Sentenza n. 487/2000

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SENTENZA N. 487

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA 

- Valerio ONIDA 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi per conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della richiesta al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna in data 3 maggio 1999, di non doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e della polizia per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato e del successivo decreto dello stesso Giudice per le indagini preliminari del 31 maggio 1999, promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 19 luglio 1999, depositati in Cancelleria il 27 successivo ed iscritti ai nn. 23 e 24 del registro conflitti 1999.

Visti gli atti di costituzione del Procuratore della Repubblica e del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna;

udito nell’udienza del 10 ottobre 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri;

uditi il dott. Paolo Giovagnoli per il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Bologna nonché l’avv. dello Stato Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso del 5 luglio 1999 - depositato il 6 luglio 1999 e, a séguito dell'ordinanza di ammissibilità del conflitto n. 321 del 1999, regolarmente notificato il 19 e nuovamente depositato il 27 luglio 1999 - il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei ministri, assunta in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta, dal medesimo presentata in data 3 maggio 1999 al Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale, di “non doversi procedere” nei confronti di funzionari del SISDE e di funzionari di polizia che con essi avevano collaborato, per la esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato) e “confermato dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998”.

In relazione a tale attività del pubblico ministero, consistente nella richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari per l’esistenza di un segreto di Stato - deducendo la violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura penale, e con riferimento alle sentenze nn. 110 e 410 del 1998 della Corte costituzionale - il Presidente del Consiglio solleva l’odierno conflitto, ritenendo la motivazione della richiesta del pubblico ministero contraddittoria e atta a provocare, da parte del giudice, il provvedimento di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen., ed altresì lamentando che la detta richiesta è stata corredata di tutta la documentazione, anche segretata, la quale accompagnava le precedenti richieste di rinvio a giudizio, rispettivamente annullate da questa Corte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998.

Allo scopo di inquadrare il presente conflitto nel contesto dell'intera vicenda in cui si inserisce, il ricorrente ripercorre preliminarmente i fatti dai quali hanno tratto occasione i due conflitti di attribuzione in precedenza sollevati dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Procura della Repubblica di Bologna, definiti da questa Corte con le citate sentenze n. 110 e n. 410 del 1998.

Nel presente giudizio, il ricorrente si duole che il Procuratore della Repubblica, invece di restituire i documenti segretati ai legittimi detentori e di avanzare richiesta di archiviazione, abbia nuovamente violato il segreto, attentando alle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, l’iniziativa della Procura di porre nella disponibilità del giudicante gli atti segretati non solo contrasterebbe con le statuizioni contenute nelle citate sentenze della Corte costituzionale nn. 110 e 410 del 1998, ma avrebbe determinato anche l’ulteriore effetto di rendere conoscibile al giudice per le indagini preliminari, in sede di delibazione della menzionata richiesta di archiviazione, emergenze documentali di cui il medesimo giudice non dovrebbe prendere cognizione e di offrire la documentazione segreta alla pubblicità dell’udienza.

Il Presidente del Consiglio, deducendo la violazione dei menzionati parametri costituzionali, anche in relazione alle citate sentenze nn. 110 e 410 del 1998, chiede a questa Corte di dichiarare che non spetta al pubblico ministero corredare una richiesta di non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato dei documenti che da quel segreto sono coperti e che non spetta al pubblico ministero motivare tale richiesta in modo contraddittorio ed atto, comunque, a provocare da parte del giudice per le indagini preliminari una richiesta di ulteriori indagini o una imputazione coatta, con il conseguente annullamento della richiesta di archiviazione del 3 maggio 1999 e con l’ordine di restituzione dei documenti coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori.

2. - Con l'ordinanza n. 321 del 1999, questa Corte ha dichiarato ammissibile questo nuovo conflitto proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna.

3. - Nel giudizio davanti a questa Corte quest'ultimo si è costituito, per argomentare l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso del Presidente del Consiglio.

