Ordinanza n. 174 del 2002

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ORDINANZA N. 174

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1999 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia sul ricorso proposto da Imperiale Melchiorre contro il Comune di Marsala, iscritta al n. 531 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di costituzione di Imperiale Melchiorre;

udito nell'udienza pubblica del 18 dicembre 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

udito l'avvocato Salvatore Giacalone per Imperiale Melchiorre.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento del Sindaco di un Comune della Sicilia, con il quale era stata ingiunta la demolizione di opere ritenute abusive, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sede di Palermo, con ordinanza decisa il 5 novembre 1999, depositata il 23 marzo 2000 e pervenuta alla Corte costituzionale il 26 luglio 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui prevede che la richiesta di riesame delle domande di concessione o autorizzazione in sanatoria, per le quali vi sia stato un provvedimento di diniego da parte del sindaco (art. 39, comma 10-bis, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"), debba essere presentata entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, anche qualora la notifica del provvedimento di rigetto intervenga successivamente;

che il giudice rimettente premette che il ricorrente aveva impugnato, con ricorsi pendenti presso la stessa sezione del Tar, due provvedimenti amministrativi, che costituirebbero il presupposto dell’ordine di demolizione e precisamente: a) l’atto di rigetto della domanda di concessione in sanatoria (per l'assunta realizzazione dell'opera in epoca successiva al 1° ottobre 1983) presentata al Comune di Marsala in data 15 giungo 1987 (in riferimento ad un corpo di fabbrica adibito ad attività artigianale e realizzato in assenza di concessione edilizia); b) l’atto con il quale era stata respinta l’istanza di riesame ex art. 39, comma 10-bis, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 sul presupposto della tardività della stessa;

che, in punto di rilevanza della questione sollevata, il giudice a quo osserva come la disposizione censurata sia stata posta dall’amministrazione a fondamento del diniego di rideterminazione ex art. 39, comma 10-bis, della legge citata, provvedimento - in realtà - richiamato e presupposto nell’ordine di demolizione, a sua volta impugnato, tra l’altro, per illegittimità derivata;

che per quanto attiene alla non manifesta infondatezza il Tar sostiene che la norma impugnata violerebbe gli artt. 3 e 97 della Costituzione;

che, sotto il primo profilo, si sottolinea che sarebbe stato previsto lo stesso incombente (onere di presentazione dell’istanza di riesame entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge) per due situazioni diverse; tale incombente dovrebbe, infatti, essere assolto sia dal soggetto al quale sia stato già notificato il diniego di concessione edilizia in sanatoria (che sarebbe, quindi, consapevole dell’abusivismo delle opere oggetto dell’istanza stessa), sia dal soggetto per il quale la domanda di concessione in sanatoria é ancora pendente alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda (che avrebbe, pertanto, ancora una legittima aspettativa al conseguimento dell’atto favorevole richiesto);

che - sempre secondo il Tar - sotto il secondo profilo la disposizione censurata sarebbe contraria al principio del buon andamento della pubblica amministrazione "per aver imposto un adempimento del quale non consti la necessità, attesa la perdurante possibilità di accoglimento dell’originaria istanza ex legge 28 febbraio 1985, n. 47";

che si é costituita in giudizio la parte privata, ricorrente nel procedimento a quo, riprendendo le argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione e chiedendo l’accoglimento della questione sollevata.

Considerato che l’ordinanza contiene una motivazione plausibile della rilevanza della questione, tenuto conto dei motivi proposti, che comprendono la illegittimità derivata ed investono la norma denunciata in questa sede, nella ragionevole prospettiva di una decisione unitaria dell’intera controversia;

che la questione é manifestamente infondata in quanto é basata, innanzitutto, sull'implicito ed erroneo presupposto che la domanda di condono edilizio ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 possa essere presentata solo dopo la definizione di precedente e pendente domanda di condono ex artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47;

che la richiesta di condono-sanatoria edilizio, sia in base alla legge n. 47 del 1985, sia alla successiva legge n. 724 del 1994, può rinvenire la propria giustificazione anche in un semplice interesse alla regolarizzazione o alla certezza dei rapporti da parte di chiunque sia interessato al conseguimento della sanatoria, indipendentemente dalla presenza o dalla possibilità di avere un diverso titolo abilitativo dell’opera, anche per escludere rischi di procedimenti in corso o futuri;

