sentenza n. 105/2003

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SENTENZA N.105

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanze del 10 luglio 2001 dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari e del 28 giugno 2001 (n. 4 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di Catania, iscritte ai nn. 92, 298, 299, 300 e 301 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 25, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

  1.- Nel corso di un processo tributario, intrapreso da una farmacista di Cargeghe avverso un avviso di accertamento dell’Ufficio delle entrate di Sassari col quale veniva rettificato, determinando maggiori ricavi, il reddito d’impresa ed il volume di affari dichiarato dalla contribuente in relazione all’anno 1995 ai fini IRPEF, IVA e CSSN, la Commissione tributaria provinciale di Sassari, con ordinanza del 10 luglio 2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per asserito contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione.

  1.1.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che l’avviso di accertamento impugnato, richiamando l’art. 39, primo comma, lettera d) del d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, motiva lo scostamento dei ricavi dichiarati dalla farmacista rispetto a quelli attribuibili in base ai parametri previsti dal d.P.C.m. 29 gennaio 1996, ritenendo sussistere una presunzione grave, precisa e concordante che legittimerebbe l’ufficio a procedere ai sensi dell’art. 3, comma 181, della legge n. 549 del 1995. Nel corso del giudizio, la ricorrente aveva lamentato che "i commi 181 e 189 della citata legge n. 549 del 1995 violerebbero il principio di uguaglianza contenuto nell’art. 3 della Costituzione in quanto non prevederebbero l’utilizzo differenziato dei parametri in relazione alla dislocazione territoriale delle attività imprenditoriali omettendo di considerare le differenti realtà economiche che ne derivano e che influiscono in maniera determinante sulla capacità di reddito di coloro che svolgono identica professione o impresa"; ciò che sarebbe tanto più vero per le imprese operanti in Sardegna, quale territorio riconosciuto come particolarmente disagiato.

  Costituitosi in giudizio, l’Ufficio delle entrate, richiamando le circolari ministeriali nn. 117/96 e 203/99, ha dedotto che il contribuente sarebbe tutelato da un contraddittorio diretto preliminare che avrebbe consentito all’Amministrazione di conoscere le specifiche caratteristiche dell’attività esercitata.

  Di contro, la ricorrente aveva rilevato come per le imprese in contabilità semplificata (compilanti il quadro G del Mod. 740), a differenza di quelle in regime di contabilità ordinaria, non fosse prevista alcuna ispezione contabile nella fase di instaurazione del contraddittorio, con un’evidente disparità di trattamento tra soggetti imprenditoriali risolto in una posizione di maggior favore per gli imprenditori in regime di contabilità ordinaria. La questione assumerebbe peraltro maggior rilievo nel caso di specie nella misura in cui l’art. 3, comma 189, della legge n. 549 del 1995 ha esteso l’applicazione delle disposizioni sui parametri (pubblicate il 26 gennaio 1996) anche al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 1995, allorché l’opponente non aveva la possibilità di optare per il regime ordinario posto che la detta opzione avrebbe dovuto essere effettuata, ai sensi dell’art. 18, comma sesto, del d.P.R. n. 600 del 1973, all’inizio del precedente periodo d’imposta senza che la disposizione censurata ne consentisse l’esercizio a decorrere dal 1° gennaio 1995.

  1.2.- Con riguardo alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza, osserva il giudice rimettente che l’omissione nella norma impugnata di ogni valutazione dei fattori di diversità legati alle singole realtà territoriali con la conseguente indiscriminata applicazione dei medesimi parametri e coefficienti presuntivi di ricavi aziendali ad imprese che svolgono la propria attività in contesti molto diversi (ad es. la gestione di una farmacia in un piccolo paese sardo, come nel caso di specie, e in un grosso centro urbano) determina una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva sanciti negli artt. 3 e 53 della Costituzione.

