Sentenza n. 454/2000

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SENTENZA N. 454

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 140 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), promosso con ordinanza emessa il 29 settembre 1999 dal Tribunale di Palermo, iscritta al n. 711 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visti l’atto di costituzione di Ferraro Pietro Giuseppe nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2000 il Giudice relatore Valerio Onida;

 uditi l’avvocato Giovanni Pitruzzella per Ferraro Pietro Giuseppe e l’avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Un notaio, sottoposto, in relazione a fatti risalenti al 1992, a procedimento penale, i cui atti sono stati annullati per vizio di procedura, con successivo rinnovo del rinvio a giudizio e del dibattimento, nonché, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare – sospeso in attesa della definizione del primo - per l’irrogazione della sanzione della destituzione, e colpito da inabilitazione facoltativa, disposta ai sensi dell’art. 140 della legge notarile, dal Tribunale civile di Palermo, aveva adìto lo stesso Tribunale chiedendo la revoca dell’ordinanza di sospensione del procedimento disciplinare, la declaratoria di compiuta prescrizione dell’azione disciplinare, l’assoluzione dall’incolpazione contestata, e la riammissione all’esercizio delle funzioni notarili, previa revoca della misura dell’inabilitazione facoltativa.

Il Tribunale, dopo aver rigettato le prime tre richieste, confermando precedenti provvedimenti della stessa autorità, e dopo avere ritenuto la conformità alla norma di legge della misura di inabilitazione nonché la sussistenza dei presupposti per la sua adozione, con ordinanza emessa il 29 settembre 1999 e pervenuta il 1° dicembre 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 27, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 140 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), che prevede la inabilitazione facoltativa del notaio contro il quale sia stato iniziato procedimento per contravvenzione notarile punibile con la destituzione.

Il remittente ritiene che “la peculiarità della fattispecie concreta, senz’altro connotata da profili di singolare gravosità per l’incolpato, induca” a verificare la compatibilità dell’istituto dell’inabilitazione facoltativa con il sistema costituzionale, sotto il profilo della mancata determinazione normativa della durata massima dell’inabilitazione, profilo non considerato nella sentenza n. 40 del 1990 di questa Corte, che sancì l’illegittimità della inabilitazione “di diritto” ma non della inabilitazione facoltativa prevista dall’art. 140 della legge notarile.

Secondo il remittente, stante l’indiscussa natura cautelare della misura in questione, correlata alla pendenza di procedimento disciplinare o penale, non sarebbe censurabile in sé la scelta legislativa di prevedere tale misura. Essa sarebbe inoltre conforme al sistema costituzionale sotto i profili del collegamento alla ricorrenza di esigenze cautelari, e della congruità e proporzione rispetto a tali esigenze, garantite dall’applicazione discrezionale da parte del giudice, al di fuori di qualsiasi automatismo: la misura sarebbe preordinata a tutelare in via temporanea, da un lato, il decoro e il prestigio dell’ordine professionale notarile; dall’altro ad inibire l’esercizio di funzioni pubblicistiche ad un notaio sottoposto a procedimento disciplinare o penale per fatti che comportano, se accertati, la destituzione.

Ciò che lederebbe i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3, nonché di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, della Costituzione, sarebbe la durata potenzialmente illimitata della inabilitazione, non essendo ricavabile in via sistematica alcun limite temporale di efficacia della misura, posto anche che, a seguito della sentenza n. 40 del 1990 di questa Corte, l’art. 146 della legge notarile consente la sospensione del procedimento disciplinare e la sospensione della prescrizione quadriennale dell’azione disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale.

Il giudice a quo richiama la disciplina di altre fattispecie, previste dalla normativa processuale penale o dalla legislazione amministrativa, in base alle quali misure cautelari interdittive avrebbero una durata massima fissata dalla legge ovvero sarebbero correlate al mantenimento di misure cautelari personali, che a loro volta non possono protrarsi oltre un certo limite temporale.

Sarebbe necessario, secondo il remittente, operare un bilanciamento fra contrapposti interessi: da un lato quello del dipendente o del professionista ad essere riammesso all’esercizio della funzione o della professione, dall’altro quello dell’amministrazione o dell’ordine professionale ad escludere gli accusati di fatti gravi dall’esercizio della stessa funzione o professione. Tale bilanciamento si realizzerebbe con l’introduzione di un limite massimo di durata della misura, non superiore “a qualche anno dall’applicazione”.

