Ordinanza n. 282/2001

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ORDINANZA N. 282

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI                                

- Riccardo CHIEPPA             

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo modificato dall'art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), anche in combinato disposto con l’art. 214, comma 1-bis, dello stesso decreto legislativo n. 285 del 1992, promosso con ordinanza emessa il 10 agosto 2000 dal Giudice di pace di Imperia nel procedimento civile vertente tra Viale Teresa e la Polizia Municipale di Imperia, iscritta al n. 789 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Giudice di pace di Imperia, con ordinanza emessa il 10 agosto 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 16 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo modificato dall'art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), anche in combinato disposto con l’art. 214, comma 1-bis, dello stesso decreto legislativo n. 285 del 1992, nella parte in cui non consente al giudice di graduare la durata del fermo amministrativo del veicolo in ragione delle circostanze del caso;

che il rimettente é investito della decisione di un ricorso presentato dalla proprietaria di un'autovettura avverso la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo, applicata nei suoi confronti perchè colta alla guida della stessa vettura con patente scaduta di validità;

che il giudice a quo, preliminarmente, osserva che la questione sollevata é rilevante nel giudizio in corso e che non é possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma oggetto della censura, dal momento che il caso riguarda il fermo amministrativo di un veicolo di proprietà dello stesso autore della violazione;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente osserva che la legge prevede la sanzione accessoria del fermo del veicolo in misura fissa, senza lasciare quindi all’autorità giudiziaria la possibilità di adeguarne la durata alla specifica gravità del fatto ed al grado di colpevolezza dell’autore della violazione, ciò che determinerebbe un contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza;

che secondo il rimettente il "contenuto afflittivo" della disposizione risiederebbe più nella sanzione accessoria che in quella principale e che per tale ragione dovrebbe essere consentito al giudice di graduare la durata del fermo amministrativo avuto riguardo alle circostanze concrete del caso;

che a detta del giudice a quo nella giurisprudenza della Corte vi sarebbero "indizi" riguardo all'esistenza di un principio di necessaria ragionevolezza e proporzionalità delle sanzioni in relazione alle violazioni commesse, come affermato dalle sentenze n. 341 del 1999 [rectius: del 1994] e n. 122 del 1993, pur se la Corte ha ripetutamente dichiarato che in materia il legislatore avrebbe un'ampia discrezionalità;

che il rimettente, sotto diverso profilo, ritiene che la norma impugnata violi l’art. 3 Cost. anche per l’incongruità di una sanzione principale pecuniaria fissata in misura modesta cui corrisponde, al contrario, una sanzione accessoria che consiste "in una pesantissima limitazione della libertà di circolazione" inflitta anche a chi - come nel caso all’esame del giudice a quo - usa il veicolo per motivi di lavoro, con la conseguenza di una sanzione accessoria più afflittiva di quella principale;

che un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, con riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., viene dal giudice a quo rilevato nel combinato disposto dell’art. 126, comma 7, e dell’art. 214, comma 1-bis, del codice della strada per la disparità di trattamento che si creerebbe tra chi conduce con patente scaduta un veicolo di sua proprietà – al quale viene sempre comminata anche la sanzione accessoria del fermo del mezzo – e chi commette la medesima violazione usando un veicolo appartenente ad un "terzo ignaro", soggetto alla sola sanzione pecuniaria principale;

che altra violazione del principio di eguaglianza il rimettente ritiene esistente nel trattamento sanzionatorio previsto per la guida con patente scaduta, posto a raffronto con quello che il codice della strada prevede per la guida senza patente (art. 116, commi 13 e 16) dal momento che la legge, pur stabilendo sanzioni pecuniarie di ben diversa entità per i due illeciti, prevede al contrario in entrambi i casi una sanzione accessoria "pressochè coincidente";

che, ad avviso del giudice a quo, la previsione di due sanzioni accessorie di entità tanto vicina per due violazioni di gravità tanto diversa sarebbe quindi un ulteriore indice della irrazionalità della disposizione impugnata;

che il Giudice di pace di Imperia - accogliendo un'eccezione svolta sul punto dall'opponente - ritiene che l’art. 126, comma 7, del codice strada violi anche l’art. 16 Cost. nella parte in cui "ridimensiona" il diritto della persona di circolare liberamente, da intendere non solo come "assenza di divieti" ma come possibilità di accesso ai "mezzi fondamentali per l’esercizio dello stesso";

che, sempre secondo il rimettente, se lo scopo del fermo amministrativo del veicolo é quello di evitare che soggetti per i quali non é stata accertata la permanenza dei requisiti fisici e psichici per la guida circolino liberamente, tale finalità perde qualsiasi ragione nel momento in cui il soggetto si munisca medio tempore di una nuova patente;

che un’ulteriore incongruenza della disciplina viene infine rilevata dal giudice di pace rimettente nella circostanza che, ottenuto il rinnovo, al trasgressore viene restituita la patente di guida, mentre il veicolo resta sottoposto al fermo amministrativo sino alla scadenza del termine previsto dalla legge senza che sia possibile ottenerne la restituzione;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile o infondata;

che l'Avvocatura richiama in particolare l'ordinanza n. 33 del 2001, con la quale questa Corte ha dichiarato manifestamente infondate alcune delle censure svolte dall'odierno rimettente, ricordando in particolare che la Corte ha ribadito l'ampia discrezionalità del legislatore nella materia de qua e che i parametri invocati per il giudizio di eguaglianza sono del tutto inconferenti;

che, quanto alla asserita violazione dell'art. 16 Cost., l'Avvocatura ritiene che nessun impedimento alla circolazione personale derivi dal provvedimento di fermo amministrativo del veicolo.

