Sentenza n. 46/2003

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SENTENZA N.46

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo                              CHIEPPA                  Presidente

- Gustavo                               ZAGREBELSKY        Giudice

- Carlo                                    MEZZANOTTE                    “

- Fernanda                              CONTRI                                “

- Guido                                   NEPPI MODONA                “

- Piero Alberto                       CAPOTOSTI                         “

- Annibale                              MARINI                                “

- Franco                                  BILE                                      “

- Giovanni Maria                    FLICK                                   “

- Francesco                             AMIRANTE                          “

- Ugo                                      DE SIERVO                          “

- Romano                               VACCARELLA                   “

- Paolo                                    MADDALENA                     “

- Alfio                                    FINOCCHIARO                   “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 30 aprile 1962, n. 283, recante “modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, limitatamente alla seguente parte: Articolo 5, lettera h), limitatamente alle parole: “usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate”, e alle parole: “Il Ministro per la sanità con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate, tra l’ultimo trattamento e l’immissione al consumo”, giudizio iscritto al n. 137 del registro referendum.

Vista l’ordinanza del 9 dicembre 2002 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito  nella   camera di consiglio del 14 gennaio 2003 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

udito l’avv. Carlo Rienzi per i presentatori Boscaino Paola, Lion Marco, Pagliai Adriana Lorenza, Musacchio Roberto, Scotton Natalina, Giuliani Livio.

Ritenuto in fatto

1. – L’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 9 agosto 2002 da Boscaino Paola, Lion Marco, Pagliai Adriana Lorenza, Musacchio Roberto, Scotton Natalina, Giuliani Livio, sul seguente quesito: “Volete che sia abrogata la legge 30 aprile 1962, n. 283, recante “modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, limitatamente alla seguente parte: Articolo 5, lettera h), limitatamente alle parole: “usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate,” e alle parole “Il Ministro per la sanità con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate, tra l’ultimo trattamento e l’immissione al consumo”?

2. - Con ordinanza 9 dicembre 2002, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dato atto che la suddetta richiesta di referendum popolare abrogativo aveva riportato sottoscrizioni regolari nel numero richiesto dalla legge, ma – in base all’art. 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352 – ha determinato la denominazione del referendum nei termini seguenti: ”Sicurezza alimentare: divieto generalizzato di residui di prodotti tossici negli alimenti”; con la medesima ordinanza, l’Ufficio centrale ha dichiarato che la richiesta di referendum è conforme alle disposizioni di legge.

3. - L’Ufficio, ha ritenuto di non poter accogliere alcune osservazioni formulate dai promotori riguardanti la denominazione del referendum.

3.1 – In primo luogo, il titolo della proposta deve essere formulato in modo da prospettare il “divieto di residui di prodotti tossici” e non già il “divieto di residui tossici negli alimenti”, come da essi proposto.

Difatti, osserva l’Ufficio centrale, la proposta referendaria, lasciando inalterata l’attuale formulazione dell’art. 5, lett. h), si riferisce appunto ai “residui di prodotti tossici per l’uomo”. Diversamente, la denominazione non sarebbe più conforme alla proposta referendaria.

3.2 – In secondo luogo, l’Ufficio centrale ha ritenuto di non poter accogliere la proposta dei promotori di abolire il riferimento previsto nel titolo alla generalizzazione del divieto di uso di prodotti tossici.

 Sostiene, infatti, l’ufficio della Suprema Corte di cassazione che nel fissare la denominazione referendaria occorre fare riferimento alle modifiche che si vogliono apportare alla norma, quale risulta nella sua attuale formulazione, a prescindere dalla sua concreta applicazione.

4. - Ricevuta comunicazione dell’ordinanza, il Presidente di questa Corte ha convocato la stessa in camera di consiglio per il giorno 14 gennaio 2003 per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare comunicazione.

5. – In data 10 gennaio 2003, per il Comitato promotore è stata presentata una memoria integrativa riferita, tra gli altri, al referendum abrogativo qui in esame.

            La memoria, dopo aver richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale a sostegno della ammissibilità in genere dei referendum ed il valore, sottolineato particolarmente dalla dottrina, dei precedenti giurisprudenziali in questa materia, si sofferma in particolare sul referendum in tema di “sicurezza alimentare”, affermando che non osta alla ammissibilità la circostanza che la normativa risultante da un esito favorevole potrebbe costituire un obbligo impossibile da osservare; al contrario, il Comitato promotore ritiene che l’eventuale divieto di impiego di sostanze tossiche sia nella coltura e nella conservazione di alimenti potrebbe agevolmente essere rispettato; in questi casi, infatti, l’abrogazione auspicata comporterebbe che, “laddove tracce di sostanze inquinanti siano presenti negli alimenti ed esse risultino al di sotto dei limiti di tollerabilità (…) esse debbono essere dichiarate per quello che sono – sostanze inquinanti – e con l’avviso che la sostanza è nociva”. In tal modo, inoltre, attraverso l’intervento referendario si darebbe attuazione alla normativa comunitaria di settore.

            La memoria presentata conclude insistendo per la ammissibilità dei referendum da essa illustrati richiamando, altresì, a sostegno la recente giurisprudenza della Corte sulla chiarezza ed omogeneità dei quesiti nonché quella sulla univocità degli stessi.