Ciò difetterebbe nel caso della inabilitazione del notaio, che assumerebbe perciò la valenza pratica di una sanzione vera e propria, indipendentemente dall’accertamento giudiziale di responsabilità, in contrasto appunto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché, indirettamente, con la presunzione di non colpevolezza.

Richiamate alcune pronunce di questa Corte, il giudice a quo adduce, a conferma della affermata irragionevolezza della disciplina censurata, la considerazione secondo cui l’art. 159 della legge notarile consente al notaio destituito da almeno tre anni, e quindi privato in via definitiva delle funzioni, di esservi riammesso.

2.- Si è costituito nel giudizio davanti alla Corte il notaio ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione. La parte richiama le considerazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, e afferma che sarebbe coessenziale alla stessa nozione di misura cautelare, nel nostro sistema costituzionale, la limitazione temporale della sua efficacia, in assenza della quale la norma che la prevede dovrebbe necessariamente qualificarsi come irragionevole; e aggiunge che, dal confronto con altre norme che prevedono misure cautelari di durata limitata, emergerebbe una intollerabile disparità di trattamento a danno dei notai cui si applica l’art. 140 della legge notarile.

3.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata.

L’Avvocatura erariale osserva in primo luogo che il principio di uguaglianza non sarebbe applicabile quando si tratta di situazioni che, pur derivando da basi comuni, differiscano fra loro per aspetti distintivi particolari, nel qual caso la discrezionalità del legislatore troverebbe l’unico limite della razionalità della diversa disciplina.

Nel caso in esame la diversità di disciplina rispetto a quanto previsto a proposito di altre misure cautelari troverebbe fondamento nella peculiarità delle funzioni esercitate dal notaio.

Quanto all’affermata violazione dell’art. 27, secondo comma, della Costituzione, il parametro non sarebbe correttamente richiamato, trattandosi nella specie di una misura cautelare disciplinare di natura provvisoria, finalizzata alla salvaguardia del prestigio e del decoro della funzione notarile.

Si osserva infine che la misura è revocabile in ogni momento a seguito di una nuova valutazione del giudice, autonoma rispetto al processo penale cui è sottoposto il notaio.

4.- In prossimità dell’udienza ha depositato memoria la parte privata.

In essa si ribadisce che la finalità della norma censurata è, secondo la giurisprudenza, quella di tutelare in via temporanea il prestigio e il decoro della professione e di evitare che le funzioni di notaio siano svolte da soggetti la cui idoneità ad esercitarle è revocata in dubbio dall’essere essi sottoposti a procedimenti disciplinari o penali per fatti tali da comportare, se accertati, la destituzione.

Ma tale finalità, secondo la parte, incontrerebbe il limite della presenza di altri interessi costituzionalmente garantiti, fra cui l’interesse fondamentale della persona umana a non essere oggetto di provvedimenti limitativi della propria sfera personale in assenza di una condanna definitiva: nel caso, specificamente, l’interesse del professionista all’esercizio dell’attività, che rappresenta per lui sia mezzo di sostentamento che fondamentale strumento per lo sviluppo della personalità.

La norma denunciata non realizzerebbe un equilibrato bilanciamento fra i contrapposti interessi, perché non terrebbe alcun conto di uno di essi, quello del professionista.

L’assenza della previsione di un limite massimo di durata della misura, e dunque la durata potenzialmente illimitata della stessa, in un contesto caratterizzato dalla possibilità di sospendere il procedimento disciplinare in attesa della definizione di quello penale, e dalla ben nota lentezza dei processi giudiziari, renderebbe tendenzialmente la misura cautelare equiparabile ad una vera e propria sanzione anticipata, in assenza di qualsiasi accertamento della veridicità degli addebiti, con violazione del principio di presunzione di non colpevolezza.

La previsione di un limite massimo di durata della misura cautelare rappresenterebbe un elemento indefettibile nel complesso bilanciamento di interessi concernente la materia in questione, come si dedurrebbe anche dall’art. 13, quinto comma, della Costituzione, sui limiti massimi della carcerazione preventiva, norma che sarebbe espressione di un principio «latente nell’intero sistema».

La presenza di discipline, concernenti misure cautelari adottabili nell’ambito del processo penale, o misure cautelari amministrative riguardanti i pubblici dipendenti e varie categorie di professionisti, nelle quali è previsto un limite di durata, ovvero una durata legata al permanere di misure cautelari personali per le quali esistono limiti certi di durata, mostrerebbe un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento.

