Sentenza n. 305/2002

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SENTENZA N. 305

ANNO 2002

Commento alla decisione di

Francesco Mime

(per gentile concessione della Rivista telematica Lexitalia.it)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                 Presidente

- Massimo                     VARI                          Giudice

- Riccardo                     CHIEPPA                  "

- Gustavo                      ZAGREBELSKY      "

- Valerio                        ONIDA                      "

- Carlo                           MEZZANOTTE        "

- Guido                          NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto             CAPOTOSTI             "

- Annibale                     MARINI                    "

- Giovanni Maria          FLICK                                   "

- Francesco                    AMIRANTE              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 139 e 143, terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), promosso con ordinanza emessa il 9 maggio 2001 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche sul ricorso proposto dal Consorzio per l’incremento della irrigazione nel territorio cremonese contro il Comune di Spino d’Adda ed altri, iscritta al n. 803 del registro ordinanze 2001 e pubblica nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di costituzione del Consorzio per l’incremento della irrigazione nel territorio cremonese;

udito nell’udienza pubblica del 26 marzo 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

udito l’avv. Maria Cristina Zavatti per il Consorzio per l’incremento della irrigazione nel territorio cremonese.

Ritenuto in fatto

1. — Il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con ordinanza del 9 maggio 2001, depositata il 22 maggio 2001, solleva questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 139 e 143, terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici ), "nella parte in cui non prevede la nomina di uno o più supplenti destinati a sostituire i membri effettivi del Tribunale superiore delle acque pubbliche nel caso in cui uno o più di tale membri effettivi siano obbligati ad astenersi in presenza di uno dei motivi stabiliti dall'art. 51, primo comma, cod. proc. civ.", in riferimento agli artt. 24, primo comma, 102, 103, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione.

2. — La questione é stata sollevata nel corso di un giudizio di rinvio - a seguito di annullamento da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione della sentenza n. 78 del 24 novembre 1997 pronunciata dal Tribunale superiore delle acque pubbliche – ritualmente riassunto dal Consorzio per l'incremento dell'irrigazione nel territorio cremonese ed avente ad oggetto l'annullamento dell'ordinanza n. 19 del 1° giugno 1993 con la quale il sindaco del Comune di Spino d'Adda dispose la demolizione di opere edilizie di contenimento dell'argine del canale "Vacchelli" perchè realizzate in assenza di autorizzazione.

2.1. — Il giudice a quo espone che, a norma dell'ultimo comma del citato art.143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, nelle materie indicate in tale articolo il Tribunale superiore decide con sette votanti, cioé con tre magistrati, con tre consiglieri di Stato e con un tecnico e che l'art. 139 dello stesso regio decreto disciplina la composizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche e stabilisce che esso é composto di un presidente, di quattro consiglieri di Stato, di quattro magistrati scelti fra i consiglieri di cassazione e di tre tecnici, membri effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici, non aventi funzioni di amministrazione attiva.

Il collegio chiamato a pronunziare la sentenza in sede di rinvio - rileva il rimettente - non potrà che essere composto da almeno uno dei giudici che hanno già conosciuto della causa nel precedente giudizio, in quanto il collegio che ha pronunciato la sentenza n. 78 del 1997, poi cassata con rinvio dalla Corte suprema, era costituito da sette votanti, tra i quali tre consiglieri di Stato, e due di questi ultimi sono attualmente componenti del Tribunale superiore per il quinquennio in corso.

Il giudice a quo – tenuto conto che, a norma dell'art. 51, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., "applicabile anche ai giudizi davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche, per effetto del rinvio di cui all'art. 208 del regio decreto n. 1775 del 1933", il magistrato ha l'obbligo di astenersi quando ha conosciuto della causa quale giudicante in altro grado del processo – , ritiene che il costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui, in mancanza d'istanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi per avere conosciuto della causa in un precedente grado del processo non determini nullità della sentenza e non é deducibile come motivo d'impugnazione, dovrebbe essere riesaminato, in virtù della nuova formulazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione. Inoltre, non si potrebbe pretendere che un giudice, per assicurare la formazione del collegio, debba esporsi non soltanto ad essere ricusato, ma debba coscientemente violare un obbligo che gli é imposto dalla legge.

La situazione, dunque, non sarebbe "allo stato superabile se non imponendo al collegio di emettere una decisione che, ancorchè non viziata sul piano processuale - non configurandosi una nullità deducibile in sede d'impugnazione in difetto di un'istanza di ricusazione - si collocherebbe in un quadro di non conformità al diritto" ed in contrasto con un fondamentale valore costituzionale.

Il giudice a quo pone in risalto il fatto che la determinazione per legge della pianta organica e l'assenza di membri supplenti non consentono, in virtù anche della riserva di legge ex art. 108 della Costituzione, interventi di natura amministrativa, quali applicazioni e supplenze. Le parti, però, hanno "diritto ad una decisione, come espressione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (artt. 24, primo comma, e 113 Cost.), l'esercizio della funzione giurisdizionale deve essere assicurato (artt. 102 e 103 Cost.), e tale esercizio deve attuarsi mediante un giusto processo regolato dalla legge (art. 111, primo comma, Cost.), davanti a un giudice che non soltanto sia ma si presenti anche imparziale (art. 111, secondo comma, Cost.)".

La questione, dunque, non sarebbe manifestamente infondata perchè l'impossibilità di comporre il collegio giudicante, in conformità alla disciplina processuale vigente, si tradurrebbe "in un vulnus per il corretto esercizio della giurisdizione", incidendo sia sul diritto di agire in giudizio, privato del contenuto proprio di realizzare la tutela della situazione giuridica vantata in giudizio, sia sull'attuazione della funzione giurisdizionale nel rispetto delle condizioni di cui all'art. 111, comma secondo, della Costituzione.

