Ordinanza n. 35

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ORDINANZA N. 35

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI Giudice

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 148 del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 29 settembre 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Cagliari nel procedimento penale a carico di P.E., iscritta al n. 744 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato del reato di diserzione [art. 148, numero 2), cod. pen. mil. pace], il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Cagliari, con ordinanza in data 11 giugno 1997 (r.o. n. 791/1997), aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 148 cod. pen. mil. pace, in relazione all’art. 8, secondo e terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza), "nella parte in cui non escludeva la possibilità di più di una condanna per il militare che fosse già stato condannato a pena di durata uguale al servizio militare ancora da svolgere";

che, sulla premessa della natura permanente dei reati di assenza dal servizio, e data la conseguente possibilità per l’imputato di essere sottoposto a plurime successive condanne fino al momento del congedo assoluto (e cioé fino al raggiungimento del quarantacinquesimo anno di età), si sarebbe potuto realizzare il fenomeno della cosiddetta "spirale delle condanne" per un unico fatto criminoso;

che, richiamata la giurisprudenza costituzionale resa nella materia dell’obiezione di coscienza (in particolare, le sentenze nn. 409 del 1989, 467 del 1991, 343 del 1993), il giudice rimettente osservava che da ultimo era intervenuta la sentenza n. 43 del 1997 della Corte costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, secondo e terzo comma, della legge n. 772 del 1972, nella parte in cui non escludeva la possibilità di più di una condanna per il reato di rifiuto totale del servizio militare determinato da obiezione di coscienza (cioé del rifiuto manifestato prima dell’assunzione dello stesso servizio e adducendo i motivi di cui all’art. 1 della legge);

che – proseguiva il rimettente – con altre precedenti pronunce la Corte, affermando tra l’altro (sentenza n. 409 del 1989) l’identità dell’interesse leso nelle due distinte ipotesi, quella del reato previsto dalla normativa sull’obiezione di coscienza e quella relativa a uno dei reati di assenza dal servizio, aveva statuito (sentenza n. 343 del 1993) che alla condanna alla pena della reclusione in misura complessivamente non inferiore al servizio di leva, nel caso di diserzione, dovesse necessariamente seguire l’esonero dal servizio militare, al pari di quanto era previsto per colui che rifiutava il servizio militare di leva per i motivi di cui all’art. 1 della legge n. 772 del 1972;

che pertanto, ad avviso del giudice a quo, a seguito della sentenza n. 43 del 1997 appariva fondato il dubbio di costituzionalità dell’art. 148 cod. pen. mil. pace in relazione all’art. 8, commi secondo e terzo, della citata legge n. 772, nella parte in cui non escludeva la possibilità di più di una condanna, una volta che il militare fosse già stato condannato a pena pari al servizio ancora da svolgere;

che per un primo profilo sarebbe stato violato il principio di uguaglianza, poichè al militare condannato per il reato di cui all’art. 148 cod. pen. mil. pace sarebbe stato riservato un trattamento deteriore rispetto a chi avesse rifiutato il servizio militare a norma del citato art. 8: mentre nella prima ipotesi il militare disertore avrebbe potuto essere punito per un numero indefinito di volte, nel secondo caso l’obiettore di coscienza avrebbe subìto una sola condanna;

che la notevole diversità di trattamento penale tra le due ipotesi sarebbe stata rilevante anche sotto il profilo della proporzionalità, insita nel principio di uguaglianza, nonchè in relazione all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, poichè una serie indeterminata di condanne per un fatto sostanzialmente unico, tendendo alla coartazione morale della persona, sarebbe risultata lesiva della finalità rieducativa e del senso di umanità delle pene;

che, con ordinanza n. 102 del 1999, questa Corte ha disposto la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Cagliari, in quanto, essendo stato l’art. 8 della legge n. 772 del 1972, assunto come termine di raffronto, nel frattempo sostituito con l’art. 14 della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), ed avendo l’art. 23 di quest’ultima legge stabilito l’abrogazione della legge n. 772 del 1972, spettava al rimettente verificare se, alla stregua della normativa sopravvenuta, la questione sollevata fosse tuttora rilevante;

che nell’ambito del medesimo giudizio penale, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Cagliari, rilevato che l’art. 8 della legge n. 772 del 1972 é stato sostanzialmente sostituito dall’art. 14 della legge n. 230 del 1998 e che la nuova disposizione ripete in più parti il dettato normativo contenuto nel previgente art. 8, stabilendo, in particolare, nel suo comma 5, che "coloro che adducendo motivi diversi da quelli indicati nell’art. 1 o senza addurre motivo alcuno, rifiutano totalmente, prima o dopo averlo assunto, la prestazione del servizio militare di leva, sono esonerati dall’obbligo di prestarlo quando abbiano espiato per il suddetto rifiuto la pena della reclusione per un periodo complessivamente non inferiore alla durata del servizio di leva", al pari di quanto stabilito dal citato art. 8, comma terzo, della legge n. 772 del 1972, e ritenuta, pertanto, la questione tuttora rilevante, anche alla stregua della normativa sopravvenuta, con ordinanza in data 29 settembre 1999 ha nuovamente sollevato, nei termini e in riferimento ai parametri sopra illustrati, questione di legittimità costituzionale dell’art. 148 cod. pen. mil. pace, assumendo peraltro come tertium comparationis l’art. 14 della legge n. 230 del 1998 anzichè l’art. 8 della legge n. 772 del 1972.