La parte conclude osservando che la legge notarile, risalente al 1913, sarebbe ispirata a criteri sostanzialmente non conformi al sistema di valori codificato nella Costituzione, ciò che avrebbe già determinato in altre occasioni la necessità dell’intervento di questa Corte in relazione ad altre disposizioni della stessa legge.

Considerato in diritto

1.- La questione sollevata investe l’art. 140 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), ai sensi del quale “può essere inabilitato all’esercizio delle sue funzioni: il notaro contro il quale si sia iniziato procedimento per contravvenzione notarile punibile con la destituzione o per alcuno dei reati indicati nell’art. 5, numero 3 [reati non colposi puniti con pena non inferiore nel minimo a sei mesi]; e il notaro contro il quale sia stata pronunciata condanna non definitiva per qualunque altro reato, a pena restrittiva della libertà personale non inferiore a tre mesi”.

Più precisamente, l’ipotesi considerata dal remittente nel giudizio a quo, e a cui la Corte ritiene di dover limitare lo scrutinio, è quella del notaio assoggettato a procedimento disciplinare (nella specie sospeso in attesa della definizione del procedimento penale instaurato per i medesimi fatti) per un addebito punibile con la destituzione.

La norma denunciata contrasterebbe con gli articoli 3 e 27, secondo comma, della Costituzione, “nella parte in cui non prevede un limite massimo di durata dell’inabilitazione notarile”. Secondo il remittente, il necessario bilanciamento fra i contrapposti interessi coinvolti – quello del professionista ad essere riammesso all’esercizio della professione e quello dell’ordine professionale a tutelare la professione sospendendo da tale esercizio il notaio accusato di gravi fatti – richiederebbe la fissazione di un limite massimo di durata della misura cautelare, in difetto del quale quest’ultima si configurerebbe come una sanzione anticipata indipendente dall’accertamento di responsabilità, in contrasto appunto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché, indirettamente, con il principio di presunzione di non colpevolezza.

La coessenzialità alla misura cautelare di un limite temporale di efficacia risulterebbe confermata, ad avviso del giudice a quo, dall’esame di altre disposizioni legislative che disciplinano misure cautelari interdittive, le quali prevederebbero o una durata massima della misura, legislativamente stabilita, ovvero una correlazione con la permanenza di una misura cautelare personale, che a sua volta non può protrarsi oltre certi limiti di durata.

2.- La questione non è fondata.

Questa Corte ha pronunciato l’illegittimità costituzionale di varie norme che prevedevano misure destitutive (sentenze n. 971 del 1988, n. 40 e n. 158 del 1990, n. 16 del 1991, n. 197 del 1993, n. 363 del 1996, n. 2 del 1999) o sospensive (sentenze n. 766 del 1988, n. 595 del 1990, n. 40 del 1990, n. 239 del 1996) a carico di dipendenti pubblici o di professionisti, applicabili automaticamente a seguito di condanne penali o dell’adozione di misure restrittive successivamente venute meno, o della semplice pendenza di un procedimento penale. Ma, in tutte queste ipotesi, la ragione dell’accertata illegittimità risiedeva nell’automatismo della misura o nel suo permanere nonostante il venir meno della situazione che l’aveva determinata.

Diverso è il caso delle misure cautelari sospensive a carattere facoltativo e discrezionale. Proprio in tema di inabilitazione dei notai, la sentenza n. 40 del 1990 ha riconosciuto bensì l’illegittimità costituzionale della norma sulla inabilitazione di diritto (art. 139, numero 2, della legge notarile), ma, appunto, nella parte in cui prevedeva che il giudice penale inabilitasse “de jure, anziché sulla base di valutazioni discrezionali, il notaio che sia stato condannato, per alcuno dei reati indicati nell’art. 5, numero 3, della legge stessa, con sentenza non ancora passata in cosa giudicata”, trasformando dunque in facoltativa quella che era una inabilitazione di diritto; mentre non ha toccato l’art. 140 sull’inabilitazione facoltativa.

Parimenti, quando la Corte ha sottolineato, in via interpretativa, l’esigenza di una durata limitata nel tempo di una misura cautelare collegata alla pendenza di un procedimento penale (sentenza n. 206 del 1999), lo ha fatto in presenza di una misura prevista dalla legge come automatica e obbligatoria, in ragione del semplice rinvio a giudizio per certi reati, senza alcuna possibilità di ponderazione di interessi da parte dell’autorità chiamata ad applicarla: ciò che, invece, non si verifica nelle ipotesi – quale quella per cui è giudizio - di misura cautelare ad applicazione facoltativa e discrezionale.

