Ordinanza n. 485/2002

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ORDINANZA N.485

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                          NEPPI MODONA                "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                       "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                    "

- Paolo                           MADDALENA                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 197, 197-bis e 210 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Nocera Inferiore con ordinanza del 7 gennaio 2002, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Nocera Inferiore ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 197, 197-bis e 210 del codice di procedura penale, nella parte in cui garantiscono il diritto al silenzio dell'imputato che abbia reso dichiarazioni erga alios nella fase delle indagini preliminari, e nella parte in cui non prevedono che il rifiuto di sottoporsi all'esame, in relazione alle dichiarazioni etero-accusatorie, sia penalmente sanzionato, al pari del rifiuto opposto dal testimone;

che il rimettente ripropone, ampliandola, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 210 cod. proc. pen. sollevata, nell'ambito dello stesso procedimento, con ordinanza iscritta al n. 721 del registro ordinanze 2000, in relazione alla quale questa Corte aveva disposto, con ordinanza n. 261 del 2001, la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza a seguito dell'entrata in vigore della legge 1° marzo 2001, n. 63;

che nella precedente ordinanza il giudice a quo - premesso che il processo era pervenuto alla fase conclusiva del dibattimento e che in precedenza, con <<il sistema delle contestazioni previsto dall'art. 513 cod. proc. pen., come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 1998>>, erano state acquisite senza il consenso dei difensori le dichiarazioni rese nella fase investigativa da persone imputate in procedimento connesso e già giudicate con rito abbreviato, che avevano rifiutato di sottoporsi all'esame dibattimentale - aveva rilevato che l'acquisizione doveva ritenersi <<erronea>>, in quanto la legge 25 febbraio 2000, n. 35, consentiva, per i processi in corso alla data della sua entrata in vigore (1° marzo 2000), la valutazione delle dichiarazioni di chi si è sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore solo se già acquisite al fascicolo del dibattimento;

che tale conclusione aveva indotto il rimettente a dubitare <<della legittimità costituzionale dell'art. 210 cod. proc. pen., nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio all'imputato in procedimento connesso che abbia già reso dichiarazioni erga alios>>, per contrasto:

- con l'art. 111 Cost., nella parte in cui individua il contraddittorio tra le parti <<come il solo metodo probatorio idoneo>> per l'accertamento della verità, in quanto regole processuali che <<limitino la pienezza e l'effettività del contraddittorio, non giustificate da principi a loro volta di rango o pari valore costituzionale>>, non sarebbero compatibili con la scelta operata dal costituente;

- con l'art. 3 Cost., per la irragionevolezza di una disciplina che contempla una <<indiscriminata tutela del diritto al silenzio>> a favore di colui che ha già reso dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari;

che nell'atto introduttivo del presente giudizio il rimettente, richiamato integralmente il contenuto della precedente ordinanza, censura anche gli artt. 197 e 197-bis cod. proc. pen., come modificati dalla nuova disciplina, e afferma la perdurante rilevanza della già prospettata questione di costituzionalità;

che, al riguardo, il giudice a quo afferma: a) che la sentenza emessa nel separato procedimento nei confronti degli imputati che devono essere esaminati nell'attuale processo non è ancora passata in giudicato; b) che l'art. 197-bis cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 63 del 2001, permette di sentire come testimoni (assistiti) le persone imputate del medesimo reato (e nei cui confronti si è proceduto separatamente) solo nel caso in cui la sentenza che le riguarda sia divenuta irrevocabile; c) che, quindi, tali soggetti, che si erano già avvalsi della facoltà di non rispondere nella diversa veste di persone imputate in procedimento connesso, non possono essere sentiti in qualità di testimoni;

che il giudice a quo rileva inoltre, con specifico riferimento all'art. 210 cod. proc. pen., un ulteriore <<profilo di incoerenza>> della nuova normativa, e segnatamente dell'art. 197-bis, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede la <<assoluta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese contra se dal teste-imputato>>; sanzione processuale che dovrebbe costituire, ad avviso del rimettente, <<una garanzia sufficiente anche per le persone il cui procedimento sia ancora in corso>>;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata in quanto la riforma attuata dal legislatore con la legge n. 63 del 2001 avrebbe realizzato un corretto equilibrio tra il principio del contraddittorio e il principio nemo tenetur se detegere.

Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 197, 197-bis e 210 del codice di procedura penale, nella parte in cui garantiscono il diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso, separatamente giudicato per lo stesso fatto con sentenza non ancora irrevocabile, che abbia in precedenza reso dichiarazioni erga alios, e non prevedono che il rifiuto di sottoporsi all'esame sia penalmente sanzionato al pari del rifiuto di rispondere del testimone;

che il rimettente, in sostanza, vorrebbe che i soggetti imputati del medesimo reato e giudicati separatamente possano essere sentiti come testimoni assistiti, con esclusione della facoltà di non rispondere, prima della definizione del procedimento a loro carico;

che l’art. 197, comma 1, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 5 della legge n. 63 del 2001, prevede, rispettivamente nelle lettere a) e b), che non possono essere assunti come testimoni i coimputati del medesimo reato e gli imputati in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nonché gli imputati in procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pe ;

che a norma degli artt. 197, comma 1, lettera b), e 197-bis, comma 2, cod. proc. pen., l’incompatibilità a testimoniare viene meno, quando il procedimento è ancora pendente, per i soli imputati in procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., ed esclusivamente nell’ipotesi in cui gli stessi, avvertiti ex art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen., abbiano liberamente reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri;

che, quindi, l’ambito della testimonianza "assistita", in pendenza di procedimento, risulta circoscritto ai soli soggetti di cui alla lettera b) del comma 1 dell’art. 197 cod. proc. pen. che abbiano ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen.;

che tale disciplina appare giustificata, quanto alla incompatibilità a testimoniare per i coimputati del medesimo reato e per le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., in ragione della peculiare situazione derivante dall’unicità del fatto-reato e dei conseguenti profili di indubbia interferenza con la posizione dell’imputato e, quanto alla previsione dell’avvertimento per le altre categorie, in ragione della necessità di garantire che il dichiarante compia una scelta libera e consapevole in ordine alle conseguenze delle proprie dichiarazioni erga alios (v. ordinanza n. 451 del 2002);

che pertanto - a prescindere che la questione sollevata dal rimettente presenta anche un profilo additivo che potrebbe comportare effetti in malam partem - la disciplina censurata non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., ma è frutto delle scelte discrezionali, non irragionevolmente esercitate, con cui il legislatore ha individuato, in ossequio al principio nemo tenetur se detegere, situazioni nelle quali il diritto al silenzio, inteso nella sua dimensione di <<corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa>>, va garantito malgrado dal suo esercizio possa conseguire l'impossibilità di formazione della prova testimoniale (v. ordinanze n. 291 e n. 451 del 2002);

che la questione va quindi dichiarata manifestamente infondata in relazione a tutti i parametri considerati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 197, 197-bis e 210 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Nocera Inferiore, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2002.