In primo luogo, il pubblico ministero obietta che "non sarebbe stato possibile tecnicamente espungere materialmente dal fascicolo processuale la documentazione sia perché ne è parte integrante", sia perché, proprio la Corte costituzionale, con la sentenza n. 145 del 1991, ha affermato, si legge nell'atto di costituzione, "l'obbligo inderogabile dell'integrale trasmissione degli atti processuali, comunque compiuti, al G.i.p. per le sue valutazioni". A questo riguardo, il resistente aggiunge che "nessuna norma del codice autorizza, se pure indirettamente e per qualunque motivo, l'eliminazione di atti e documenti dai fascicoli processuali". Inoltre, si afferma nell'atto di costituzione, "la stessa Corte [costituzionale] non ha mai ritenuto di indicare espressamente e specificamente i documenti colpiti dalla ricordata sanzione processuale".

In secondo luogo, il resistente asserisce la propria incompetenza a decidere sulla inutilizzabilità degli atti e dei documenti coperti da segreto di Stato, spettando esclusivamente al giudice "applicare la sanzione dell'inutilizzabilità".

4. - In prossimità della data fissata per l'udienza, il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa, per insistere nell'accoglimento del ricorso e per sviluppare ulteriormente quanto già dedotto in sede di promovimento del presente giudizio.

Nella memoria - che nell'identico testo, data “la sostanziale identità della linea difensiva avversa in entrambi i conflitti”, è stata depositata anche in vista dell'udienza prevista per la trattazione del conflitto n. 24 - il ricorrente richiama l'ordinanza di questa Corte n. 344 del 2000, che ha dichiarato, escludendone il carattere pregiudiziale, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale - sollevata, in riferimento all’art. 3, secondo (recte: primo) comma, 101, secondo comma, e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna, nel corso del procedimento instaurato a norma dell’art. 409, comma 2, cod. proc. pen. con il provvedimento all'origine del conflitto n. 24 - dell’art. 256 cod. proc. pen., “nella parte in cui consente di opporre il segreto di Stato anche in relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto già contenuti ed acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti che, venendo contestualmente trasmessi alla A.G., perdono le loro caratteristiche di segretezza, ovvero laddove non prevede che il segreto in precedenza ritualmente e correttamente opposto diventi inefficace nel caso in cui l’atto da esso coperto abbia perso il suo carattere di segretezza”.

Il ricorrente contesta poi l’affermazione del resistente circa “la pretesa giuridica impossibilità di espungere dal fascicolo atti ancorché coperti da segreto”, osservando che sebbene “nessuna norma di legge preveda esplicitamente tale espungibilità, ciò rientrerebbe nella generale regola di comune buon senso che nessuna espressa previsione normativa è necessaria per legittimare i comportamenti leciti che non solo rientrano nella logica del sistema ma il cui compimento è addirittura doveroso in quanto necessario per evitare conseguenze gravissime o addirittura la commissione di reati”. Diversamente opinando, conclude la difesa erariale, “accettando la logica della controparte, un p.m. ed un g.i.p. nei cui incarti processuali fosse stato per avventura versato l'elenco completo degli agenti ed informatori di SISDE e SISMI dovrebbero comunque offrire tale elenco alla pubblicità del processo e sufficiente garanzia del bene pubblico e del pubblico interesse sarebbe solo l'inutilizzabilità dell'elenco ai fini del decidere”.

Quanto alla lamentata impossibilità di individuare con esattezza gli atti e i documenti coperti da segreto, il Presidente del Consiglio osserva che "una semplice lettura degli atti del procedimento di segretazione (segnatamente della motivazione della conferma) effettuata in spirito di leale collaborazione, sarebbe stata sufficiente, a tacer d'altro, per intendere quali documenti fossero coperti da segreto di Stato".

5. - Con ricorso del 5 luglio 1999 - depositato il 6 luglio 1999 e, a séguito dell'ordinanza di ammissibilità del conflitto n. 321 del 1999, regolarmente notificato il 19 e nuovamente depositato il 27 luglio 1999 - il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei ministri, assunta in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in relazione al decreto, emesso ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio 1999 l’udienza in camera di consiglio, a séguito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna di non doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia, per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato).