3. — Nel giudizio si é costituito il Consorzio per l'incremento dell'irrigazione nel territorio cremonese, chiedendo l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

La difesa del Consorzio pone l'accento sull'evidente pregiudizio del magistrato che abbia già conosciuto i fatti di causa ed abbia pronunciato decisioni in una fase o grado diverso del processo. Tale situazione sarebbe in contrasto con i precetti costituzionali indicati dal Tribunale superiore nell'ordinanza di rimessione e renderebbe incostituzionali le norme del testo unico in tema di giurisdizione sulle "Acque pubbliche", nella parte in cui non prevedono la sostituzione del giudice che versi in una delle previste ipotesi di astensione e voglia adempiere al dovere di astenersi.

4. — All’udienza pubblica la parte costituita ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. — La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con l'ordinanza indicata in epigrafe ha ad oggetto il combinato disposto degli artt. 139 e 143, terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1175 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), nella parte in cui non prevede la nomina di supplenti dei membri effettivi del Tribunale superiore delle acque pubbliche in caso di astensione in presenza di uno dei motivi stabiliti dall'art. 51, primo comma, del codice di procedura civile.

Le predette norme contrasterebbero infatti, secondo l'ordinanza di rimessione, con gli artt. 24, primo comma, 102, 103, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, in quanto, nel caso di astensione obbligatoria o in altre ipotesi di legittimo impedimento di uno o più componenti del Tribunale, la mancata previsione di membri supplenti e l'impraticabilità di forme di temporanea sostituzione, determinerebbero l'impossibilità di comporre il collegio giudicante in conformità alla disciplina processuale vigente, traducendosi essenzialmente in una lesione del diritto alla tutela giurisdizionale e in un vulnus al corretto e regolare esercizio della giurisdizione, sotto i diversi profili evocati dai parametri costituzionali indicati.

2. — La questione é fondata.

Va premesso che il Tribunale superiore delle acque pubbliche -i cui componenti durano in carica un quinquennio, ma possono essere riconfermati- in un giudizio del 1997 aveva emesso, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 143 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, una sentenza -poi annullata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con rinvio allo stesso Tribunale- con la partecipazione di sette giudici, tra cui tre appartenenti al Consiglio di Stato, due dei quali sono componenti del Tribunale superiore anche per il quinquennio in corso. Ne consegue che del collegio, che ora é chiamato in sede di rinvio a decidere su quella sentenza, necessariamente dovrà far parte, tra i tre membri appartenenti al Consiglio di Stato, almeno uno che aveva già conosciuto la causa nel precedente giudizio. Sussistono quindi, secondo l'ordinanza di rimessione, tutti i presupposti perchè sorga l'obbligo di astensione -ai sensi dell'art. 51, primo comma, numero 4, del codice di procedura civile, applicabile anche ai giudizi davanti al Tribunale superiore, in forza del rinvio contenuto nell'art. 208 dello stesso r.d. n. 1775 del 1933- a carico appunto di quel giudice, che si trova nella predetta condizione di incompatibilità.

La dichiarazione di astensione, però, nel caso di specie, condurrebbe, ad avviso del giudice rimettente, ad una insuperabile situazione di "blocco" della funzione giurisdizionale, poichè sarebbe impedita "perfino la costituzione del collegio", non essendo possibile alcuna forma di sostituzione del componente che si astiene, dato che la legge fissa la composizione organica del Tribunale superiore senza prevedere membri supplenti.

Così impostata la questione, il dubbio di costituzionalità risulta fondato in riferimento al vulnus recato alla correttezza e alla regolarità dell'esercizio della giurisdizione. Infatti le norme denunziate, nella parte in cui omettono di prevedere meccanismi di sostituzione di membri effettivi del Tribunale superiore nei casi di astensione obbligatoria, a norma dell'art. 51, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile, o in altri casi di legittimo impedimento, precludono la regolare formazione del collegio giudicante, determinando così la lesione, sotto vari profili, degli artt. 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, che in particolare fissano il principio del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti davanti ad un giudice terzo ed imparziale nell'ambito del "giusto processo". Il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha infatti pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo, pur nella diversità delle rispettive discipline connessa alle peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento (cfr., da ultimo, sentenza n. 78 del 2002). E proprio in riferimento all'ipotesi specifica di astensione obbligatoria prevista dall'art. 51, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile, questa Corte ha affermato che é ragionevole la scelta legislativa di garantire la imparzialità-terzietà del giudice attraverso gli istituti dell'astensione e ricusazione, essendo imprescindibile l'esigenza di evitare la preesistenza di valutazioni da parte dello stesso giudice sulla medesina res iudicanda (cfr. sentenza n. 387 del 1999).

Inoltre, la omessa previsione, da parte del combinato disposto dei citati artt. 139 e 143, terzo comma, del r.d. n. 1775 del 1933, di meccanismi di sostituzione dei membri effettivi del Tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle ipotesi di astensione obbligatoria specificate dall'art. 51, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile o in altre ipotesi di legittimo impedimento, comporta la lesione degli invocati parametri costituzionali, anche perchè pregiudica e compromette "la continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale" (sentenza n. 156 del 1963), non risultando assicurati congrui modi per colmare i vuoti temporanei nel collegio giudicante, così da garantire il necessario funzionamento dell'ufficio (cfr. sentenza n. 392 del 2000).

Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 143, terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), nella parte in cui non prevede meccanismi di sostituzione del componente astenuto, ricusato o legittimamente impedito del Tribunale superiore delle acque pubbliche.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2002.