Ordinanza n. 309/2001

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ORDINANZA N. 309

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito degli atti con i quali il Consiglio superiore della magistratura, a far data dal 3 dicembre 1998, ha adottato provvedimenti incidenti sullo stato giuridico, sulla assegnazione di sede e/o di funzioni al Giudice del Tribunale di Lecce dott. Francesco Manzo, promosso da quest’ultimo in qualità di Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce e di giudice della I sezione penale dello stesso tribunale, in composizione monocratica, con ricorso depositato il 24 gennaio 2001 ed iscritto al n. 177 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che il dott. Francesco Manzo, che dichiara di agire in qualità di Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce e di giudice della I sezione penale del medesimo tribunale, in composizione monocratica, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Consiglio superiore della magistratura, per far dichiarare a questa Corte che, a partire dal 3 dicembre 1998, non spettava e non spetta al Consiglio superiore della magistratura nell’attuale composizione adottare provvedimenti che comunque incidano sullo stato giuridico, sull’assegnazione di sede e/o di funzioni al Giudice dott. Francesco Manzo e per far conseguentemente annullare tutti gli atti emessi medio tempore nei suoi confronti, in quanto tali atti risulterebbero lesivi delle prerogative costituzionali di indipendenza, autonomia, inamovibilità e difesa in giudizio degli organi giurisdizionali (articoli 24, 101, 104 e 107 della Costituzione);

che il ricorrente riferisce che in data 3 dicembre 1998 i suoi legali gli avevano comunicato che l’allora Procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione lo invitava ad essere in futuro "meno rissoso", altrimenti il Consiglio superiore della magistratura avrebbe preso provvedimenti punitivi nei suoi confronti;

che il 24 novembre 1999 il Consiglio superiore della magistratura deliberava la non promozione del dott. Manzo a magistrato di Corte d’appello ed in seguito, secondo il ricorrente, esercitava pressioni sul Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Lecce, fino ad indurre tale organo a rivedere in senso negativo un precedente parere, reso all’unanimità, che prevedeva la riassegnazione del dott. Manzo all’ufficio di giudice per le indagini preliminari;

che in relazione a tali atti il dott. Manzo chiamava in giudizio dinanzi al Tribunale di Potenza, per il risarcimento dei danni patiti, i componenti del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Lecce e, dinanzi al Tribunale civile di Roma, il Consiglio superiore della magistratura, per sentir dichiarare che "il Consiglio convenuto aveva posto in essere nei suoi confronti, in attuazione di una premeditata attività di mobbing, ripetuti atti illegittimi, illeciti e vessatori che ne avevano infine minato la salute" chiedendo, anche in questo caso, il risarcimento dei danni patrimoniali, non patrimoniali e morali;

che in data 20 aprile 2000, la I Commissione del Consiglio superiore della magistratura comunicava l’apertura in danno del dott. Francesco Manzo del procedimento per trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale ex articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura) e che in seguito il Consiglio superiore della magistratura, con delibera del 10 maggio 2000, ne disponeva la rimozione dall’ufficio di giudice per le indagini preliminari e lo assegnava alla I sezione penale;

che il dott. Manzo, assumendo che le sue condizioni di salute fossero gravemente peggiorate in seguito a tale rimozione, con querela del 10 ottobre 2000 denunciava tutti i componenti in carica del Consiglio superiore della magistratura, e chiunque altro ritenuto responsabile, per "abuso d’ufficio e lesioni personali gravi" alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza;

che, quanto alla sussistenza del requisito oggettivo del conflitto, il ricorrente lamenta che tutti gli atti di cui si é sopra detto siano stati adottati con "parzialità e malanimo" dall’organo di autogoverno della magistratura, così da ledere le prerogative costituzionali di indipendenza, autonomia, inamovibilità e difesa in giudizio degli organi giurisdizionali che egli rappresenta;

che su tali premesse, il dott. Manzo chiede a questa Corte di dichiarare che gli attuali componenti del Consiglio superiore della magistratura, a partire dal 3 dicembre 1998, siano incompatibili (ai sensi dell’art. 51 del codice di procedura civile) rispetto alla adozione di ogni atto incidente sul proprio status giuridico e di annullare conseguentemente tutti gli atti emessi medio tempore;