Per altro verso, la sentenza n. 447 del 1995, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990, il quale limita a cinque anni la durata della sospensione cautelare dal servizio – pur non propriamente obbligatoria - dei dipendenti pubblici disposta “a causa del procedimento penale”, ai sensi dell’art. 91, primo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, ha sottolineato la ragionevolezza di tale limitazione in relazione al fatto che si tratta di un potere di sospensione “fondato sul mero dato formale della pendenza di un procedimento penale”; e ha chiarito che, pur dopo la scadenza del termine massimo di efficacia di tale sospensione, l’amministrazione, ove sussistano gravi motivi, non più legati al dato formale della pendenza del procedimento penale, ma ad una sommaria cognizione dei fatti e a un apprezzamento delle esigenze cautelari, può avvalersi della sospensione facoltativa prevista dall'art. 92 del d.P.R. n. 3 del 1957, non soggetta al limite di durata.

3.- La inabilitazione del notaio, sottoposto a procedimento disciplinare per fatti che, se accertati, comportano la destituzione, è misura cautelare correlata, essenzialmente, all’esigenza di impedire che il notaio accusato di fatti gravi continui ad esercitare le delicate funzioni a lui affidate nelle more dell’accertamento dell’illecito, con pregiudizio per la credibilità della professione.

Si tratta di una misura per sua natura provvisoria, perché “destinata a caducarsi o ad essere revocata quando vengono a cessare le situazioni che l’hanno determinata, o ad essere sostituita con una sanzione disciplinare definitiva” (sentenza n. 40 del 1990).

Essa è di applicazione facoltativa: in tanto può essere adottata, in quanto l’autorità competente riscontri in concreto la sussistenza delle esigenze cautelari che la motivano, e può essere mantenuta solo fino a quando tali esigenze permangano.

Inoltre, l’avvio del procedimento disciplinare, anche se successivamente sospeso in attesa della definizione di quello penale, comporta una valutazione sia pure sommaria dei fatti, e la contestazione degli addebiti all’interessato, il quale è così posto in condizione di negarne la sussistenza o l’idoneità a valere come motivo della inabilitazione (cfr., per un analogo rilievo a proposito della sospensione facoltativa dei dipendenti pubblici, la sentenza n. 447 del 1995, punto 3.2 del Considerato in diritto).

La misura è altresì sempre revocabile, oltre che a seguito di accertamenti negativi dell’illecito (come quando intervenga una pronuncia, ancorché non definitiva, di proscioglimento), anche in base ad un discrezionale apprezzamento della permanenza delle esigenze cautelari, apprezzamento che può anche volgersi a valutare l’incidenza che sulle esigenze in questione abbia il tempo trascorso senza che sia intervenuto un accertamento positivo di responsabilità. E tale revocabilità sussiste indipendentemente dal fatto che si sia concluso il procedimento penale, in attesa della definizione del quale il procedimento disciplinare sia stato sospeso: onde non rileva, ai fini che qui interessano, il quesito se tale sospensione del procedimento disciplinare sia, o meno, necessaria in pendenza del procedimento penale per i medesimi fatti.

Si aggiunga, infine, che un ulteriore elemento di garanzia per il soggetto colpito dalla misura cautelare è ravvisabile nella attribuzione della competenza ad adottare (e a revocare) tale misura ad un organo giurisdizionale, sia esso il giudice penale o il tribunale civile, cui spetta l’applicazione delle sanzioni disciplinari più gravi a carico dei notai (art. 151 della legge n. 89 del 1913).

4.- In questo contesto, si deve escludere che sia costituzionalmente necessaria la determinazione di un limite massimo di durata, oltre il quale la misura non possa essere mantenuta, pur permanendo, in ipotesi, le esigenze cautelari.

Non possono dirsi dunque violati, dalla norma censurata, i principi di ragionevolezza e di proporzionalità di cui all’art. 3 della Costituzione.

Parimenti non contrasta, nemmeno indirettamente, con il principio di presunzione di non colpevolezza, di cui all’art. 27, secondo comma, della Costituzione, la previsione di una misura cautelare, che non ha natura sanzionatoria, ma è intesa a salvaguardare interessi meritevoli di tutela, suscettibili di essere pregiudicati nelle more dell’accertamento dell’illecito, ed è concretamente correlata alla sussistenza e alla permanenza di tali esigenze di salvaguardia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 140 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Palermo con la ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 2 novembre 2000.