Ordinanza n. 321/2001

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ORDINANZA N. 321

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                 Presidente

- Fernando                    SANTOSUOSSO      Giudice

- Massimo                     VARI                          "

- Riccardo                     CHIEPPA                  "

- Gustavo                      ZAGREBELSKY      "

- Valerio                        ONIDA                      "

- Carlo                           MEZZANOTTE        "

- Fernanda                    CONTRI                    "

- Guido                         NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI             "

- Annibale                     MARINI                    "

- Giovanni Maria          FLICK                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 299, commi 3-ter e 4-ter, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15 maggio 2000 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina nel procedimento penale a carico di F. V., iscritta al n. 670 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2000.

  Udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, con ordinanza del 15 maggio 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, commi 3-ter e 4-ter, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice (per le indagini preliminari) chiamato a provvedere sulla richiesta di revoca di una misura cautelare personale, allorchè non sia in grado di decidere allo stato degli atti disponibili, possa acquisire informazioni e disporre accertamenti diversi e ulteriori rispetto a quelli indicati dalla disposizione impugnata;

che il rimettente espone in punto di fatto che l’indagato, sottoposto a custodia cautelare in carcere, ha chiesto la revoca della misura coercitiva, sotto il profilo del venir meno degli indizi che la sorreggono, adducendo elementi informativi nuovi a discarico - costituiti da dichiarazioni di persone informate sui fatti, raccolte e presentate a norma dell’art. 38 delle norme di attuazione del codice di procedura penale – e ha altresì chiesto, sempre sotto il profilo del quadro indiziario, l’espletamento di un accertamento di carattere tecnico, attinente alle tracce materiali del reato contestato, da eseguirsi su cose sequestrate e pertanto fuori della disponibilità dell’interessato;

che nella situazione sopra descritta - nella quale a) sussiste un contrasto tra le dichiarazioni a carico prodotte dall’accusa in funzione dell’adozione della misura e quelle a discarico addotte dalla difesa nell’ambito del procedimento incidentale sulla revoca della stessa misura, e b) manca una verifica precisa circa le tracce materiali del reato che possono assumere valore indiziario - si delinea, ad avviso del giudice a quo, una condizione di impossibilità di decisione allo stato degli atti: secondo la disciplina vigente, infatti, il giudice può solamente assumere l’interrogatorio dell’indagato, prima di provvedere (art. 299, comma 3-ter), e, quando non sia in grado di decidere allo stato degli atti, può disporre d’ufficio accertamenti esclusivamente sulle condizioni di salute o su altre "condizioni o qualità personali" dell’indagato (art. 299, comma 4-ter);

che la descritta disciplina non sarebbe perciò idonea a soddisfare le esigenze del caso di specie: sia perchè, da un lato, anche a volere far rientrare nella limitata nozione di accertamenti sulle "qualità personali" una indagine tecnica attinente alla persona sottoposta al procedimento, non sarebbe possibile dare corso al successivo, necessario, riscontro con le tracce materiali del reato, e comunque resterebbero sicuramente esclusi l’audizione e il confronto delle persone che hanno reso dichiarazioni tra loro in contrasto; sia perchè, dall’altro lato, non potrebbe neppure farsi applicazione estensiva o analogica delle disposizioni censurate, trattandosi di previsioni che fanno eccezione alla regola generale secondo la quale il giudice deve decidere sempre allo stato degli atti;

che, in tale quadro, la preclusione a svolgere le integrazioni anzidette é censurata dal rimettente, che richiede una pronuncia di incostituzionalità di tipo additivo sui commi 3-ter e 4-ter dell’art. 299 cod. proc. pen., nella parte in cui non é in essi previsto che il giudice, quando non sia in grado di decidere allo stato degli atti, possa disporre accertamenti ed acquisire informazioni diversi da quelli previsti e fuori dei casi indicati; pronuncia, precisa il giudice a quo, che "non provocherebbe alcun problema", perchè l’esecuzione di detti accertamenti avverrebbe "senza formalità" e nel termine di quindici giorni dalla richiesta di revoca, sospendendo altresì il termine per la decisione (come stabilito nello stesso comma 4-ter);