Il ricorrente lamenta che il provvedimento all'origine del conflitto sarebbe stato adottato sulla base di tutta la documentazione, compresa quella segretata, che accompagnava le precedenti richieste di rinvio a giudizio proposte dal pubblico ministero riguardo ai medesimi fatti, e costituirebbe quindi esercizio di attività giurisdizionale in materie sottratte alla competenza dell’autorità giudiziaria, con conseguente lesione delle proprie attribuzioni costituzionali, come definite dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202, 256 e 362 cod. proc. pen. e con riferimento alle sentenze nn. 110 e 410 del 1998 della Corte costituzionale.

Allo scopo di inquadrare il presente conflitto nel contesto dell'intera vicenda in cui si inserisce, il ricorrente, anche in questo secondo ricorso, ripercorre preliminarmente i fatti dai quali hanno tratto occasione i due conflitti di attribuzione in precedenza sollevati dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Procura della Repubblica di Bologna, definiti da questa Corte con le citate sentenze n. 110 e n. 410 del 1998.

Nell'atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente si riporta a quanto affermato da questa Corte nelle menzionate sentenze nn. 110 e 410 del 1998, ed in particolare ai principi secondo i quali i rapporti tra Governo ed autorità giudiziaria debbono essere ispirati a correttezza e lealtà, e l’opposizione del segreto di Stato non comporta alcuna immunità sostanziale e non impedisce l’esercizio dell’azione penale, ma ha l’effetto di inibire all’autorità giudiziaria l’acquisizione, in via diretta o indiretta, degli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto al fine di fondare su di essi l’esercizio dell’azione penale, che può essere esercitata solo qualora vi siano elementi indizianti del tutto autonomi ed indipendenti.

Secondo il ricorrente, l’iniziativa del Procuratore della Repubblica di porre nella disponibilità del Giudice per le indagini preliminari, con la richiesta di archiviazione, gli atti segretati, da un lato, si è posta in contrasto con quanto statuito da questa Corte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998; dall’altro, ha posto il giudice nella posizione di delibare detta richiesta sulla base di emergenze documentali di cui non avrebbe dovuto prendere cognizione.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene quindi che il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, pronunciato ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., abbia violato le prerogative del Governo nella materia del segreto di Stato, dal momento che è stato adottato sulla base di documenti coperti da tale segreto e quindi non conoscibili dal giudice; che esso è idoneo ad offrire la documentazione segreta alla pubblicità dell'udienza; e ancora che esso è prodromico ad ulteriori attività giurisdizionali – l’ordinanza con la quale si indica la necessità di ulteriori indagini, o l’ordinanza con la quale si dispone che il pubblico ministero formuli l’imputazione – che restano precluse dal segreto opposto.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto conflitto per sentir dichiarare che non spetta al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna, né acquisire, né utilizzare sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato legalmente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri il segreto di Stato; che non spetta allo stesso Giudice, a fronte di una richiesta del pubblico ministero di non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato, corredata dei documenti che da quel segreto di Stato sono coperti, prendere cognizione degli stessi e, su tale base, fissare l’udienza in camera di consiglio prevista dall’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., così offrendo tali documenti alla pubblicità ed in particolare alla conoscenza della persona offesa. Il ricorrente chiede altresì che questa Corte disponga l'annullamento del decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio del 31 maggio 1999, ordinando la restituzione dei documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori.

6. - Con l'ordinanza n. 320 del 1999, questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto sollevato dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna.

7. - Nel giudizio davanti a questa Corte quest'ultimo si è costituito, per chiedere che il ricorso del Presidente del Consiglio sia dichiarato infondato.

Dopo aver ricordato - come il ricorrente - i diversi momenti dell'intera vicenda che ha portato al presente conflitto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna afferma, innanzi tutto, che “la conoscibilità degli atti processuali, nei modi e nei tempi previsti, da parte dei soggetti interessati e delle parti processuali è elemento cardine del nostro sistema processuale” e che, da un lato, “il diritto della p.o. di prendere cognizione degli atti del procedimento prescinde totalmente dalla adozione della procedura di cui all'art. 409 c.p.p., essendo il venir meno del segreto sugli atti processuali collegato al momento in cui l'imputato può averne conoscenza, o comunque ‘alla chiusura delle indagini preliminari’ (art. 329, c. 1, c.p.p.), evenienze entrambe verificatesi”; dall'altro, che anche qualora il g.i.p., “aderendo alla richiesta del p.m., avesse archiviato de plano il procedimento, comunque la p.o. avrebbe avuto, anche ‘dopo la definizione del procedimento’, diritto di avere copia degli atti ai sensi dell’art. 116 c.p.p.”.