6. – Nella camera di consiglio del 14 gennaio 2003 è stato udito, in qualità di difensore del Comitato promotore, l’avvocato Carlo Rienzi, il quale ha insistito per la dichiarazione di ammissibilità.

Considerato in diritto

1. – Questa Corte è chiamata ad accertare – ai sensi dell’art. 75, secondo comma della Costituzione, dell’art. 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e dell’art. 33, quarto comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 – se è ammissibile la richiesta di referendum popolare  abrogativo della legge 30 aprile 1962, n. 283 (“Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”), art. 5, lettera h), limitatamente alle parole “usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate”, e alle parole “Il Ministro per la sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate, tra l’ultimo trattamento e l’immissione al consumo”.

A tal fine si deve stabilire se ricorrano i limiti espressamente previsti dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione o comunque impliciti nel sistema, relativi alle normative non suscettibili di consultazioni referendarie abrogative, ed accertare altresì se la struttura del quesito proposto risponda alle esigenze di chiarezza, univocità ed omogeneità, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di ammissibilità delle domande referendarie.

2. – Preliminarmente va osservato che l’oggetto del referendum abrogativo è solo in parte coincidente con altra richiesta referendaria dichiarata ammissibile da questa Corte con la sentenza n. 64 del 1990; nel caso attualmente in esame, infatti, oltre alla seconda parte della lettera h) dell’art. 5 della legge n. 283 del 1962, relativa alla procedura ministeriale di autorizzazione all’uso limitato di particolari sostanze, già oggetto del referendum abrogativo svoltosi nel 1990, viene richiesta anche la eliminazione dell’inciso contenuto nella prima parte della stessa lettera h), relativo alla previsione che possano essere impiegati in agricoltura prodotti “per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate”.

Appare, dunque, evidente l’effetto manipolativo dell’abrogazione proposta – effetto assente nel precedente referendum – dalla quale scaturirebbe un divieto generalizzato ed assoluto di utilizzazione di prodotti in grado di determinare residui tossici per l’uomo nella produzione agricola delle sostanze alimentari e nella loro conservazione, nonché di preparazione, vendita, detenzione per la vendita e distribuzione per il consumo di ogni prodotto alimentare che possa contenere una qualsiasi quantità di “residui di prodotti tossici per l’uomo” - espressione tanto generica da riferirsi ad una serie indeterminata di sostanze, identificate esclusivamente per la loro potenziale tossicità -.

Il divieto risultante dalla abrogazione ipotizzata si completerebbe con l’esclusione della procedura autorizzatoria finalizzata all’impiego in agricoltura o nell’immagazzinamento dei prodotti alimentari di sostanze che, nelle quantità o nelle condizioni autorizzate, siano ritenute prive di effetti tossici sull’uomo.

Si consideri, altresì, che il nuovo divieto così introdotto dal possibile esito positivo del referendum, risulterebbe sanzionato penalmente, con i conseguenti problematici rapporti con le fattispecie di cui agli articoli 444 e 516 del codice penale.

La proposta referendaria va quindi dichiarata inammissibile, consistendo “in una proposta all’elettore, attraverso l’operazione di ritaglio sulle parole ed il conseguente stravolgimento dell’originaria ratio e struttura della disposizione, di introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento, ma anzi del tutto estranea al contesto normativo” (sentenza n. 36 del 1997 e, analogamente, sentenze n. 13 del 1999 e n. 34 del 2000).

3. - La proposta di referendum popolare, inoltre, si pone in palese contraddizione con quanto previsto dall’art. 19 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, (Attuazione della direttiva n. 91/414/CEE in materia di immissione in commercio di prodotti fitosanitari), disposizione non sottoposta a referendum, che, proprio in riferimento a quanto previsto nella lettera h) dell’art. 5 della legge n. 283 del 1962, prevede che “il Ministro della sanità, con proprio decreto, adotta” i limiti massimi di residui di sostanze attive dei prodotti fitosanitari che siano “definiti in sede comunitaria e, in mancanza, li stabilisce in via provvisoria, sentita la Commissione di cui all’art. 20 e tenuto conto degli eventuali orientamenti comunitari relativi alla presenza simultanea di residui di più sostanze attive nello stesso alimento, informandone la Commissione europea”.

Anche a voler prescindere dal dubbio sulla coerenza e completezza dell’oggetto del referendum proposto, risulta evidente la netta contraddizione fra il divieto penalmente sanzionato di ogni impiego o commercializzazione di alimenti e bevande “che contengano residui di prodotti tossici per l’uomo” (che appunto deriverebbe dall’abrogazione referendaria proposta) e la previsione di procedimenti, quali quelli previsti dal d.lgs. 17 marzo 1995, n. 194, vòlti a consentire l’immissione in commercio e l’utilizzazione dei prodotti fitosanitari ed a determinare i limiti massimi di residui di sostanze attive dei prodotti fitosanitari che possono essere presenti negli alimenti e nelle bevande.

4. – Quanto rilevato in precedenza esime dal considerare l’ulteriore profilo di inammissibilità relativo all’interferenza dell’iniziativa referendaria con i contenuti dell’ampia produzione normativa comunitaria nel vasto settore interessato dalla maggiore portata abrogativa della presente richiesta referendaria rispetto a quella del 1989.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 30 aprile 1962, n. 283 (“Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”); richiesta dichiarata legittima con ordinanza 9 dicembre 2002 dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2003.