Considerato che il Giudice di pace di Imperia dubita della legittimità dell'art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall'art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), anche in combinato disposto con l’art. 214, comma 1-bis, dello stesso decreto legislativo n. 285 del 1992, per violazione degli artt. 3 e 16 della Costituzione;

che, secondo il rimettente, la disposizione impugnata - nella parte in cui prevede, per la guida con patente scaduta di validità, l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo del veicolo per la durata di due mesi - violerebbe l'art. 3 della Costituzione, perchè la sanzione accessoria é prevista in misura fissa che non ne consente la graduazione in relazione alla gravità in concreto dell’illecito e perchè la sanzione accessoria sarebbe irragionevole e sproporzionata rispetto alla sanzione pecuniaria principale e non può essere estinta neanche nel caso in cui venga conseguito il rinnovo della patente;

che secondo il giudice a quo la disposizione violerebbe lo stesso art. 3 Cost. - questa volta sotto il profilo del principio di eguaglianza - perchè la sanzione é analoga a quella prevista per chi conduce un veicolo pur essendo privo di patente, condotta da ritenersi più grave di quella di chi guida con patente scaduta ed infine che essa sarebbe in contrasto anche con l'art. 16 Cost., perchè al fermo amministrativo del veicolo consegue una compressione della libertà di circolazione del soggetto;

che ad avviso del Giudice di pace rimettente l'art. 126, comma 7, citato, in combinato disposto con l’art. 214, comma 1, del codice della strada, violerebbe l'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede sanzioni diverse per comportamenti identici quali quelli di chi guida con patente scaduta il proprio veicolo o il veicolo di un terzo ignaro della violazione;

che, come questa Corte ha costantemente affermato (sentenze n. 217 del 1996 e n. 313 del 1995, ordinanza n. 190 del 1997 e da ultimo ordinanza n. 33 del 2001) la individuazione delle condotte punibili e delle relative sanzioni, siano esse penali o amministrative, rientra nella più ampia discrezionalità legislativa, non spettando alla Corte rimodulare le scelte punitive del legislatore nè stabilire la quantificazione delle sanzioni che ben possono essere stabilite anche in misura fissa, ove questa sia contenuta entro limiti di congruità e ragionevolezza;

che la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo condotto da persona la cui patente di guida sia scaduta non é nè sproporzionata nè irragionevole, perseguendo essa la finalità, comune al sistema sanzionatorio del codice della strada, di contrastare in modo effettivo ed immediato le condotte potenzialmente pericolose (ordinanza n. 33 del 2001 citata), mentre l'ininfluenza sulla durata delle sanzioni accessorie dell'estinzione della sanzione pecuniaria principale a seguito di intervenuto pagamento, prevista in via generale dall'art. 202 del codice della strada, tende anch'essa a raggiungere il predetto scopo;

che nessuna comparazione può essere fatta, ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale della norma impugnata, fra le sanzioni previste per la guida di veicolo con patente scaduta di validità e quelle che l'art. 116 del codice della strada commina per la guida senza patente, dal momento che si tratta di condotte diverse per le quali la legge prevede conseguenze diverse sia in ordine alla sanzione pecuniaria principale che in ordine a quella accessoria del fermo del veicolo, non potendo assurgere a criterio di giudizio il fatto che si tratti di misure "pressochè" coincidenti;

che é manifestamente erroneo il riferimento del giudice a quo all'art. 16 Cost., sotto il profilo della limitazione alla libertà di movimento che sarebbe arrecata al trasgressore dal fermo del suo veicolo, dal momento che nessuna limitazione al diritto di circolazione e soggiorno del cittadino sul territorio nazionale viene arrecata da una sanzione che si limita a sottrargli la disponibilità, per un tempo limitato, di un bene patrimoniale;

che nessuna violazione del principio di eguaglianza, data l’evidente disomogeneità delle situazioni poste a raffronto, discende dalla circostanza che, mentre colui che guida con patente scaduta di validità un proprio veicolo é sempre soggetto alla sanzione accessoria, viceversa, ove il veicolo non appartenga al guidatore, il fermo del mezzo non é disposto nei confronti del proprietario, quando risulta "evidente che la circolazione é avvenuta contro la volontà di costui";

che perciò le questioni sollevate dal Giudice di pace di Imperia sono manifestamente infondate sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) come modificato dall'art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), anche in combinato disposto con l'art. 214, comma 1-bis, dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 16 della Costituzione, dal Giudice di pace di Imperia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2001.