Ordinanza n. 56

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ORDINANZA N. 56

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), promosso con ordinanza emessa il 12 maggio 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, iscritta al n. 530 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, nel corso del giudizio introdotto dal Comune di San Procopio con atto di opposizione a ricorso straordinario, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza emessa il 12 maggio 1999, ha sollevato, in riferimento agli articoli 76, 77 e 87 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 8, 9, 10 11, 12, 13 e 14 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi);

che il remittente, respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso straordinario proposte dall’Amministrazione comunale, prospetta in primo luogo la violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, sia sotto il profilo della mancanza nell’articolo 4 della legge 18 marzo 1968, n. 249, come sostituito dall’articolo 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, di una specifica disposizione volta a delegare il Governo a dettare una nuova disciplina dei ricorsi amministrativi, sia sotto il profilo della assoluta carenza di principî e criteri direttivi nella legge di delegazione in relazione, in particolare, alle linee della disciplina del ricorso straordinario e ai poteri del Consiglio di Stato nel procedimento che ha preceduto l’emanazione del d.P.R. n. 1199 del 1971;

che, ad avviso del remittente, le medesime disposizioni violerebbero l’articolo 87 della Costituzione, posto che attribuirebbero al Presidente della Repubblica una competenza ulteriore rispetto a quelle previste in Costituzione;

che, in via subordinata, il giudice a quo rileva che, quand’anche si volesse ritenere che nell’oggetto della delega contenuta nell’articolo 4 della legge n. 249 del 1968, come sostituito dall’articolo 6 della legge n. 775 del 1970, fosse incluso il potere di disciplinare il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la normativa del d.P.R. n. 1199 del 1971 contrasterebbe ugualmente con l’articolo 76 della Costituzione;

che infatti, prosegue il remittente, il citato articolo 4, nel conferire al Governo la delega per disciplinare i singoli procedimenti amministrativi nei vari settori, aveva dettato i seguenti principî e criteri: "si dovrà sempre tendere alla semplificazione e allo snellimento delle procedure, in modo da rendere quanto più sollecita ed economica l’azione amministrativa, e a tal fine dovrà realizzarsi, tra l’altro, l’eliminazione delle duplicazioni di competenza, dei concerti non necessari e dei pareri […] che non siano essenziali per una adeguata valutazione del pubblico interesse o per la consistente tutela degli interessi dei cittadini";

che, in contrasto con tali prescrizioni, il d.P.R. n. 1199 del 1971, secondo il giudice a quo, non si sarebbe attenuto, quanto alla disciplina del ricorso straordinario, ai principî e criteri imposti dalla delega per diversi aspetti: il termine per la proposizione del ricorso straordinario sarebbe più ampio di quello previsto per gli altri ricorsi amministrativi; termini sovrabbondanti sarebbero previsti per l’istruttoria del ricorso; il termine finale del procedimento sarebbe del tutto incerto; in tale procedimento non sarebbe applicabile la normativa (art. 17, comma 27, della legge 15 maggio 1997, n. 127), che consente di provvedere, scaduto un termine congruo, anche senza attendere il parere del Consiglio di Stato; il Ministro competente potrebbe chiedere al Consiglio di Stato un nuovo avviso in revisione; il Ministro che intende proporre una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato deve sottoporre l’affare alla deliberazione del Consiglio dei ministri, quale che ne sia la materia o il valore; l’inottemperanza alle decisioni sul ricorso straordinario comporterebbe la necessità, per l’interessato, di rivolgersi al giudice amministrativo con il rito ordinario;

che, ad avviso del remittente, anche il criterio della economicità sarebbe violato dalla disciplina posta dal d.P.R. n. 1199 del 1971, oltre che per l’esuberanza procedimentale già rilevata, anche perché: il ricorso straordinario attiva i vertici dei Ministeri per l’istruttoria e talvolta il Ministro stesso, un collegio di cinque magistrati del Consiglio di Stato per la formulazione del parere, il Ministro per la controfirma del decreto presidenziale, il Capo dello Stato per la firma del decreto; il costo del procedimento sarebbe, per i soggetti che di tale strumento intendono avvalersi, tutt’altro che economico; la alternatività del ricorso straordinario sarebbe configurabile solo in riferimento al giudizio amministrativo e non anche rispetto al giudizio ordinario;

che il giudice a quo afferma la rilevanza della questione in quanto il giudizio principale potrebbe proseguire solo se venisse affermata la legittimità delle disposizioni censurate;

che è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando, quanto alla dedotta violazione dell’articolo 76 della Costituzione, che oggetto della delega erano i procedimenti amministrativi, tra i quali certamente doveva e deve ricomprendersi il procedimento per ricorso straordinario, e che i principî e i criteri direttivi risultavano quanto mai puntuali;

che, quanto all’asserito contrasto con l’articolo 87 della Costituzione, l’Avvocatura osserva, da un lato, che il Presidente della Repubblica, già prima della entrata in vigore del d.P.R. n. 1199 del 1971, esercitava la prerogativa di decidere i ricorsi straordinari in base alla normativa previgente, e, dall’altro, che la conformità a Costituzione, per questo aspetto, della disciplina del ricorso straordinario si desumerebbe dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, che ha convertito in legge il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), il quale prevedeva espressamente il ricorso straordinario contro i provvedimenti amministrativi della Regione Siciliana, trasferendo la competenza a decidere sugli stessi al Presidente della Regione;

che, infine, l’Avvocatura ricorda che la disciplina del ricorso straordinario al Capo dello Stato ha formato più volte oggetto di esame da parte di questa Corte, la quale, in particolare nella sentenza n. 298 del 1986, ha riconosciuto che l’attuale disciplina legislativa "ha conservato la natura del tutto atipica che quest’istituto ha assunto sin dall’epoca della monarchia costituzionale", confermando "il carattere di rimedio straordinario contro eventuali illegittimità di atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono evitare con modica spesa, senza il bisogno dell’assistenza tecnico-legale e con il beneficio di termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi", e non ha mancato di precisare che la permanenza attuale di una ragione giustificativa di tale istituto non sta nella sua improbabile natura di appello al sovrano o al vertice amministrativo, ma "piuttosto nel fatto che il ricorso straordinario costituisce, per la pubblica amministrazione, un mezzo ulteriore di garanzia della legalità e dell’imparzialità della propria azione – che, insieme al buon andamento, sono pur sempre i valori costituzionali supremi cui deve ispirarsi l’attività amministrativa –".