che, dopo avere svolto una ampia disamina del sistema processuale vigente, in particolare sottolineando la distinzione tra l’espletamento delle indagini finalizzate alle determinazioni circa l’esercizio dell’azione penale (art. 326 cod. proc. pen.) e la raccolta degli elementi che risultino indispensabili per le decisioni sulle singole richieste delle parti che di volta in volta il giudice sia chiamato a prendere (art. 328), e muovendo dalla premessa della necessaria correlazione tra il potere-dovere di acquisire gli elementi di volta in volta indispensabili alla decisione e l’esercizio di una funzione di "giudizio", il rimettente deduce: a) in primo luogo la violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza della legge (art. 3 della Costituzione), in quanto la disciplina descritta, delimitando l’acquisizione d’ufficio di elementi da parte del giudice per le indagini preliminari, ammette integrazioni del materiale utile alla decisione nell’ambito dello specifico sub-procedimento incidentale di cui all’art. 299 cod. proc. pen. solo in alcuni, enumerati, casi e non anche in altri, come quello di specie, che in nulla sostanzialmente differirebbero dai primi, quanto a possibile rilievo, con una limitazione dei poteri istruttori che appare ulteriormente ingiustificata se posta in relazione con la disciplina dei provvedimenti cautelari del processo civile (art. 669-sexies cod. proc. civ.) ovvero con il potere di integrazione probatoria attribuito al giudice del dibattimento dall’art. 507 cod. proc. pen.; b) in secondo luogo, la violazione dell’art. 111 della Costituzione (quale modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), in particolare del suo primo comma che impone al legislatore di regolare il processo in modo da garantirne lo svolgimento "giusto": se per processo deve intendersi ogni momento della giurisdizione che sia caratterizzato dal contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, dinanzi a un giudice "terzo", in vista di una decisione, tali connotati non possono disconoscersi in relazione all’incidente relativo alla libertà personale ex art. 299 cod. proc. pen., al pari ad esempio dei giudizi di impugnazione nella medesima materia (artt. 309 e 311); e se obiettivo essenziale del processo é la ricerca della verità, come é stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la conseguenza é che anche in sede di procedimento sulla revoca della misura cautelare il giudice deve essere messo in condizione di decidere, oltre che in base agli elementi e alle allegazioni forniti dalle parti, anche attivandosi autonomamente, in modo da accertare, "nei limiti della fase processuale in cui si trova", la rispondenza dell’accusa al materiale probatorio, posto che le valutazioni in tema di libertà personale e quelle sul merito della causa sarebbero sostanzialmente le stesse, come avrebbe riconosciuto il legislatore – sulla scorta delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 432 del 1995) – con la previsione dell’incompatibilità tra la funzione di giudice per le indagini preliminari e la partecipazione al giudizio di merito (art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen.);

che la disciplina censurata, limitativa dei poteri di autonoma iniziativa del giudice, presenta pertanto, per il rimettente, una lacuna, che sacrifica ingiustificatamente le ragioni della libertà dell’indagato a un "formale omaggio del principio di supposta accusatorietà, nel timore erroneo di aprire spazi alla creazione di un’ibrida figura di giudice investigatore"; un sacrificio tanto meno giustificabile, conclude il giudice a quo, alla luce dei più recenti interventi sul codice (in particolare, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, che avrebbe raccolto la ripetuta esortazione della giurisprudenza costituzionale a modificare l’assetto del giudizio "allo stato degli atti" per antonomasia, cioé il giudizio abbreviato, ammettendo in esso integrazioni probatorie secondo una autonoma valutazione del giudice).

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina chiede a questa Corte un intervento additivo sull’art. 299 cod. proc. pen., tale da consentirgli di svolgere accertamenti e acquisire informazioni ulteriori rispetto al quadro degli atti di carattere probatorio di cui dispone, assumendo la necessità di una tale pronuncia alla stregua del principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), nonchè in relazione alla garanzia costituzionale del giusto processo (art. 111 della Costituzione);

che, relativamente all’invocato principio di uguaglianza, la censura non é sorretta dalla necessaria omogeneità dei termini posti tra loro a raffronto, nè nell’ambito della disciplina contenuta nella medesima disposizione censurata (art. 299 cod. proc. pen.), nè in rapporto ad altre previsioni, relative ai poteri di accertamento di cui il giudice dispone in altri momenti del processo penale, cui l’ordinanza di rimessione fa richiamo;

