Ordinanza n. 526/2002

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 526

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                       "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "         

- Romano                      VACCARELLA                    "

- Paolo                           MADDALENA                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 27 della legge regionale della Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), promosso con ordinanza del 1° marzo 2002 dal Tribunale di Milano, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 1° marzo 2002, pervenuta a questa Corte il 13 maggio 2002, il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 3 e 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione, dell’articolo 27 della legge regionale della Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica);

che detto articolo, come da ultimo sostituito dall’articolo 28 della legge regionale 4 maggio 1990, n. 28, stabilisce le regole per la determinazione del canone di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nella Regione Lombardia;

che, in particolare, il primo comma di tale articolo 27 stabilisce che "il canone di locazione è determinato secondo i parametri di cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392 e successive modificazioni e integrazioni e con l’osservanza delle norme di cui ai commi successivi";

che il successivo sesto comma stabilisce che "il costo base di produzione degli alloggi di nuova costruzione stabilito annualmente ai sensi dell’art. 22 della legge 27 luglio 1978, n. 392 è abbattuto nella misura del 15% per gli immobili ultimati dopo il 31 dicembre 1975 e del 25% per quelli ultimati dopo il 31 dicembre 1983, purché in misura non inferiore al costo base determinato per l’anno precedente";

che, a sua volta, il decimo comma dispone che "per gli alloggi recuperati o ristrutturati dopo il 31 dicembre 1975 si applicano i disposti del precedente sesto comma qualora siano stati eseguiti nell’ambito della medesima ristrutturazione almeno sette degli interventi sottocitati, fra cui almeno tre sugli impianti indicati alle successive lettere a, b, c e d": segue l’elenco degli interventi riguardanti "Impianti" (lettere a, b, c, d), "Finiture e diversa distribuzione interna dell’alloggio" (lettere e, f, g), "Strutture" (lettere h, i), "Parti comuni" (lettere l, m);

che il giudice remittente, premesso che è in discussione fra le parti la legittimità dell’applicazione dell’art. 27 della legge regionale n. 91 del 1983, osserva che il riferimento, previsto in detto decimo comma, al costo base stabilito, in base alla legge statale n. 392 del 1978, per gli immobili ultimati dopo il 31 dicembre 1975, anche ai fini della determinazione del canone per gli alloggi che siano stati ristrutturati dopo tale data, con interventi che potrebbero integrare una mera risistemazione dell’unità abitativa, diversa dal completo restauro o dalla integrale ristrutturazione di cui all’art. 20, secondo comma, della legge n. 392 del 1978 (e che, secondo tale ultima norma, autorizza a considerare come anno di costruzione quello della ultimazione di tali lavori), comporterebbe un contrasto fra l’impugnato art. 27 della legge regionale n. 91 del 1983 e la norma di cui al citato art. 20, secondo comma, della legge statale, in relazione all’art. 14 della stessa, che prevederebbe in caso di completo restauro o integrale ristrutturazione il solo azzeramento dell’indice di vetustà, ma non l’applicazione di un nuovo costo base, che sarebbe previsto solo per gli immobili ultimati dopo il 31 dicembre 1975;

che pertanto, secondo il giudice a quo, dall’applicazione della disposizione regionale discenderebbe la conseguenza che il canone sociale a carico di inquilini "a reddito inferiore" risulterebbe maggiorato rispetto a quello equo, risultante dall’integrale applicazione della normativa della legge statale n. 392 del 1978, così che le categorie di soggetti disagiati economicamente troverebbero una minor tutela con la determinazione di un canone eccedente i limiti legali definiti per i comuni conduttori che non godano di protezione sociale;

che per questa ragione la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione, in quanto lederebbe la riserva di potestà esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ponendosi in contrasto con "i parametri degli artt. 14 e 22 della legge statale" n. 392 del 1978 (quest’ultimo relativo al costo base degli immobili ultimati dopo il 31 dicembre 1975);

che sussisterebbe altresì contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, in quanto la norma censurata porterebbe ad una diversa disciplina di situazioni analoghe, determinando un canone sociale superiore a quello equo per una categoria di soggetti che dovrebbero godere di protezione sociale rispetto ai soggetti locatari comuni, destinatari delle norme imperative della legge n. 392 del 1978.

