Ordinanza n. 53

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ORDINANZA N. 53

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti sul ricorso proposto da Michetti Pasqualina contro l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chieti, iscritta al n. 590 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2001 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da un socio accomandante per l’annullamento dell’avviso di accertamento in rettifica dei redditi prodotti nell’anno 1991 da una società in accomandita semplice, la Commissione tributaria provinciale di Chieti, con ordinanza del 10 marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi);

che il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui determina la imputazione pro quota ai soci di una società di persone anche del reddito che gli amministratori abbiano, mediante atti illeciti, sottratto alla società (ipotesi questa che, secondo il rimettente, "ha avuto adeguato riscontro documentale" nel giudizio a quo) e che egli ritiene, per tale motivo, essere "meramente fittizio";

che, in particolare, ad avviso del giudice a quo, l’art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che si verrebbe a determinare tra coloro che, in quanto soci di società di persone, pur non avendo conseguito alcun reddito, sono soggetti ad imposizione e gli altri soggetti egualmente privi di reddito che ne sono invece esclusi; b) con l’art. 24 della Costituzione, sotto il profilo del diritto alla prova in giudizio, per essere il socio impossibilitato a dimostrare di non aver conseguito alcun reddito; c) con l’art. 53 della Costituzione in quanto il contribuente non percettore di reddito verrebbe sottoposto ad imposizione in aperta violazione del principio di capacità contributiva;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato.

Considerato che va, preliminarmente, dichiarata la inammissibilità dell’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri in quanto effettuato oltre il prescritto termine di 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della ordinanza di rimessione;

che la Commissione tributaria provinciale di Chieti dubita della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui assoggetta i soci di una società in accomandita semplice ad imposizione tributaria per la quota loro spettante del reddito accertato della società, anche nel caso in cui esso non sia stato da costoro conseguito in quanto illecitamente sottratto dagli amministratori;

che la premessa sulla quale si fonda la ordinanza di rimessione é che il reddito societario, illecitamente sottratto dagli amministratori della società, sia, per effetto della norma impugnata, imputabile ai soci pur dovendo considerarsi puramente fittizio;

che siffatta premessa é erronea in quanto tale reddito deve, invece, ritenersi effettivo, posto che la sua sottrazione, che é peraltro vicenda interna alla società e non incide sul momento genetico della sua produzione, ne presuppone logicamente la esistenza;

che la norma in questione é volta a realizzare, attraverso l’imputazione ai soci del reddito societario indipendentemente dalla sua effettiva percezione, la immedesimazione - nell’ambito delle società di persone, nei limiti della quota di partecipazione ed agli specifici fini tributari - fra società partecipata e socio;

che, pertanto, prive di fondamento risultano le censure di incostituzionalità mosse dal rimettente sulla base della asserita fittizietà del reddito sottratto dagli amministratori;

che resta, ovviamente, salva la responsabilità degli amministratori per il danno derivante ai soci dalla sottrazione del reddito societario.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 6 marzo 2001.