che, quanto al primo punto, altra é la valutazione che il giudice é chiamato a compiere nell’apprezzamento del materiale probatorio, ai fini della verifica del presupposto indiziario necessario per disporre o per mantenere ogni misura, ex art. 273, comma 1, cod. proc. pen., altri sono gli "accertamenti" cui ha riguardo il comma 4-ter dell’art. 299, i quali attengono a elementi soggettivi (le condizioni di salute, o altre condizioni o qualità personali dell’imputato, come le esigenze di lavoro o le condizioni di indigenza e così via), del tutto esterni rispetto all’oggetto del processo, rilevanti esclusivamente in vista della tutela di esigenze, sanitarie o lavorative, ritenute dal legislatore meritevoli di apprezzamento e che proprio per il loro carattere esterno rispetto al merito della causa giustificano il connotato di "informalità" dei relativi accertamenti, la cui peculiare configurazione normativa risulta pertanto inestensibile alle determinazioni sull’an delle misure cautelari;

che, quanto al secondo punto, per converso (esclusa, per evidenti ragioni, la validità del raffronto con le determinazioni cautelari nell’ambito del processo civile), é da osservare che la decisione incidentale sulla libertà personale (che nella specie il rimettente deve assumere) non é utilmente comparabile con il giudizio dibattimentale – e oggi, dopo la novella recata dalla legge n. 479 del 1999, con il giudizio abbreviato –, giacchè la possibilità di integrazione probatoria (rispettivamente, art. 507 e art. 422 cod. proc. pen.) che é data al giudice ai fini di decisioni sul merito della causa che sono idonee a concludere quest’ultima, non é suscettibile di meccanica estensione in relazione alle decisioni che, di volta in volta, il giudice per le indagini preliminari deve tempestivamente assumere sulle specifiche richieste che le parti gli rivolgono (art. 328 cod. proc. pen.) e sulle quali egli provvede secondo il criterio – che lo stesso rimettente richiama – della decisione allo stato degli atti disponibili: i poteri di integrazione probatoria previsti ai fini della pronuncia sul merito dell’accusa non possono pertanto, in nome del principio della "ricerca della verità" al quale il rimettente si richiama, essere estesi alle pronunce cautelari de libertate, per le quali vale il diverso criterio della decisione sulla base del materiale raccolto e addotto dalle parti [criterio che il legislatore ha di recente mostrato di valorizzare: v. gli artt. 233, comma 1-bis, 327-bis e da 391-bis a 391-decies cod. proc. pen., quali introdotti dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397 (Disposizioni in materia di indagini difensive)], in connessione con il principio della domanda (sentenze n. 89 del 1998, n. 4 del 1992) e nella logica del costante adeguamento dello status libertatis dell’imputato alle risultanze del procedimento (citata sentenza n. 89 del 1998);

che la richiesta di introdurre nuovi e ampi poteri di accertamento liberamente attivabili dal giudice per le indagini preliminari contrasta altresì con l'esigenza di evitare che il "giudizio" cautelare finisca per duplicare quello sul merito della causa, non potendosi ammettere la coesistenza di due pronunce sul medesimo tema della colpevolezza, originate da concorrenti poteri di accertamento di due giudici nell'ambito dello stesso processo (v. la sentenza n. 71 del 1996);

che, più in generale, la prospettata esigenza di assimilare pienamente la logica del giudizio cautelare a quella sul merito del processo, oltre a essere, per i rilievi sopra detti, in contraddizione con l’assetto del sistema processuale vigente, risulta soluzione non costituzionalmente necessitata posto che, diversamente da quanto assume il rimettente, la situazione derivante da lacune del quadro probatorio o da contraddittorietà degli elementi disponibili allo stato degli atti non si risolve nello stallo decisorio bensì nel principio del favor libertatis, in una linea direttiva che, nell’alternativa tra l’accoglimento e il rigetto delle richieste delle parti, fa prevalere in definitiva le ragioni della libertà sulle esigenze cautelari (v., per una ipotesi analoga, l’ordinanza n. 412 del 1999);

che, relativamente alla dedotta violazione delle garanzie del giusto processo, nelle quali si compendiano il principio del contraddittorio e i diritti di difesa dell’indagato, é sufficiente rilevare che le modalità e i contenuti del contraddittorio sono materia di spettanza del legislatore, nel limite – qui non superato - della ragionevolezza, e che una volta che non sia scelta costituzionalmente imposta quella di modellare il procedimento incidentale cautelare sullo schema del processo di merito, é demandata al medesimo legislatore la configurazione degli strumenti e dei poteri giudiziali di acquisizione di elementi ulteriori rispetto a quelli disponibili (ordinanza n. 440 del 1997);

che, per quanto detto, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto tutti i profili dedotti.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 299, commi 3-ter e 4-ter, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.