  Osserva inoltre il giudice a quo che l’art. 3, comma 181, lettera a), della legge 28 dicembre 1995, n. 549 dispone l’applicazione generalizzata dei parametri e coefficienti presuntivi dei ricavi aziendali ai soggetti che, in regime naturale di contabilità semplificata, non abbiano optato per quello di contabilità ordinaria. La successiva lettera b) dispone, invece, che, per i soggetti in regime di contabilità ordinaria, i medesimi parametri si applichino solo se dal verbale di ispezione risulti l’inattendibilità della contabilità da rilevarsi alla stregua di criteri da precisare con regolamento da emanarsi mediante d.P.R. ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge de qua. Secondo il giudice rimettente, tale disposizione genera una irragionevole disparità di trattamento radicata nel fatto che, alla data di entrata in vigore della legge, le imprese in regime di contabilità semplificata non avrebbero potuto più optare per il regime di contabilità ordinaria per l’esercizio 1995, non avendo la norma previsto alcuna rimessione nel termine già scaduto per l’esercizio del diritto di opzione. Anche sotto tale aspetto il rimettente individua una violazione dei principi consacrati negli articoli 3 e 53 della Costituzione.

  Denuncia, pertanto, innanzi al Giudice delle leggi l’art. 3, commi 181–189, della legge 28 dicembre 1895, n. 549 e, in particolare: 1) il comma 186 nella parte in cui non prevede che i parametri debbano necessariamente essere elaborati tenendo conto delle differenze esistenti tra le imprese operanti nelle diverse regioni e, comunque, a livello territoriale o locale; 2) del comma 181, lettera a), nella parte in cui non prevede che, per le imprese ed i professionisti in contabilità semplificata, tali parametri debbano essere applicati solo qualora dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l’inattendibilità della contabilità.

  1.3.- Intervenuto in giudizio a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri preliminarmente eccepisce l’inammissibilità della questione laddove assolutamente non risulta motivata con riferimento all’art. 53 Cost.

  Sarebbe del pari inammissibile, ovvero infondata nel merito, quanto ai profili dedotti in relazione all’art. 3 Cost.

  In particolare, osserva il deducente che la "denuncia, testualmente riferita al comma 186 (il quale riguarda le forme di approvazione e di pubblicazione dei parametri de quibus), deve intendersi attinente – in effetti – al precedente comma 184 dello stesso art. 3 legge n. 549 del 1995", il quale "espressamente prescrive che i parametri debbano elaborarsi "in base alle caratteristiche e alle condizioni d’esercizio della specifica attività svolta", con ciò manifestamente alludendo ai connotati concreti dell’impresa esercitata ed agli elementi – anche territoriali e di mercato – che la diversifichino nell’ambito del "tipo" di appartenenza". Di tanto avrebbe tenuto conto il d.P.C.m. 29 gennaio 1996 che, nella nota allegata, effettua una valutazione statistica riferita a gruppi omogenei di contribuenti applicando, per la parte non colta dal metodo statistico, un fattore di adeguamento personalizzato riferito alle "diverse situazioni gestionali e dall’influenza della localizzazione." Pertanto sospetta di illegittimità costituzionale non potrebbe mai essere la norma di legge, ma, al più, la relativa disposizione di attuazione la quale, per il rango subprimario assegnatole nella gerarchia delle fonti, sfuggirebbe al controllo della Corte costituzionale, con la necessità di dichiarare l’inammissibilità della questione testualmente riferita al comma 186 dell’art. 3 cit.

  Con riguardo al merito, l’Avvocatura rileva la evidente ragionevolezza del diverso sistema di accertamento tributario riservato alle imprese, rispettivamente in regime di contabilità ordinaria e semplificata, osservando come per le prime, caratterizzate da una sistematica e puntuale rappresentazione dei fatti di gestione, sia ben possibile subordinare l’applicazione dei parametri di determinazione presuntiva degli imponibili alla constatata inattendibilità delle registrazioni analitiche effettuate; ciò che non pare invece realizzabile per le seconde, per le quali il sistema semplificato di rilevamento dei fatti di gestione giustifica di per sé controlli ed accertamenti condotti secondo un criterio statistico di verosimiglianza, seppure mitigato da alcuni correttivi.

  Per altro verso, ritiene l’Avvocatura che (benché non esplicitamente riferita dal rimettente al comma 189 dell’art. 3 cit., secondo il quale le disposizioni sui parametri presuntivi sono applicabili per gli accertamenti relativi al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 1995) la questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo alla ritenuta irragionevolezza dell’applicabilità del complesso di norme nei confronti di imprese minori alle quali, per il 1995, era ormai preclusa la facoltà di optare per il regime di contabilità ordinaria è infondata.