Da quanto precede, ed altresì in considerazione della circostanza che “detti documenti erano già ampiamente nella sfera di conoscibilità della p.o., con pieno diritto di estrarne copia (art. 131 c.p.p.)”, il resistente deduce che “in alcun modo … il provvedimento di fissazione della udienza ex art. 409 c.p.p. potrebbe di per sé ledere le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri”.

Dopo aver censurato alcuni comportamenti, ritenuti non conformi al dovere di lealtà, tenuti dalla Questura di Bologna nei rapporti con l'autorità giudiziaria, il G.i.p. sottolinea il carattere obbligato, in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 409 c.p.p., del provvedimento di fissazione dell'udienza; “pur in presenza di atti ritenuti inutilizzabili perché ottenuti in violazione del segreto di Stato”, aggiunge il resistente, “rimane fermo ed ineludibile il ruolo della magistratura giudicante come espressamente affermato dalla Corte [costituzionale] nella citata sent. 110”, in ordine alla dichiarazione di “non doversi procedere”. Né può affermarsi, ad avviso del resistente, che vi sia stata una utilizzazione degli atti coperti da segreto, ciò che sarebbe dimostrato proprio dalla sollevazione, da parte dello stesso G.i.p., nell'àmbito del medesimo procedimento ex 409 c.p.p. di cui si tratta, di una questione di legittimità costituzionale della disciplina concernente la inutilizzabilità di tali atti.

Sul punto della mancata restituzione dei documenti coperti da segreto, per altro non addebitata al G.i.p. nel ricorso, il resistente lamenta, da un lato, la mancata indicazione, da parte di questa Corte, dei documenti illegittimamente acquisiti; dall'altro, la mancata richiesta di restituzione, da parte dell'amministrazione interessata.

8. - In prossimità della data fissata per l'udienza, il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa, per insistere nell'accoglimento del ricorso e per sviluppare ulteriormente quanto già dedotto in sede di promovimento del presente giudizio.

Il testo della memoria, come si è detto, in considerazione della “sostanziale identità della linea difensiva avversa in entrambi i conflitti”, è identico a quello della memoria presentata nell'imminenza dell'udienza prevista per la trattazione del conflitto n. 23, il cui contenuto è già stato illustrato.

Considerato in diritto

1. - Con il primo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta, dal medesimo presentata in data 3 maggio 1999 al Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale, di “non doversi procedere” nei confronti di funzionari del SISDE e di funzionari di polizia che con essi avevano collaborato, per la esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e “confermato dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998”.

Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, come determinata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, e dagli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonchè dagli artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura penale, anche in riferimento alle sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, e chiede che venga dichiarata la non spettanza al pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, del potere di presentare al Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale la menzionata richiesta di archiviazione in data 3 maggio 1999, corredandola della documentazione “segretata” e premettendo alla stessa richiesta una motivazione contraddittoria e atta a provocare, da parte del giudice, il provvedimento di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen., prodromico rispetto all'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti (in particolare: invito al p.m., ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., a compiere ulteriori indagini; “imputazione coatta” ex art. 409, comma 5, cod. proc. pen.) suscettibili di provocare una ulteriore divulgazione dei documenti coperti da segreto.

Il ricorrente chiede altresì l’annullamento della richiesta in data 3 maggio 1999 del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, “con l’ordine di restituzione dei documenti coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori”.

2. - Con il secondo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in relazione al decreto, emesso ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio 1999 l’udienza in camera di consiglio, a séguito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna di non doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia, per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801.

Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, come determinata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione e dagli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonchè dagli artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura penale, anche in riferimento alle sentenze nn. 110 e 410 del 1998 di questa Corte, e chiede che venga dichiarata la non spettanza al giudice per le indagini preliminari resistente nel presente conflitto – a fronte della richiesta di archiviazione del pubblico ministero in data 3 maggio 1999, corredata dei documenti coperti da segreto di Stato – del potere di prendere cognizione degli stessi e, su tale base, fissare, ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., con il decreto in data 31 maggio 1999, l’udienza in camera di consiglio il 14 luglio 1999, offrendo tali documenti alla pubblicità dell’udienza ed in particolare alla conoscenza della persona offesa, e ponendo le premesse per ulteriori attività giurisdizionali – l’ordinanza con la quale si indica la necessità di ulteriori indagini, o l’ordinanza con la quale si dispone che il pubblico ministero formuli l’imputazione – che devono ritenersi precluse dal segreto di Stato opposto.

Il ricorrente chiede altresì che questa Corte disponga l’annullamento del decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio del 31 maggio 1999, “ordinando la restituzione dei documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori”.

3. - Con i ricorsi indicati in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, in riferimento ai medesimi parametri, la lesione della propria sfera di attribuzioni in materia di tutela del segreto di Stato ad opera del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna e del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, in relazione ad atti dei rispettivi uffici fra loro intimamente connessi, sia sotto il profilo della sequenza procedurale, sia per l’unicità della vicenda storica all’origine di entrambi i conflitti sollevati. In considerazione di tale stretta e duplice connessione, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.

4. - Occorre, innanzitutto, confermare l’ammissibilità dei conflitti di attribuzione in questione, che questa Corte ha già dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con le ordinanze nn. 320 e 321 del 1999.

4.1. - Sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ma, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, anche alla stregua delle norme costituzionali che ne delimitano le attribuzioni (sentenze nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426 del 1997).

Sotto il medesimo profilo, anche la legittimazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere ribadita, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce al pubblico ministero la legittimazione ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, ai sensi dell’art. 112 della Costituzione, è il titolare diretto ed esclusivo dell’attività di indagine finalizzata all’esercizio obbligatorio dell’azione penale (sentenze nn. 410 e 110 del 1998; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426 del 1997).

Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 23 del 1999 riguarda attribuzioni costituzionalmente garantite inerenti all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero ed alla salvaguardia della sicurezza dello Stato anche attraverso lo strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua opposizione e conferma, è attribuita alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento.

4.2. - Anche per quanto riguarda il conflitto n. 24 del 1999, il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato dal punto di vista attivo in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato in base alle citate disposizioni costituzionali e legislative.

La legittimazione del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere ribadita, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (ex plurimis, sentenze nn. 50 e 35 del 1999; 375 del 1997; ordinanze nn. 471, 261 e 250 del 1998; 269 del 1996).

Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 24 del 1999 riguarda attribuzioni costituzionalmente garantite inerenti all’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice per le indagini preliminari ed alla salvaguardia della sicurezza dello Stato anche attraverso la strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua opposizione e conferma, è attribuita alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento.

5. - Nel merito, il ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna è fondato.

6. - Prima di esporre le ragioni dell’accoglimento del ricorso, è necessario ricordare ancora una volta, per sommi capi, le vicende che hanno dato origine ai conflitti di cui è causa ed i precedenti costituiti dalle sentenze n. 110 e 410 del 1998.

Con la prima pronuncia, la Corte costituzionale accoglieva il ricorso con il quale il Presidente del Consiglio dei ministri aveva sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione ad attività istruttoria svolta nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia, e diretta ad acquisire elementi di conoscenza su circostanze incise dal segreto di Stato opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ex art. 12 della legge n. 801 del 1977.

La Corte, dopo aver dichiarato l’ammissibilità del conflitto con ordinanza n. 426 del 1997, dichiarava, con la menzionata sentenza n. 110 del 1998, non spettare al pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, né acquisire, né utilizzare, sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali era stato legalmente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri il segreto di Stato, né trarne comunque occasione di indagine ai fini del promovimento dell'azione penale, annullando conseguentemente gli atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal segreto di Stato, nonché la sopravvenuta richiesta di rinvio a giudizio.

