’espressione “amministrazioni pubbliche” enumera, tra l’altro, genericamente “le Regioni”, è altrettanto vero che il comma 1 dello stesso articolo considera nell’ambito di applicazione del decreto anche le “Regioni e le province autonome”, sicché è fin troppo evidente che la successiva enumerazione non può non riferirsi anche a queste ultime.

4. ¾ Se ne deve concludere che, sia sotto il profilo della destinazione degli importi in questione all’erario statale, sia sotto il profilo dell’inclusione delle Regioni a statuto speciale nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui al decreto legislativo n. 29 del 1993, il d.P.C.m. n. 486 del 1998 non si discosta dalle norme previste dalla legge n. 662 del 1996, della quale costituisce anzi uno strumento meramente attuativo, e che di conseguenza i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla Regione Siciliana devono essere dichiarati inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione in epigrafe, promossi dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (r. confl. n. 12 del 1999) e dalla Regione Siciliana (r. confl. n. 14 del 1999), in relazione all’art. 2, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 ottobre 1998, n. 486 (Regolamento recante norme per le modalità di versamento all'erario dell'importo previsto dall'art. 1, comma 126, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2003.