Ordinanza n. 174/2001

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ORDINANZA N. 174

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI                    

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità dell’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sostituito dall’art. 12, comma 1, del d.lgs. 21 novembre 1997, n. 461 e interpretato autenticamente dall’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), promosso con ordinanza emessa il 28 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Milano sul ricorso proposto dall’Intendenza di Finanza di Como contro l’Azienda Comasca Servizi Municipali, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di appello – avente ad oggetto l’accertamento della legittimità delle ritenute di imposta operate sugli interessi bancari percepiti da un’azienda municipalizzata nell’anno 1991 – la Commissione tributaria regionale di Milano, con ordinanza emessa il 28 ottobre 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sostituito dall’art. 12, comma 1, del d.lgs. 21 novembre 1997, n. 461 e interpretato autenticamente dall’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto);

che il predetto art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disporre che le banche operano una ritenuta percentuale sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai titolari di conti correnti e di depositi, stabilisce che le ritenute sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche e in ogni altro caso;

che, come osserva il rimettente, tale norma é stata interpretata in alcune decisioni nel senso della sua inapplicabilità ai soggetti esenti da IRPEG, intendendosi per tali i soggetti estranei al tributo non solo nella fase della dichiarazione dei redditi ma anche in ogni momento di manifestazione di imponibilità a loro carico;

che, ad avviso del rimettente, le aziende municipali, in quanto enti strumentali del comune, sono sottoposte al medesimo regime fiscale di questi e sono quindi non soggetti a IRPEG, ai sensi dell’art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nel testo risultante dalle modifiche introdotte con la legge 22 dicembre 1990 n. 403 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto–legge 31 ottobre 1990, n. 310, recante disposizioni urgenti in materia di finanza locale);

che, come afferma il giudice a quo, tali aziende, non essendo soggette ad IRPEG, non dovrebbero nemmeno essere soggette alla imposta sostitutiva di IRPEG sugli interessi maturati sui conti correnti bancari e non dovrebbero perciò subire ritenute a titolo di una inesistente imposta;

che l’art. 14 della legge n. 28 del 1999, recante una interpretazione autentica della disciplina in esame ed avente efficacia retroattiva, ha disposto che l’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, deve intendersi nel senso che "tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sui redditi delle persone giuridiche";

che pertanto la norma dovrebbe applicarsi anche nei confronti degli enti e delle persone giuridiche non soggette ad IRPEG, con il conseguente accoglimento dell’appello;

che, tuttavia, ad avviso del giudice a quo, la norma, così come autenticamente interpretata, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto l’imposta - non sostitutiva di IRPEG posta a carico di soggetti non assoggettati ad IRPEG - si configurerebbe come una imposta del tutto autonoma, pari al trenta per cento degli interessi maturati sui conti correnti, svincolata da qualunque riferimento alla capacità contributiva, la cui sussistenza presuppone la considerazione globale sia dei ricavi che dei costi di gestione sopportati dal contribuente;

che, inoltre, la norma determinerebbe una disparità di trattamento rispetto alla generalità dei contribuenti, traducendosi in un sistema tributario particolare, applicabile soltanto nei confronti dei soggetti non assoggettati ad IRPEG;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che la difesa erariale, dopo aver sottolineato come siano rimesse alla discrezionalità del legislatore l’individuazione delle situazioni significative della capacità contributiva e l’entità dell’onere tributario, osserva che non può ritenersi violato il principio di capacità contributiva, in quanto, nella specie, il presupposto di imposta é rappresentato dal reddito di capitale consistente negli interessi attivi sui conti correnti;

che, inoltre, la circostanza che non sarebbero considerati gli altri eventuali ricavi nè i costi di gestione non varrebbe, ad avviso dell’Avvocatura, ad escludere l’idoneità al prelievo, poichè comunque nella determinazione del reddito di capitale non é ammessa alcuna deduzione, ex art. 42 del d.P.R. n. 917 del 1986;

che dovrebbe altresì ritenersi insussistente la denunciata disparità di trattamento tra contribuenti, non essendo irragionevole la scelta del legislatore di assoggettare a prelievo il reddito di capitale dei titolari di conti correnti, anche se trattasi di soggetti esclusi dall’applicazione dell’IRPEG.

