Ordinanza n. 265/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 265

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria  FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati dell'11 novembre 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'onorevole Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Roberto Pennisi, promosso dal Tribunale di Roma - IV sezione penale - con ricorso depositato il 16 novembre 2000 ed iscritto al n. 170 del registro ammissibilità conflitti.

Visto l'atto di intervento di Pennisi Roberto.

Udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione aggravata, il Tribunale di Roma, in data 14 dicembre 1999, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla deliberazione adottata in data 11 novembre 1999, con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso detto procedimento riguardano opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e, come tali, insindacabili a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

che il collegio ricorrente ha premesso che il deputato Sgarbi era stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 595, primo e terzo comma, cod. pen. e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), "perché, fuori dai casi di ingiuria, comunicando con più persone, offendeva la reputazione di Pennisi Roberto - sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, nonché magistrato inquirente nell'indagine relativa all'omicidio Ligato - mediante le seguenti espressioni: «Pennisi, un nuovo Torquemada, un torturatore» autore di una «vera persecuzione politica (...) non si sottolinea da parte di nessuno il comportamento disumano e persecutorio di Pennisi»; espressioni diffuse tramite un comunicato stampa ANSA e pubblicate sul quotidiano Il giornale di Calabria in data 31 maggio 1994";

che la Camera dei deputati aveva adottato la predetta delibera dell'11 novembre 1999 in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, la quale aveva motivato la insindacabilità sulla base della considerazione che «le frasi pronunziate dal collega Sgarbi erano in stretta ed immediata connessione con l'esito di un procedimento penale che, all'epoca del suo inizio, aveva gravemente leso la reputazione degli indagati, alcuni ex membri del Parlamento, sottoposti ad una lunga custodia cautelare ed esposti con grande enfasi alla pubblica berlina; si trattava, dunque, di una critica tutta politica sulla conduzione, da parte dell'accusa, di un procedimento penale nel quale le tesi della medesima si erano rivelate del tutto infondate, non senza aver arrecato, tuttavia, una grave lesione non solo alla reputazione degli interessati, ma anche al rapporto tra opinione pubblica e classe politica; ciò sia pure in assenza di un collegamento specifico con atti o documenti parlamentari, che comunque deve ritenersi implicito, attesa l'ampiezza e la diffusione che ebbe a suo tempo la discussione tanto sugli organi di stampa quanto, in generale, nel dibattito politico; inoltre, le frasi vanno inquadrate nel contesto della costante ed intensa battaglia politica che il collega Sgarbi svolge, in Parlamento e al di fuori di esso, contro l'uso distorto degli strumenti giudiziari»;

che il Tribunale di Roma ha sostenuto che la deliberazione della Camera dei deputati sarebbe lesiva delle attribuzioni dell'organo giurisdizionale investito del giudizio sulla responsabilità penale del deputato Sgarbi, perché adottata in palese carenza di specifici profili di collegamento tra l'espletamento della funzione parlamentare e le opinioni espresse da Vittorio Sgarbi mediante la divulgazione delle frasi a lui imputate;

che in particolare il Tribunale ha osservato che il richiamo, operato nella riportata motivazione della proposta di insindacabilità adottata dalla Giunta, al generico inquadramento delle espressioni di cui si tratta nel contesto della battaglia politica, portata avanti dallo Sgarbi, in Parlamento ed al di fuori di esso, contro l'uso improprio degli strumenti giurisdizionali non potrebbe comunque considerarsi sufficiente a ricondurre tali dichiarazioni nell'alveo dell'esercizio delle funzioni parlamentari, posto che, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 289 del 1998, se è vero che la funzione parlamentare non si estrinseca solo negli atti tipici, potendo ricomprendere anche quanto sia presupposto o conseguenza di questi ultimi, ciò non di meno ad essa non potrebbe essere ricollegata automaticamente l'«intera» attività politica svolta dal parlamentare, in quanto ciò comporterebbe la trasformazione della prerogativa parlamentare in privilegio personale;

