Ordinanza n. 185/2001

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ORDINANZA N.185

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente         

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 423 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 gennaio 2000 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di V. C., iscritta al n. 262 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova, ha premesso, in fatto, che, nel corso della udienza preliminare a carico di un imputato già dichiarato contumace, il pubblico ministero ha proceduto, a norma dell'art. 423, comma 1, cod. proc. pen., alla modifica della imputazione - in quanto il fatto era risultato diverso da come descritto nella richiesta di rinvio a giudizio ed era inoltre emerso dagli atti un reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, del codice di rito - chiedendo, peraltro, "la notifica del verbale d'udienza, per estratto, all'imputato contumace, ai sensi dell'art. 520 cod. proc. pen., applicabile per analogia", ed eccependo, in caso di diversa interpretazione del disposto normativo, la illegittimità costituzionale dell'art. 423 cod. proc. pen., per violazione dell'art. 3 della Costituzione;

che il medesimo Giudice, favorevolmente delibando tale eccezione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 423 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, in caso di modifica del capo di imputazione operata nel corso dell'udienza preliminare, il pubblico ministero chieda che la modificata contestazione sia inserita nel verbale d'udienza e il verbale sia notificato per estratto all'imputato contumace;

che a parere del Giudice rimettente sarebbe ravvisabile una violazione dell'art. 3 Cost., in quanto, considerato che la disciplina della contumacia introdotta per l'udienza preliminare dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, é del tutto assimilabile a quella propria della fase dibattimentale, si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento - previsto rispettivamente dagli artt. 423 e 520 cod. proc. pen. - in merito alla conoscibilità della modifica della imputazione, "fra imputati soggetti a tale modifica nell'udienza preliminare e imputati soggetti alla stessa modifica nell'udienza dibattimentale";

che parimenti vulnerato risulterebbe anche l'art. 111 Cost., in quanto non sarebbe assicurato "un effettivo contraddittorio fra le parti, in condizione di parità, una tempestiva informazione dell'imputato sull'accusa effettivamente contestatagli, e, soprattutto, le condizioni necessarie all'imputato per preparare la propria difesa, ad esempio scegliendo la via di un'istanza di applicazione della pena in ordine alla modificata imputazione".

Considerato che il giudice a quo pone a oggetto delle proprie doglianze la specifica disciplina, dettata dall'art. 423, comma 1, cod. proc. pen. in tema di modifica del capo di imputazione nel corso della udienza preliminare, nella parte in cui prevede che, in caso di assenza dell'imputato, tale modifica viene comunicata al difensore, il quale rappresenta l'imputato ai fini della contestazione;

che a tal proposito il rimettente, dopo aver sottolineato le profonde innovazioni introdotte nel regime della udienza preliminare dalla legge n. 479 del 1999, rappresentate in particolare dalla estensione a tale fase di una disciplina della contumacia del tutto analoga a quella prevista per il dibattimento, reputa ormai priva di ragionevolezza ed in contrasto con il principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, la peculiare previsione oggetto di impugnativa, ove posta a raffronto con il diverso trattamento normativo riservato dall'art. 520 del codice di rito alla omologa ipotesi della modifica della imputazione nei confronti dell'imputato assente o contumace in dibattimento, stabilendosi, infatti, per tale ipotesi, il necessario inserimento della nuova contestazione nel verbale del dibattimento e la relativa notificazione per estratto all'imputato;

che a parere del giudice rimettente, la mancata estensione di tale ultima garanzia alla norma oggetto di impugnativa si tradurrebbe, anche, in una violazione dell'art. 111 della Carta fondamentale, giacchè l'omessa notificazione all'imputato contumace o assente della modifica del capo di imputazione non assicurerebbe un effettivo e paritetico contraddittorio, nè le condizioni necessarie per preparare una adeguata difesa;

che le deduzioni svolte dal giudice a quo si fondano sull'erronea premessa di ritenere fra loro comparabili disposizioni iscritte all'interno di fasi processuali del tutto eterogenee, quali sono, da un lato, l'udienza preliminare, e, dall'altro, il dibattimento di primo grado;

che, al riguardo, deve sottolinearsi come le pur significative e rilevanti modifiche che la legge n. 479 del 1999 ha apportato alla disciplina della udienza preliminare, pur avendo contribuito a ridefinire, in termini di maggior pregnanza, la struttura, la dinamica ed i contenuti decisori di quella fase, non ne hanno tuttavia mutato le connotazioni eminentemente processuali che ne contraddistinguono l'essenza;

che al di là delle segnalate innovazioni, infatti, la funzione della udienza preliminare era e resta quella di verificare - sia pure alla luce di una valutazione "contenutistica" più penetrante rispetto al passato - l'esistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero, cosicchè, ad una richiesta in rito, non può non corrispondere, in capo al giudice, una decisione di eguale natura, proprio perchè anch'essa calibrata sulla prognosi di non superfluità del sollecitato passaggio alla fase dibattimentale;

che in tale prospettiva, il mutamento del quadro di accusa ben può ricevere, dunque, quanto a modalità di contestazione, una disciplina difforme e più snella rispetto a quella dettata per il dibattimento, posto che in tale ultima fase lo sviluppo delle serie probatorie e l'oggetto del contraddittorio si proiettano, non verso una statuizione destinata unicamente a regolare il futuro iter del processo - quale é la decisione che conclude l'udienza preliminare - ma verso una sentenza chiamata a definire direttamente il merito della regiudicanda e suscettibile di assumere i caratteri e la "forza" del giudicato;

che, pertanto, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamenta infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 423 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Padova, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2001.