che, inoltre, il condono ex legge n. 724 del 1994 (da valutarsi in connessione indissolubile con le altre disposizioni dettate, in epoca immediatamente successiva, in materia di sanatoria edilizia) introduce nuovi ed ulteriori limiti, obblighi, restrizioni soggettive ed oggettive e differenti presupposti, comportanti la riapertura dei termini, riferiti soprattutto allo spostamento in avanti del limite temporale dell’abuso commesso, esteso anche al periodo successivo al 1° ottobre 1983 fino al 31 dicembre 1993 (v. sentenze n. 416 del 1995; n. 427 del 1995);

che, pertanto, proprio per evitare rischi connessi alle difficoltà di fornire la prova che la costruzione fosse stata ultimata entro la data del 1° ottobre 1983 (requisito tassativo per il condono della legge n. 47 del 1985), ben sussisteva un interesse del soggetto che aveva posto in essere l'illecito ad avvalersi della nuova procedura, che allargava il limite temporale dell’abuso entro il termine previsto, a pena di decadenza, del 31 dicembre 1993;

che il legislatore del 1996, per sciogliere i dubbi che potevano sorgere al riguardo e all’evidente scopo di dare un'altra possibilità di sanatoria (accompagnata da aumento di entrate che si volevano tempestive, per esigenze anche finanziarie di bilancio), ha concesso un'ulteriore indifferenziata facoltà, consentendo - per le domande di concessione in sanatoria presentate entro i termini del precedente condono - di chiederne la rideterminazione, ove l'abuso risultasse sanabile a norma delle sopravvenute disposizioni;

che, in tal modo, si accordava a tutti gli interessati la possibilità di superare il nuovo termine per la definizione agevolata delle violazioni edilizie, previsto dall’art. 39, comma 4, della legge n. 724 del 1994, mediante l'aggiunta del comma 10-bis nel medesimo art. 39 (introdotto con l’art. 2, comma 37, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);

che, tuttavia, il beneficio della sanatoria é stato accompagnato da una precisa - e non irragionevole - volontà di circoscrivere ulteriormente il termine decadenziale della domanda di concessione in sanatoria "entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore" della legge (art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), con una immediata integrazione (art. 10, comma 5-bis, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 recante "Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziara e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997", modificato dalla legge di conversione 28 febbraio 1997, n. 30) con la quale si é stabilito che il termine di sessanta giorni per presentare, a pena di decadenza, la domanda di rideterminazione sulla base delle nuove norme, era indipendente dalla notifica del provvedimento di diniego ex legge n. 47 del 1985, decorrendo dalla entrata in vigore della suddetta legge;

che dai lavori parlamentari (rapportando il subemendamento approvato con le soluzioni diverse e non convergenti presentate e non approvate) emerge la precisa e ragionevole volontà di "impedire una specie di perpetuazione e di inopportuna iterazione dei processi di condono, che hanno un senso solo se appunto hanno anche un termine" (Atti Senato, Assemblea, 6 febbraio 1997), termine indifferenziato proprio per le finalità del condono-sanatoria;

che dal complesso del quadro normativo anzidetto é evidente l’intento del legislatore di porre in atto una risistemazione della materia del governo del territorio, idonea ad impedire il ripetersi del fenomeno dell’abusivismo edilizio attraverso la sua repressione (sentenza n. 427 del 1995), nonchè di stabilire termini rigorosi per consentire la sanatoria, ed evitare la protrazione di situazioni incerte, con il pericolo di ulteriori abusi;

che, pertanto, risulta la manifesta infondatezza della questione, non solo sotto il profilo dell’art. 3 della Costituzione, ma anche con riguardo all’art. 97 della Costituzione, in quanto proprio il buon andamento della pubblica amministrazione e la primaria esigenza di misure effettive contro il perpetuarsi di abusi e il protrarsi della facoltà di sanatorie (certamente non ulteriormente reiterabili sotto il profilo costituzionale) giustificavano la scelta di un termine assoluto ed indifferenziato, riferito all’entrata in vigore della disposizione censurata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2002.