che, nell'imminenza della data fissata per la decisione sull'ammissibilità del conflitto, ha depositato «atto di intervento», a mezzo dei suoi difensori, il dottor Roberto Pennisi, parte civile nel procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Roma, il quale, pur facendosi carico della giurisprudenza costituzionale sulla legittimazione ad essere parte nel giudizio costituzionale instaurato a seguito di proposizione del conflitto di attribuzione, ha rivendicato la propria legittimazione ad intervenire già nella fase di delibazione circa l'ammissibilità del conflitto sollevato dal Tribunale di Roma, sulla base della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione), che ha inserito i principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione;

che la Corte, con ordinanza n. 264 del 2000, ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione in considerazione della mancanza nello stesso di qualsiasi riferimento agli specifici fatti per cui si procede e alla loro esatta qualificazione giuridica, nonché del difetto, sia nel dispositivo sia nella motivazione, di una domanda rivolta alla Corte;

che il Tribunale di Roma, con ricorso in data 10 ottobre 2000, con il quale ha provveduto ad ovviare a quelle carenze che avevano determinato la dichiarazione di inammissibilità del primo, ha nuovamente sollevato il conflitto, ritenendo, per i motivi già esposti, che la delibera della Camera dei deputati di cui si tratta integri una menomazione delle attribuzioni costituzionali del potere giudiziario;

che il dottor Pennisi ha depositato un nuovo atto di intervento chiedendo che la Corte riconosca la sua legittimazione ad intervenire nel procedimento promosso dal Tribunale di Roma e, nel merito, ritenga inammissibile il conflitto, in quanto nessuna efficacia inibente sulla prosecuzione del procedimento giurisdizionale davanti allo stesso Tribunale sarebbe da riconoscere alla deliberazione dell'11 novembre 1999 con la quale la Camera dei deputati ha affermato l'insindacabilità delle opinioni diffamatorie espresse dall'onorevole Sgarbi a carico dello stesso Dottor Pennisi; in subordine, ritenga illegittima, e, quindi, annulli la citata deliberazione, affermando che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare l'insindacabilità delle opinioni espresse dall'onorevole Sgarbi.

Considerato che, nella presente fase del giudizio a carattere meramente delibatorio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la Corte è chiamata a deliberare preliminarmente, senza contraddittorio, sul punto se il ricorso sia ammissibile, esistendo i presupposti di un conflitto, cioè se esista la materia di un conflitto la cui soluzione spetti alla sua competenza, con riferimento alla presenza dei profili soggettivi e oggettivi richiamati nel primo comma del medesimo articolo (ordinanza n. 226 del 1995; n. 1 e n. 2 del 1979);

che il Tribunale di Roma è legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell'ambito delle funzioni giurisdizionali da esso esercitate, in conformità al principio, ripetutamente affermato dalla Corte, secondo il quale i singoli organi giurisdizionali, svolgendo le loro funzioni in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono legittimati ad essere parte nei conflitti costituzionali di attribuzione;

che, del pari, secondo la costante giurisprudenza della Corte, la Camera dei deputati, in relazione alla definizione dell'ambito di applicabilità dell'art. 68, primo comma, della Costituzione rispetto ad un proprio componente, è legittimata ad essere parte in un conflitto, in quanto organo cui spetta dichiarare definitivamente la volontà del potere che rappresenta;

che, quanto all'oggetto del conflitto, il Tribunale di Roma lamenta, conformemente a quanto richiesto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'esercizio, ritenuto illegittimo, da parte della Camera dei deputati, del potere di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;

che pertanto, esiste la materia di un conflitto, la cui risoluzione spetta alla competenza della Corte, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione definitiva (a contraddittorio integro), anche in ordine alla ammissibilità del ricorso e dell’intervento.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservato ogni definitivo giudizio,

dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Roma nei confronti della Camera dei deputati con il ricorso indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia comunicazione della presente ordinanza al Tribunale di Roma, ricorrente;

b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, per essere depositati nella cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, secondo l'art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2001.