Considerato che l’articolo 4 della legge n. 249 del 1968, come modificato dall’articolo 6 della legge n. 775 del 1970, delegava il Governo ad emanare uno o più decreti aventi valore di legge ordinaria per disciplinare i singoli procedimenti amministrativi nei vari settori, stabilendo che le norme di tali decreti avrebbero dovuto "ispirarsi al modello della disciplina generale dell’azione amministrativa da approvarsi con legge con gli adeguamenti resi necessari dalle specifiche esigenze proprie dei singoli settori", e che si sarebbe dovuto "sempre tendere alla semplificazione ed allo snellimento delle procedure, in modo da rendere quanto più possibile sollecita ed economica l’azione amministrativa", e a tal fine si sarebbe dovuta realizzare, tra l’altro, "l’eliminazione delle duplicazioni di competenze, dei concerti non necessari e dei pareri, dei controlli e degli adempimenti in genere, che non siano essenziali per una adeguata valutazione del pubblico interesse o per la consistente tutela degli interessi dei cittadini";

che, contrariamente a quanto affermato dal remittente, non vi sono ostacoli né letterali né sistematici a ritenere che la delega abilitasse il Governo a riordinare i procedimenti relativi ai ricorsi amministrativi;

che infatti la funzione amministrativa esercitata a seguito della proposizione dei ricorsi amministrativi, pur se inerente ai diversi settori dell’amministrazione attiva, possiede tuttavia una sua autonomia che ne consente, ed anzi ne suggerisce, una disciplina unitaria, come indirettamente confermato da questa Corte, nella sentenza n. 298 del 1986, là dove ha riconosciuto al ricorso straordinario la natura di procedimento amministrativo di secondo grado;

che la questione è manifestamente infondata anche in relazione al profilo della mancanza di principi e criteri direttivi, in quanto, pur se la legge relativa al modello della disciplina generale dell’azione amministrativa, cui i decreti adottati dal Governo avrebbero dovuto ispirarsi, non è stata emanata prima dell’esercizio della delega da parte del Governo, tuttavia il citato articolo 4 della legge n. 249 del 1968, come sostituito dall’art. 6 della legge n. 775 del 1970, conteneva altri principi e criteri idonei ad orientare e indirizzare l’attività legislativa delegata;

che, con riferimento alla censurata mancanza di indicazioni circa i poteri del Consiglio di Stato nel procedimento volto alla adozione del decreto attuativo della delega, è sufficiente rilevare che il Consiglio di Stato è intervenuto ai sensi dell’art. 14 del regio decreto n. 1054 del 1924 che lo abilita, appunto, a formulare i progetti di legge e i regolamenti che gli vengono richiesti dal Governo, tra i quali rientrava certamente, in assenza di previsioni di segno contrario, anche lo schema di decreto delegato in attuazione della delega di cui alla legge n. 249 del 1968;

che, quanto alla censura concernente la violazione dell’art. 87 della Costituzione, per avere il decreto legislativo attribuito competenze ulteriori al Presidente della Repubblica, è sufficiente rilevare che questa Corte (sentenza n. 35 del 1962) ha già chiarito che, per quanto attiene alla funzione amministrativa, secondo una prassi seguita sin dalla entrata in vigore della Costituzione, molte leggi deferiscono alla firma del capo dello Stato, non soltanto i regolamenti, "ma anche provvedimenti attinenti in concreto all’attività della pubblica amministrazione", senza che in ciò possa ravvisarsi alcuna lesione delle attribuzioni del Capo dello Stato e, quindi, una violazione dell’invocato parametro;

che manifestamente infondata è anche la censura sollevata, in via subordinata, dal Tribunale remittente, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, sul presupposto che, quand’anche si volesse ritenere che la legge di delegazione conteneva principî e criteri direttivi, ad essi il decreto adottato dal Governo non si sarebbe attenuto;

che, infatti, al contrario di quanto sostiene il remittente, la disciplina posta dal d.P.R. n. 1199 del 1971, non solo ha confermato la natura del tutto atipica che il ricorso straordinario aveva assunto sin dall’epoca della monarchia costituzionale, adeguando la disciplina della alternatività al ricorso giurisdizionale ai principî desumibili dalla sentenza di questa Corte n. 1 del 1964, ma, in attuazione del criterio della economicità posto dalla legge di delegazione, ne ha ribadito il suo carattere di rimedio straordinario contro eventuali illegittimità di atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono utilizzare con modica spesa, senza il bisogno di assistenza tecnico-legale e con il beneficio di termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi (v. sentenza n. 298 del 1986);

che, infine, se si considera che il ricorso straordinario è esperibile contro atti definitivi e che esso è alternativo ai rimedi giurisdizionali, non appare affatto incongruo o contrario al principio di economicità il fatto che nel procedimento di decisione sia coinvolto l’apparato statale ai suoi più alti livelli;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata in relazione a tutti i profili prospettati.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 8, 9, 10 11, 12, 13 e 14 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), sollevata, in riferimento agli articoli 76, 77 e 87 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 marzo 2001.