Ordinanza n. 481/2002

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ORDINANZA N. 481

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                      Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                       Giudice    

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                          NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Franco                         BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "         

- Francesco                    AMIRANTE                          "         

- Ugo                             DE SIERVO                          "         

- Romano                      VACCARELLA                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, del codice di procedura civile, e dell’art. 7, primo comma, del medesimo codice, promosso con ordinanza emessa il 24 maggio 2001 dal Giudice di pace di Lecce nel procedimento civile Mocavero Rosaria contro Consorzio Speciale di Bonifica dell’Arneo ed altra, iscritta al n. 896 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visti gli atti di costituzione di Mocavero Rosaria e del Consorzio Speciale di Bonifica dell’Arneo nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri;

  uditi l’avvocato Claudio Martino per il Consorzio Speciale di Bonifica dell’Arneo e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Giudice di pace di Lecce, con ordinanza emessa il 24 maggio 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui attribuisce alla competenza funzionale del tribunale le controversie in materia di imposte e tasse di qualunque valore, e dell’art. 7, primo comma, del medesimo codice, nella parte in cui stabilisce che la devoluzione al giudice di pace delle controversie di importo non eccedente i cinque milioni di lire incontra un limite nelle cause attribuite dalla legge alla competenza di altro giudice;

che, ad avviso del rimettente, la devoluzione al tribunale delle controversie in materia di imposte e tasse anche di valore non superiore a lire cinque milioni determinerebbe un pregiudizio per il cittadino, costretto a sostenere spese processuali e di difesa di importo superiore al tributo contestato e a subire la dilatazione dei tempi processuali e maggiori tecnicismi procedurali, senza nemmeno poter agire dinanzi all’organo giurisdizionale ad esso più prossimo;

che, secondo la prospettazione del giudice a quo, sarebbero violati i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, in quanto controversie di tenue valore sono demandate al tribunale, determinando un inevitabile allungamento dei tempi, anziché essere affidate al giudice dinanzi al quale si svolge un processo semplificato;

che vi sarebbe infine una irragionevole disparità di trattamento tra cittadini, i quali "pur azionando pretese di identico valore agiscono in un caso nei confronti di un ente o amministrazione che impone tasse o tributi, in un altro nei confronti di un soggetto appartenente alla generalità dei consociati";

che nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita l’attrice del giudizio a quo, concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle contenute nell’ordinanza di rimessione;

che nelle note depositate in prossimità dell’udienza la predetta parte ha chiesto che siano restituiti gli atti al giudice rimettente per un nuovo esame della rilevanza della dedotta questione, a seguito delle modifiche apportate all’art 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in tema di giurisdizione tributaria;

che si è costituito anche il Consorzio di Bonifica, convenuto nel giudizio a quo, sostenendo la manifesta inammissibilità, oltre che la infondatezza, della questione e riservandosi di illustrarne successivamente le ragioni;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la infondatezza della questione, sostenendo che non può invocarsi alcun principio costituzionale che imponga al legislatore criteri in base ai quali distribuire la competenza tra giudici diversi all’interno della giurisdizione ordinaria; che anche dinanzi al tribunale è assicurato il giusto processo nel rispetto del principio della ragionevole durata; ed infine che la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude che possano essere diversamente regolate le modalità del suo esercizio.

Considerato che il Giudice di pace di Lecce dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, cod. proc. civ., che stabilisce la competenza esclusiva del tribunale per le cause in materia di imposte e tasse, e dell’art. 7, primo comma, del medesimo codice, che limita la competenza per valore del giudice di pace, quando le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinque milioni "dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice";

che il rimettente censura, giudicandola irragionevole e lesiva dei citati principi costituzionali, la scelta del legislatore di affidare le controversie in materia di imposte e tasse esclusivamente alla competenza del tribunale, anziché ripartirle in ragione del valore tra giudice di pace e tribunale;

che la questione appare manifestamente infondata;

che il rimettente muove dall’erroneo presupposto secondo cui "per esplicita scelta del legislatore il criterio alla cui stregua valutare la "natura" delle controversie è quello del valore";

che con tale affermazione il rimettente trascura di considerare che la ripartizione della competenza avviene non solo in base al criterio del valore ma anche ratione materiae;

che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, il legislatore gode della più ampia discrezionalità nel dettare le regole di ripartizione della competenza, purché si tratti di scelte non manifestamente irragionevoli;

che la opzione di privilegiare il criterio della competenza per materia, anziché quello basato sul valore, si fonda sulla valutazione della particolare natura delle controversie in esame, attinenti alla pretesa impositiva dello Stato nei confronti del cittadino ed involgenti comunque un interesse pubblico;

che la peculiarità della materia in questione ha di recente indotto il legislatore ad una nuova e diversa scelta, consistente nell’attribuire alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, come dispone l’art. 12 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002);

che la predetta norma non è tuttavia applicabile ai giudizi in corso, restando irrilevante l’intervenuto mutamento di giurisdizione, ai sensi dell’art. 5 cod. proc. civ.;

che le diverse modalità di svolgimento del processo dinanzi al tribunale rispetto a quelle semplificate previste nei procedimenti innanzi al giudice di pace non determinano alcun pregiudizio al diritto di difesa, il quale permane integro ed è garantito in tutte le sue esplicazioni;

che neppure la maggiore durata del processo può integrare la lamentata disparità di trattamento, non costituendo essa un effetto giuridico derivante dalle norme impugnate, ma una ipotetica conseguenza di mero fatto, e, come tale, irrilevante nel giudizio costituzionale;

che per le anzidette ragioni la questione risulta manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, e 7, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione, dal Giudice di pace di Lecce con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2002.