Considerato che l’impugnato art. 27 della legge regionale della Lombardia n. 91 del 1983 si inserisce nel quadro di una disciplina organica dell’assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in Lombardia, e in particolare nell’ambito della disciplina che il titolo IV della legge regionale dedica al canone di locazione di detti alloggi: disciplina che costituisce, in linea di principio, espressione della competenza spettante alla Regione in questa materia (cfr., già prima della riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione, recata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, l’articolo 93 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e l’articolo 60 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, la cui lettera e si riferisce espressamente alle funzioni relative "alla determinazione dei … canoni" degli alloggi di edilizia residenziale destinati all’assistenza abitativa);

che ai fini della determinazione dei canoni di detti alloggi la disciplina della legge statale 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) – peraltro già resa derogabile, quanto all’entità dei canoni, in base all’art. 11 del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e poi in larga parte abrogata dall’art. 14 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, per quanto riguarda le locazioni abitative - non si applica per forza propria, bensì, in Lombardia, solo in base al rinvio recettizio operato dall’art. 27, primo comma, della legge regionale n. 91 del 1983: rinvio tuttavia accompagnato dalla statuizione di specifiche norme, contenute nei commi successivi dello stesso art. 27, nonché negli articoli 28, 29, 30 e 31 della stessa legge, che incidono in modo significativo sulla determinazione finale dell’entità dei canoni dovuti dagli assegnatari degli alloggi;

che, in particolare, ai fini della determinazione di tali ultimi canoni, non si applicano alcuni dei criteri e dei coefficienti previsti, per il calcolo della superficie convenzionale, dall’art. 13 della legge n. 392 del 1978 (art. 27, secondo comma, della legge regionale); possono essere stabiliti particolari criteri di applicazione dei coefficienti di cui agli artt. 17 e 18 della legge n. 392 del 1978 (art. 27, quarto comma, della stessa legge); l’importo del costo base di produzione degli alloggi di nuova costruzione è abbattuto in misura variamente prestabilita per gli immobili ultimati o ristrutturati, rispettivamente, dopo il 31 dicembre 1975 e dopo il 31 dicembre 1983 (art. 27, sesto e decimo comma, della stessa legge); il canone, calcolato secondo i criteri conformati – ma solo in parte – a quelli stabiliti dalla legge n. 392 del 1978, è applicato nella misura del 100 per cento soltanto agli assegnatari con reddito annuo complessivo del nucleo familiare superiore a determinati limiti fissati dalla legge regionale, mentre agli assegnatari con redditi inferiori si applica solo in misura percentuale variabile fra il 15 e l’80 per cento (art. 28, primo comma, rispettivamente numero 5 e numeri 1, 2, 3, 4, della stessa legge regionale);

che, infine, l’art. 31 della medesima legge regionale prevede un apposito Fondo sociale da utilizzare per la corresponsione di contributi agli assegnatari che non siano in grado di sostenere l’onere per il pagamento del canone di locazione;

che, pertanto, da un lato, la specifica disciplina in tema di costo di costruzione degli immobili ristrutturati, recata dalla legge statale n. 392 del 1978 – anche a prescindere dalla circostanza che essa, per quanto riguarda le locazioni di immobili ad uso di abitazione, è stata abrogata dall’art. 14 della legge n. 431 del 1998 – è male invocata quale tertium comparationis ai fini della valutazione di legittimità della disposizione regionale impugnata, che si inscrive in un autonomo e ben diverso contesto normativo;

che, dall’altro lato, il giudice remittente, omettendo qualsiasi precisazione in ordine alle fattispecie a lui sottoposte, quanto ad entità dei canoni dovuti e a redditi degli assegnatari, non offre alcuna dimostrazione della circostanza, più presupposta che affermata, che i canoni calcolati secondo i criteri stabiliti dalla legge regionale siano tali da risultare in concreto superiori a limiti espressivi di "livelli essenziali" di "prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001), livelli dei quali non viene nemmeno indicata una valida fonte di determinazione, posto che gli invocati artt. 14, 20 e 22 della legge n. 392 del 1978 sono oggi abrogati per quanto si riferisce alle locazioni abitative;

che le esposte considerazioni conducono a concludere per la manifesta inammissibilità della questione proposta.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della legge regionale della Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica) sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2002.