Ordinanza n. 101/2003

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ORDINANZA N.101

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promosso con ordinanza del 27 febbraio 2002 dal Tribunale di Pesaro nel procedimento civile vertente tra la Biscontini Auto s.r.l. e l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di costituzione della Biscontini Auto s.r.l. in liquidazione e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice del lavoro in grado d’appello, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), nella parte in cui prevede <<che sulle somme da rimborsare da parte degli enti impositori e versate a seguito di condono previdenziale, a seguito dell’esito del contenzioso, "non sono comunque dovuti interessi">>, assumendo che la norma sarebbe lesiva del principio di eguaglianza e <<del diritto di azione e di difesa giurisdizionale>>;

che la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’appello avverso la sentenza con cui il Pretore di Pesaro ha rigettato l’opposizione proposta dalla Biscontini Auto s.r.l. avverso un decreto ingiuntivo emesso su istanza dell’I.N.P.S. a titolo di omissione contributiva, ritenendo che la domanda di condono previdenziale presentata dall’opponente, ancorché con apposizione di clausola di riserva, comportasse acquiescenza al decreto ingiuntivo e rendesse non più discutibile la pretesa dell’opposto;

che il rimettente, sulla premessa della validità della clausola di riserva di ripetizione apposta al condono, con sentenza parziale ha accertato che il rapporto di lavoro in relazione al quale era stata contestata l’omissione contributiva in realtà non aveva avuto natura di lavoro subordinato, conseguendone l’infondatezza della pretesa creditoria dell’INPS, e, quindi, a seguito della rimessione della causa in istruttoria, ha pronunciato altra sentenza parziale, con la quale, fra l’altro, ha condannato l’INPS alla restituzione delle somme indebitamente versate in relazione al suddetto rapporto in esecuzione del condono contributivo, rimettendo poi la causa ancora in istruttoria con riferimento alla pretesa dell’appellante alla corresponsione degli interessi su dette somme e prospettando l’indicata questione di legittimità costituzionale;

che, secondo il rimettente - che richiama a sostegno i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 417 del 1998 - la questione sarebbe non manifestamente infondata in relazione all’art. 3 Cost., perché la norma denunciata avrebbe introdotto <<una disciplina discriminatoria sia rispetto alla disciplina generale dell’indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., sia rispetto alla disciplina specificamente dettata con riferimento alla restituzione dei contributi indebitamente versati, non supportata da idonee e valide ragioni giustificatrici>>;

che, in riferimento al parametro dell’art. 24 Cost., il rimettente sostiene che la norma censurata sarebbe <<lesiva del diritto di azione e di difesa giurisdizionale>> di cui a tale norma, <<posto che del tutto irragionevolmente individua quale presupposto della non debenza degli interessi la circostanza che le somme debbano essere rimborsate a seguito degli esiti del contenzioso, dunque, proprio l’esercizio da parte del contribuente del diritto di difesa in giudizio>>;

che la questione sarebbe rilevante, in quanto senza la sua previa risoluzione nessuna decisione potrebbe essere adottata sulla domanda di condanna dell’INPS alla corresponsione degli interessi sulle somme indebitamente versate;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria, nella quale ha sostenuto l’infondatezza della questione;

che si è costituita la parte privata Biscontini Auto s.r.l., depositando una memoria, nella quale ha sostenuto la fondatezza della questione e, quindi, una successiva memoria illustrativa, nella quale - prendendo atto del sopravvenuto intervento dell’ordinanza di questa Corte n. 234 del 2002 - ha dedotto che essa non ha esaminato la questione alla stregua del parametro dell’art. 24 della Costituzione e, del resto, potrebbe essere oggetto di riesame anche in relazione al parametro dell’art. 3 della Costituzione;

che, infatti, l’argomento della citata ordinanza, secondo cui la deviazione della norma censurata dalle regole generali in materia di restituzione di indebito sarebbe giustificata perché il pagamento eseguito in esecuzione di condono sarebbe parziale rispetto a quello in contestazione, non terrebbe conto che la norma stessa, nel negare il diritto agli interessi legali, non distingue tra quanto è stato pagato a titolo di sanzione civile in misura ridotta (come effetto del beneficio del condono) e quanto è stato pagato a titolo di contributi, accomunando ingiustificatamente questi due importi sotto la stessa disciplina e non tenendo conto che qualora l’apparente debitore avesse scelto di non avvalersi del condono ed avesse pagato integralmente, seppure con riserva di ripetizione, l’intero importo contestatogli, l’ente previdenziale sarebbe stato tenuto, secondo le regole generali della ripetizione di indebito, a corrispondere gli interessi sull’intero importo versato;

che, inoltre, infondate sarebbero le ragioni addotte sul carattere agevolativo del condono, in quanto esse non terrebbero conto che chi ne beneficia con riserva non soddisfa alcun interesse, quando il debito sia inesistente ab origine;

che la norma censurata sarebbe, inoltre, irragionevole anche perché, nel dettare la sua disciplina, non distinguerebbe l’eventuale resistenza opposta dall’ente al riconoscimento dell’indebito ed i tempi in cui la restituzione avviene, e non prevedrebbe alcun criterio di equo contemperamento dei contrapposti interessi;

che si è anche costituito tardivamente l’INPS, rilevando, anche in una memoria illustrativa, che la sollevata questione è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte con l’ordinanza n. 234 del 2002.

Considerato che la questione, sollevata dal rimettente con l’ordinanza in epigrafe, è stata già esaminata da questa Corte con l’ordinanza n. 234 del 2002 in riferimento all’art. 3 della Costituzione e decisa nel senso della manifesta infondatezza;

che le argomentazioni del rimettente non aggiungono profili idonei a giustificare un riesame della questione e comunque sono assorbiti dalla motivazione di tale ordinanza, mentre quelle della parte privata costituita, laddove ritengono rilevante l’insussistenza effettiva della posizione debitoria condonata con riserva, trascurano di considerare che, nella stessa ordinanza, questa Corte ha sottolineato come il valore di tale insussistenza sia bilanciato dal carattere agevolativo del riconoscimento della legittimità del condono con riserva, a fronte di un orientamento giurisprudenziale consolidato in senso contrario;

che, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, la questione, pur non esaminata dalla citata ordinanza n. 234 del 2002, è manifestamente infondata, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte (fra le altre, sentenza n. 419 del 2000, ordinanze n. 44 del 1999 e n. 79 del 1997), la sua violazione, sia sotto il profilo del diritto di azione, sia sotto quello del diritto di difesa, non può essere denunciata con riferimento a norme concernenti profili di diritto sostanziale, come la disciplina degli accessori di un credito di restituzione di pagamento indebito.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), sollevata dal Tribunale di Pesaro, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2003.