che, secondo il ricorrente, non varrebbe a precludere la via della tutela costituzionale delle prerogative della magistratura la circostanza che i medesimi atti che sono oggetto del presente conflitto potrebbero essere impugnati nelle ordinarie sedi giurisdizionali, in quanto i due rimedi si differenzierebbero sia per gli interessi alla cui protezione sono preordinati, sia per la titolarità e portata della tutela;

che, in particolare, ricorrente nel presente conflitto non sarebbe il dott. Manzo, ma gli organi giurisdizionali che egli rappresenta, i quali potrebbero ben difendere le loro prerogative costituzionali, indipendentemente dalla eventuale tutela azionabile dal funzionario titolare dell’Ufficio giurisdizionale per ragioni inerenti al suo rapporto di impiego;

che inoltre vizi di merito degli atti sarebbero denunciabili solo nella sede del conflitto costituzionale, essendo sottratti alla cognizione del giudice comune;

che infine, quanto alla legittimazione soggettiva al conflitto, il dott. Manzo sostiene che questa Corte, con la sentenza n. 497 del 2000, avrebbe ammesso la possibilità per singoli organi giurisdizionali di sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del Consiglio superiore della magistratura.

Considerato che il ricorrente assume in definitiva che la particolare posizione di indipendenza riconosciuta al magistrato sia tutelabile, in sede di conflitto davanti a questa Corte, tutte le volte in cui siano adottati dal Consiglio superiore della magistratura atti incidenti sul suo status professionale;

che deve invece rilevarsi che nei confronti degli atti con i quali il Consiglio superiore della magistratura, nell’esercizio delle attribuzioni conferitegli dall’articolo 105 della Costituzione, dispone assunzioni, assegnazioni, trasferimenti e promozioni, i singoli magistrati che se ne assumano lesi non possono opporre la propria posizione di potere dello Stato, ma solo la propria qualità di persone, titolari di diritti e di interessi legittimi che devono essere fatti valere dinanzi alle giurisdizioni comuni;

che nessuna indicazione in senso diverso può trarsi dalla sentenza n. 497 del 2000, evocata dal ricorrente, con la quale é stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere da un avvocato del libero foro;

che l’esigenza di ampliamento delle opportunità di difesa nei procedimenti disciplinari innanzi al Consiglio superiore della magistratura, alla quale la Corte ha riconosciuto in quella decisione carattere di cogenza, consegue, fra l’altro, alla considerazione che quei procedimenti sono suscettibili di incidere sulla posizione del soggetto nella vita lavorativa e quindi su beni della persona tra i quali, nel caso dei magistrati, é compresa l’indipendenza inerente al loro status professionale;

che, una volta ribadito che la tematica posta dal ricorrente va inquadrata in termini di diritto di difesa del magistrato e non di legittimazione al conflitto tra poteri, si deve solo aggiungere che la prospettiva nella quale si é collocata la citata sentenza non si discosta da quella assunta da questa Corte fin da quando fu posta la questione se il buon adempimento della funzione affidata al Consiglio superiore della magistratura postulasse la sottrazione di questo alla interferenza dei soli poteri politicamente attivi o anche a quella del potere giurisdizionale: questione che é stata affrontata e risolta sulla base del rilievo che la tutela giurisdizionale, riconosciuta a tutti in conformità ad un principio coessenziale allo Stato di diritto, non poteva essere negata ad una categoria di cittadini, i magistrati appunto, con l’effetto di lasciarli indifesi di fronte a provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura lesivi dei propri diritti o interessi legittimi (v. sentenze n. 44 del 1968 e n. 189 del 1992);

che altro é quindi affermare che lo status del magistrato rende più stringente la necessità che la tutela giurisdizionale sia piena anche nei procedimenti disciplinari, altro é dire che, nei confronti degli atti del Consiglio superiore della magistratura incidenti su quello status, il magistrato che ne sia destinatario possa essere qualificato potere dello Stato: quest’ultima affermazione, che trascenderebbe largamente il significato e l’ambito che la Costituzione assegna al conflitto di attribuzione trasformandolo in mezzo di impugnazione generale degli atti del Consiglio superiore della magistratura, non rinviene nella giurisprudenza costituzionale alcun plausibile fondamento;

che, pertanto, il ricorso per conflitto di attribuzione deve essere dichiarato inammissibile.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2001.