  Ed infatti, ferma la garanzia della tutela giudiziale mediante la contestazione dell’illegittimità dell’accertamento presuntivo, "è certo che irragionevole dovrebbe riconoscersi l’affidamento – non tutelato – del contribuente nella mancanza d’esercizio (ancorché in forme nuove) dei poteri d’accertamento tributario a fronte d’un regime di contabilità (semplificata) pur sempre riconducibile ad una libera scelta dello stesso soggetto passivo d’imposta".

  2.- Nel corso di quattro distinti processi tributari, intrapresi da altrettanti contribuenti avverso gli avvisi di accertamento notificati dell’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Catania con i quali venivano rettificati, determinando maggiori ricavi, i redditi d’impresa ed il volume di affari dichiarati in relazione all’anno 1995 ai fini IVA, IRPEF e CSSN, la Commissione tributaria provinciale di Catania, con ordinanze del 28 giugno 2001, ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, per asserito contrasto con gli articoli 3, 23, 24 e 53, primo comma, della Costituzione.

  2.1.- In punto di fatto, il Giudice a quo riferisce che, ad avviso dei ricorrenti, l’accertamento operato dall’Ufficio sulla base dei parametri di cui all’art. 3, commi 181-189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 ed emanati con d.P.C.m. 29 gennaio 1996, era da considerarsi nullo in quanto erroneo per non aver tenuto conto dei criteri variabili a seconda della fattispecie concreta in valutazione. Di contro, l’Ufficio distrettuale II.DD. chiedeva il rigetto del ricorso, ribadendo la legittimità dell’accertamento effettuato secondo i criteri di cui al comma 181 dell’art. 3 cit.

  2.2.- In sede di scrutinio della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, la Commissione rimettente rileva che l’accertamento compiuto sulla base dei parametri di cui al d.P.C.m. 29 gennaio 1996 in relazione all’art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre del 1995, n. 549 non può ritenersi legittimo dal punto di vista costituzionale perché in contrasto con gli artt. 3, 23, 24 e 53, primo comma, della Costituzione.

  In particolare, sussisterebbe secondo il rimettente violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. posto che la "prestazione tributaria", conseguente all’accertamento per cui è processo, risulta fondata sul d.P.C.m. 29 gennaio 1996 che ha invece natura amministrativa. Ne discenderebbe la incostituzionalità dell’art. 3, commi 181-189 della legge n. 549 del 1995, nella parte in cui rimette al Presidente del Consiglio dei ministri l’emanazione dei decreti integrativi della norma anziché prevedere essa stessa una compiuta disciplina degli elementi che fanno scaturire l’obbligazione tributaria.

  La stessa normativa violerebbe, inoltre, il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. "dal momento che per alcune categorie di soggetti l’obbligazione tributaria personale e patrimoniale non scaturirebbe da una norma di legge, bensì da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri", in contrasto col "diritto di vedere usato dall’Amministrazione Finanziaria un trattamento identico, ossia normativamente previsto e non già rimesso al Presidente del Consiglio dei Ministri" il quale, peraltro, non è autorizzato ad emanare norme in materia fiscale da alcuna disposizione dell’ordinamento giuridico.

  La Commissione solleva, pertanto, la questione di costituzionalità della norma menzionata "nella parte in cui demanda al Presidente del Consiglio dei Ministri l’emanazione dei parametri attuativi della legge stessa e, dunque, da applicare da parte dei competenti Uffici Finanziari negli accertamenti dagli stessi eseguiti, in relazione agli artt. 3, 23, 24 e 53 primo comma, della Costituzione.

  2.3.- Costituitosi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri preliminarmente eccepisce l’inammissibilità della questione, avendo omesso il giudice rimettente qualsiasi motivazione circa la sua rilevanza. In particolare, non avrebbe preso posizione in ordine ai motivi di impugnazione dell’avviso di accertamento né avrebbe motivato circa gli effetti che sul giudizio a quo avrebbe l’invocata pronunzia di incostituzionalità.