A séguito di tale sentenza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, al quale gli atti erano stati restituiti dal giudice per le indagini preliminari, reiterava la richiesta di rinvio a giudizio, eliminando da questa i riferimenti ai documenti trasmessi dalla Questura di Bologna.

Con ricorso del 10 luglio 1998, depositato il 14 luglio 1998, il Presidente del Consiglio dei ministri sollevava un nuovo conflitto di attribuzione nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio formulata in data 5 maggio 1998 nei confronti di funzionari del SISDE e di funzionari di polizia che con i primi avevano collaborato, e che si assumeva nuovamente basata su fonti di prova incise dal segreto di Stato opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801.

In accoglimento del secondo ricorso del Presidente del Consiglio, la Corte costituzionale, con sentenza n. 410 del 1998, ha dichiarato non spettare al pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, rinnovare la richiesta di rinvio a giudizio utilizzando fonti di prova acquisite in violazione del segreto di Stato già accertata con sentenza della Corte costituzionale e ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio in data 5 maggio 1998.

In séguito a tale decisione, il pubblico ministero resistente ha formulato la richiesta di archiviazione ritenuta dal ricorrente lesiva della proprie attribuzioni costituzionalmente garantite.

7. - L’obbligo del pubblico ministero di trasmettere al giudice per le indagini preliminari l’intero fascicolo delle indagini preliminari, previsto dall’art. 408, comma 1, cod. proc. pen., è stato ribadito da questa Corte con la sentenza n. 145 del 1991, invocata dal resistente, che ne ha sottolineato la funzione di garantire “che nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla cognizione del giudice per le indagini preliminari ai fini dell’adozione delle determinazioni ad esso spettanti”. Senonché, a quest'ultimo, rispetto alla valutazione circa l’inutilizzabilità dei documenti di cui si tratta non compete, in questo caso, alcun potere decisorio in ordine alla adozione di determinazioni ulteriori e diverse dal rilievo d’ufficio della inutilizzabilità di tali documenti, a norma dell’art. 191, comma 2, cod. proc. pen., ciò che questa Corte ha già avuto modo di chiarire con l’ord. n. 344 del 2000, in termini del tutto espliciti.

Quest’ultima pronuncia, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 256 cod. proc. pen. sollevata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, ha nuovamente ribadito che, con la sentenza n. 410 del 1998, questa Corte ha già inoppugnabilmente definito la controversia in merito all’utiliz­za­bi­li­tà degli stessi atti, sui quali è stato opposto e confermato il segreto di Stato, cui fa riferimento il giudice a quo, statuendo in via definitiva sulla non spettanza al pubblico ministero del potere di utilizzarli ed annullando la richiesta di rinvio a giudizio basata sugli stessi. In tale occasione, si è anche chiarito che, derivando in via definitiva la sanzione dell’inutilizzabilità degli atti di cui si tratta, non già dall’art. 256 cod. proc. pen., bensì direttamente dalle due citate sentenze della Corte costituzionale - pronunciate sulla base di parametri costituzionali e sottratte dall’art. 137, ultimo comma, della Costituzione, a qualsiasi forma, anche indiretta o impropria, di impugnazione - il giudice a quo avrebbe dovuto rilevarla d’ufficio a norma dell’art. 191, comma 2, cod. proc. pen., non residuando nel procedimento penale a quo alcuno spazio per fare applicazione, ai fini dell’identificazione degli atti non utilizzabili, dell’art. 256 cod. proc. pen. (né, quindi, per dubitare della sua legittimità costituzionale).

La circostanza, anzi, che il divieto di utilizzazione degli atti di cui si tratta deriva inequivocabilmente e in via definitiva non dall’art. 256 cod. proc. pen., bensì dalle citate sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, priva di valore processuale i documenti in questione e ne rende indebita e del tutto impropria l’inclusione nel fascicolo processuale.

Dalle citate decisioni costituzionali, nel rispetto della correttezza che deve ispirare i rapporti tra autorità giudiziaria e potere esecutivo nella materia della tutela del segreto di Stato, deriva un obbligo di restituzione dei documenti coperti da tale segreto, indipendentemente da una richiesta da parte dell’autorità responsabile della loro custodia.