Considerato che il giudice a quo chiede a questa Corte una pronuncia tale da escludere la possibilità di più di una condanna per chi abbia già riportato condanna a una pena non inferiore al servizio militare (ancora) da svolgere, in conseguenza di una manifestazione di rifiuto del servizio militare che, per essere immotivata o motivata con ragioni non riconducibili all’obiezione di coscienza, integra uno dei reati di assenza dal servizio previsti dal codice penale militare di pace (nella specie: il reato di diserzione);

che la richiesta dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice del codice penale militare, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, é prospettata dal rimettente a) secondo i termini della parte motiva dell’ordinanza di rinvio, assumendo a termine di raffronto la disciplina posta in materia di reati di obiezione di coscienza e, in particolare, in relazione al principio della possibilità di una sola condanna nei riguardi di chi rifiuti la prestazione militare per ragioni riconducibili a quelle di coscienza legalmente previste (un principio, questo, affermato dalla sentenza n. 43 del 1997 della Corte costituzionale e successivamente recepito dal legislatore nell’art. 14, comma 4, della legge n. 230 del 1998), nonchè b) secondo il dispositivo della medesima ordinanza di rinvio, "in riferimento" all’art. 14, comma 5, della stessa legge n. 230, che pone la regola dell’esonero dal servizio per chi rifiuti il servizio senza addurre uno dei motivi qualificabili "di coscienza" secondo la legge, una volta che per detto comportamento sia stata espiata una pena per un periodo complessivamente non inferiore alla durata del servizio di leva;

che, relativamente al profilo in a), questa Corte ha già affermato, nella sentenza n. 223 del 2000, che non contrasta con il principio di uguaglianza la differenziazione nella disciplina dell’esonero dagli obblighi di leva, a seconda che il mancato adempimento di essi sia dipeso da ragioni di coscienza – nel quale caso la condizione dell’esonero consiste nel solo fatto della condanna per il reato di rifiuto del servizio di cui all’art. 14, comma 2, della legge n. 230 – ovvero non sia dipeso da quelle ragioni – nel quale caso la condizione dell’esonero é l’espiazione di una pena pari almeno alla durata del servizio -, giacchè le ragioni che indussero a statuire l’impossibilità di plurime condanne e pene (sentenza n. 43 del 1997) valgono solo per le ipotesi in cui entra in gioco il fattore della coscienza;

che ancora nella citata sentenza n. 223 del 2000 si é osservato che il legislatore, nel disporre l’esonero in conseguenza dell’espiazione della pena per il disertore recidivo (comma 5 dell’art. 14), ha tenuto conto delle pronunce di questa Corte secondo le quali la disciplina dell’esonero assume il carattere di mezzo per impedire uno sproporzionato accumulo di pene (la "spirale delle condanne") nei riguardi di quanti si sottraggono agli obblighi di leva senza addurre ragioni di coscienza, onde evitare conseguenze incostituzionali sia sul piano della ragionevolezza che su quello della funzione della pena (art. 27 della Costituzione), senza che ciò comporti, sempre sul piano costituzionale, alcuna necessità di equiparazione di detta disciplina con quella stabilita per i reati dettati da effettiva obiezione di coscienza;

che, relativamente al profilo in b), é sufficiente rilevare che la disposizione del comma 5 dell’art. 14 della legge n. 230 non é idonea a costituire un termine di raffronto perchè essa si riferisce – ed é applicabile - proprio a tutti i reati che siano espressivi di un "rifiuto" della prestazione militare ma che, per difetto dell’elemento dell’adduzione di motivi di coscienza, ricadano in una delle fattispecie del codice penale militare di pace, come la diserzione (sentenza n. 223 del 2000, punto 4.2 del diritto; sentenza n. 224 del 2000, punto 3 del diritto; ordinanza n. 513 del 2000);

che é proprio attraverso l’operatività della citata clausola di esonero dal servizio militare una volta espiata la pena nella misura stabilita che risulta preclusa in radice la possibilità - lamentata invece dal rimettente - di una "serie indeterminata" di condanne e di un "numero indefinito" di pene nei confronti del soggetto che rifiuti il servizio nei termini detti sopra, ciò che fa venir meno la premessa dalla quale muove il giudice di merito nel sollevare la questione;

che per quanto detto la presente questione di costituzionalità deve essere dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 148 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Cagliari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2001.