  Nel merito, la questione sarebbe infondata in quanto sia la dottrina che la giurisprudenza dominante interpretano il dettato l’art. 23 Cost. nel senso della previsione di una riserva di legge relativa; pertanto, le disposizioni tributarie possono essere legittimamente contenute anche in atti normativi di tipo e forza diversi dalla legge e di rango inferiore purché – secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenze n. 47 del 1957, n. 36 del 1959, n. 51 del 1960, n. 129 del 1969, n. 11 del 1997 e n. 215 del 1998).) – l’imposizione abbia base in una legge che stabilisca criteri idonei a regolare eventuali margini di discrezionalità lasciati alla P.A. nella determinazione in concreto della prestazione e ne determini direttamente l’oggetto (sentenza n. 250 del 1992). Individuati i soggetti obbligati e fissato adeguatamente l’oggetto dell’imposta, nonché il modulo procedimentale per l’emanazione dei relativi provvedimenti amministrativi (sentenze n. 507 del 1988 e n. 34 del 1986), non è necessario che la legge detti la restante disciplina dell’imposizione tributaria. Senza dire, poi, che, ad avviso di larga parte della dottrina, l’art. 23 Cost. riguarderebbe soltanto le norme tributarie c.d. impositive o sostanziali e non anche quelle - tra le quali le norme impugnate - che disciplinano la riscossione e l’accertamento del tributo, le quali ultime attengono al solo momento realizzativo della pretesa tributaria.

  Nella specie, le norme impugnate delineano ogni aspetto fondamentale dell’accertamento fiscale fondato su parametri presuntivi, definendone la tipologia di accertamento (analitico presuntivo ex art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973), l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo (art. 3, commi 181 e 182), le modalità di determinazione dell’aliquota media ai fini del calcolo della maggiore imposta dovuta (comma 183), i criteri generali di elaborazione dei parametri (comma 184), il procedimento di accertamento (comma 185) e l’ambito temporale di applicazione (comma 189). Stante l’ampia determinazione degli elementi dell’accertamento fiscale ad opera della legge, anche la censura relativa alla presunta violazione dell’art. 3 Cost. sarebbe manifestamente infondata.

  Inammissibile è infine la questione con riguardo alle denunciate violazioni degli artt. 24 e 53 della Costituzione posto che, alla formale enumerazione dei parametri, non è seguita, ad opera del Giudice a quo, alcuna motivazione.

Considerato in diritto

  1.- La Commissione tributaria provinciale di Sassari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, in particolare:

- laddove (comma 186) non prevede che i parametri per la determinazione dei ricavi, dei compensi e del volume di affari attribuibili al contribuente in base alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, debbano necessariamente essere elaborati tenendo conto delle differenze esistenti tra le imprese operanti nelle diverse regioni e, comunque, a livello territoriale e locale; inoltre,

- laddove (comma 181, lettera a) non prevede che, per le imprese ed i professionisti, in contabilità semplificata, i parametri debbano essere applicati solo qualora dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l’inattendibilità della contabilità.

  A sua volta, la Commissione tributaria provinciale di Catania dubita – nelle quattro ordinanze di cui in epigrafe - della legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 in relazione agli artt. 3, 23, 24 e 53, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui demanda al Presidente del Consiglio dei ministri l’emanazione dei parametri attuativi della legge stessa e, come tali, applicabili da parte dei competenti uffici finanziari negli accertamenti dagli stessi eseguiti.

  2.- L’evidente connessione delle questioni sollevate dalle cinque ordinanze di rimessione impone la loro riunione in unico giudizio.

  3.- Entrambe le questioni poste dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari sono infondate.

  3.1.- Il rimettente censura, in primo luogo, la mancata previsione, ad opera dell’art. 3, comma 186, della legge n. 549 del 1995, di una differenziazione dei parametri in relazione alle diverse realtà territoriali in cui operano le imprese (art. 3 Cost.).

  In realtà (non già il comma 186, ma) il comma 184 dell’art. 3 cit., dispone espressamente che i parametri devono essere elaborati "in base alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta". Sul piano operativo, poi, la nota tecnica allegata al d.P.C.m. emanato nel 1996 ai sensi del comma 186 dell’art. 3 cit., al punto 1 ("Criteri per la costituzione dei parametri"), chiarisce che le tecniche statistiche di elaborazione dei parametri sono finalizzate, tra l’altro, a cogliere… le differenze territoriali e locali" ed al punto 2 ("Applicazione dei parametri all’universo dei contribuenti") prevede "un fattore di adeguamento personalizzato in modo da tener conto della probabilità di errore nella stima", considerando le "diverse situazioni gestionali e dell’influenza della localizzazione per la parte non colta" dalla stima.