Considerato che la Commissione rimettente lamenta anzitutto la violazione dell’art. 53 della Costituzione, poichè la norma impugnata, nella interpretazione autentica introdotta dall’art. 14 della legge n. 28 del 1999, configurerebbe una imposta del tutto autonoma, non sostitutiva di IRPEG, la quale sarebbe posta a carico di soggetti non assoggettati ad IRPEG e sarebbe svincolata da qualunque riferimento alla capacità contributiva;

che, inoltre, il giudice a quo prospetta anche la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto, a suo avviso, la norma determinerebbe una disparità di trattamento rispetto alla generalità dei contribuenti, traducendosi in un sistema tributario particolare, applicabile soltanto nei confronti dei soggetti non assoggettati ad IRPEG;

che la questione, nei termini in cui é posta, appare manifestamente infondata;

che occorre anzitutto precisare come dai criteri direttivi contenuti nella legge di delega della riforma tributaria 9 ottobre 1971, n. 825 e precisamente in quelli indicati negli artt. 9, n. 3 e 10, n. 5 si rilevi chiaramente la natura sostitutiva del regime della ritenuta a titolo di imposta, che, in quanto misura agevolativa, ha carattere eccezionale e derogatorio (sentenza n. 272 del 1994);

che questa Corte ha già avuto occasione di sottolineare come l’esenzione tributaria non costituisca espressione del diniego di capacità contributiva, rilevando l’erroneità dell’assunto in base al quale "la previsione di esenzione dalle imposte debba sempre equivalere ad un riconoscimento legislativo della insussistenza della capacità contributiva" (sentenza n. 159 del 1985);

che, in particolare, l’esenzione, concretando una ipotesi di agevolazione concessa a soggetti che ordinariamente sarebbero sottoposti alla obbligazione tributaria, presuppone proprio l’esistenza della capacità contributiva;

che la diversa categoria dottrinale della esclusione, consistente in una delimitazione negativa della sfera di applicazione del tributo, si basa pur sempre su una valutazione discrezionale del legislatore, che esclude l’attitudine di un determinato soggetto al pagamento del tributo;

che nell’esercizio di tale discrezionalità il legislatore per un verso non é tenuto ad estendere agevolazioni e benefici tributari a fattispecie prive della necessaria omogeneità e per altro verso non é obbligato a mantenere il regime derogatorio, qualora mutino o siano diversamente valutate le condizioni per le quali il detto regime era stato disposto, purchè ciò avvenga nei limiti della non arbitrarietà e della ragionevolezza e nel rispetto dei principi costituzionali in materia;

che, nella fattispecie, l’applicazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’IRPEG non viola il principio di capacità contributiva, in quanto il presupposto d’imposta, da individuarsi nel possesso di redditi di capitale e precisamente nell’ammontare degli interessi maturati su conto corrente, risulta pienamente realizzato;

che la tassazione di redditi prodotti da coloro che sono dichiarati "non soggetti ad imposta" non determina la lesione dell’indicato principio costituzionale, in quanto, come si é già rilevato, la esclusione o la esenzione da imposta non é comunque sinonimo di assenza della capacità contributiva;

che la invocata disparità di trattamento rispetto alla generalità dei contribuenti – relativa al rilievo che la norma impugnata si tradurrebbe in un sistema tributario particolare, applicabile soltanto nei confronti dei soggetti non assoggettati ad IRPEG - costituisce una censura generica e per certi versi contraddittoria, in quanto non considera che il sistema della ritenuta d’imposta rappresenta comunque un regime più favorevole al contribuente rispetto a quello della ritenuta d’acconto;

che, pertanto, anche sotto tale profilo la questione risulta manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sostituito dall’art. 12, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, come interpretato autenticamente con l’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2001.