Il sistema delle norme disciplinanti il processo penale, del resto, conosce più di un caso di obbligatoria restituzione di cose e documenti inutilizzabili a fini probatori, non solo da parte del giudice, ma anche direttamente da parte del pubblico ministero (artt. 262, comma 1; 263, comma 4; 254, comma 3, cod. proc. pen.).

Non è forse inutile ricordare poi che il comma 3 dell’art. 271 cod. proc. pen. dispone la distruzione, “salvo che costituisca corpo del reato”, della documentazione delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non utilizzabili a norma dei primi due commi.

Al pubblico ministero non spetta pertanto corredare la richiesta di archiviazione in data 3 maggio 1999 di documenti che, a séguito delle sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e non poteva né acquisire, né utilizzare, direttamente o indirettamente, e che avrebbe dovuto restituire all’autorità responsabile della tutela del segreto di Stato.

La permanenza materiale nel fascicolo processuale di documenti non utilizzabili perché coperti da segreto di Stato ritualmente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, successivamente, e in modo irretrattabile, ritenuti inutilizzabili con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998 di questa Corte, concreta la lesione delle attribuzioni costituzionali del ricorrente.

L’impugnata richiesta di archiviazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, corredata di tali documenti, deve pertanto essere annullata.

Quanto precede impone a questa Corte di dichiarare che non spetta al pubblico ministero formulare la richiesta di archiviazione in data 3 maggio 1999, corredandola di documenti che, anche a séguito delle sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e non poteva né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, e che avrebbe dovuto restituire all’autorità responsabile della tutela del segreto di Stato, e di annullare la richiesta presentata dal resistente in data 3 maggio 1999 al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna.

8. - Le ragioni che hanno condotto all’accoglimento del ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna e all’annullamento della richiesta di archiviazione all’origine del primo conflitto impongono di acco­gliere anche il secondo ricorso epigrafato, proposto dallo stesso ricorrente nei confronti del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna.

La rilevata assenza di valore processuale dei documenti dei quali questa Corte, con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998, ha accertato, in via definitiva e sulla scorta dei parametri costituzionali applicati per la risoluzione dei rispettivi conflitti, l’inutilizzabilità nel procedimento de quo, impone l’espunzione dal fascicolo processuale dei documenti coperti da segreto di Stato legittimamente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio, sottratti a qualsiasi valutazione da parte del resistente.

Da ciò consegue che non spetta al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna utilizzare in alcun modo, direttamente o indirettamente, gli atti e i documenti coperti da segreto di Stato, la cui inutilizzabilità è stata definitivamente accertata con le sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, neppure ai fini dei provvedimenti conseguenziali alla richiesta del pubblico ministero presentata in data 3 maggio 1999 e fissare l’udienza in camera di consiglio prevista dall’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen.

  Sia l’accoglimento dei due ricorsi presentati dal Presidente del Consiglio dei ministri, sia l’annullamento della richiesta di archiviazione all’origine del primo conflitto impongono di annullare tutti gli atti successivi e conseguenziali alla richiesta di archiviazione, compreso il decreto, emesso ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio 1999 l’udienza in camera di consiglio, a séguito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna presentata in data 3 maggio 1999.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara che non spetta al pubblico ministero presentare al Giudice per le indagini preliminari richiesta di non doversi procedere, corredata di documenti coperti da segreto di Stato che, a séguito delle sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non può in alcun modo, né direttamente né indirettamente, utilizzare, né conservare nel fascicolo processuale, e conseguentemente annulla la richiesta di non doversi procedere, presentata dal resistente in data 3 maggio 1999 al Giudice per le indagini preliminari dell Tribunale di Bologna;

dichiara che non spetta al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna utilizzare in alcun modo, direttamente o indirettamente, gli atti e i documenti coperti da segreto di Stato, la cui inutilizzabilità è stata definitivamente accertata con le sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, neppure ai fini dell’adozione del decreto in data 31 maggio 1999 di fissazione dell’udienza in camera di consiglio a norma dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., e conseguentemente annulla il citato decreto in data 31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio 1999 l’udienza in camera di consiglio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 novembre 2000.