  In tale quadro, la lamentata assenza di una differenziazione di parametri non è certamente riferibile alla legge oggetto del presente giudizio, ma semmai alle concrete modalità applicative del metodo statistico e dei suoi correttivi; sicché la censura è rivolta, di fatto, avverso disposizioni subprimarie di attuazione, come tali sottratte al controllo di questa Corte, ma sindacabili dal giudice competente per il merito.

  3.2.- La seconda censura – relativa alla mancata previsione, per le imprese ed i professionisti in contabilità semplificata, della sequenza procedimentale, prevista invece per gli imprenditori in regime di contabilità ordinaria (ai quali i parametri sono applicati solo qualora dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l’inattendibilità della contabilità) – è sollevata nei confronti dell’art. 3, comma 181, lettera a).

  Il meccanismo di accertamento in base ai "parametri", previsto dalla norma impugnata, costituisce disciplina transitoria (applicabile ai soli esercizi 1995, 1996 e 1997) collocata tra il vecchio sistema dell’accertamento secondo i "coefficienti presuntivi" di cui al d.l. n. 69 del 2 marzo 1989 ed il nuovo sistema degli "studi di settore" (in vigore dall’esercizio 1998). A differenza dei coefficienti presuntivi, i "parametri" prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito, in assenza di previsioni "procedimentalizzate" circa la partecipazione del soggetto passivo alla fase istruttoria che precede l’emanazione dell’atto di accertamento (anche se, in realtà, le circolari n. 136/99 e n. 157/2000 prevedono forme di contatto preventivo tra amministrazione e contribuente assoggettato).

  Posta la differenza, riconosciuta anche da questa Corte (v. sentenza n. 384 del 1997), tra il sistema di contabilità ordinaria e quello di contabilità semplificata, è evidente che, per gli imprenditori che abbiano scelto quest’ultimo regime contabile, l’assenza di dati contabili documentali da verificare rende priva di senso la previsione di un contraddittorio in una sede ispettiva, la quale rimarrebbe, in fin dei conti, sprovvista di oggetto: sicché la questione sollevata con riguardo alla mancata previsione del meccanismo ispettivo non è meritevole di accoglimento.

  Con riguardo, poi, al problema della mancata possibilità di scelta preventiva del sistema di contabilità, merita di essere condivisa la sostanzialmente uniforme giurisprudenza di legittimità, elaborata in relazione ai coefficienti del "redditometro", la quale nega l’esistenza di un problema di retroattività con riguardo a redditometri contenuti in decreti ministeriali emanati successivamente al periodo di imposta da verificare, poiché il potere in concreto disciplinato è quello di accertamento, sul quale non viene ad incidere il momento della elaborazione.

  4.- La questione sollevata, con quattro ordinanze, dalla Commissione tributaria provinciale di Catania, relativamente alla violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost., è manifestamente infondata.

  Il rimettente mostra di ignorare che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - la riserva di legge di cui all’art. 23 (riferibile anche alle norme procedimentali che disciplinano gli accertamenti presuntivi) pone al legislatore l’unico obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (v., da ultimo, ordinanze n. 323 del 2001 e n. 7 del 2000).

  Nel caso di specie, come esattamente osservato dall’Avvocatura dello Stato, "le norme impugnate valgono a delineare ogni aspetto fondamentale dell’accertamento fiscale fondato su parametri presuntivi, definendone la tipologia di accertamento (analitico presuntivo ex art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973), l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo (art. 3, commi 181 e 182), le modalità di determinazione dell’aliquota media ai fini del calcolo della maggiore imposta dovuta (comma 183), i criteri generali di elaborazione dei parametri (comma 184), il procedimento di accertamento (comma 185) e l’ambito temporale di applicazione (comma 189)". Ciò che rende manifestamente infondata anche la questione sollevata in relazione all’art. 3 Cost.

  4.1.- Manifestamente inammissibili, per totale carenza di motivazione, sono le questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 53 Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188 e 189, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Sassari con l’ordinanza in epigrafe;

  dichiara la manifesta infondatezza della questione sollevata, riguardo alla medesima norma, in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Catania, con le ordinanze in epigrafe;

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione sollevata, riguardo alla medesima norma, in riferimento agli artt. 24 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Catania con le ordinanze in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.

F.to:

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2003.