Ordinanza n. 430/2000

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ORDINANZA N. 430

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imprese sul reddito), promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Roma sui ricorsi riuniti proposti da Marziale Michele ed altri c/ la D.R.E. per il Lazio, iscritta al n. 745 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

 Ritenuto che, nel corso di giudizi riuniti d’appello - promossi da contribuenti avverso sentenze di primo grado che avevano respinto, per intervenuta decadenza ex art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), domande di rimborso di ritenute IRPEF operate e versate dal datore di lavoro su componenti delle retribuzioni corrisposte nel periodo 1974-1990 - la Commissione tributaria regionale di Roma, con ordinanza emessa il 12 luglio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale norma «nella parte in cui pone un termine decadenziale al potere di richiedere il rimborso di illegittime ritenute alla fonte e ne sancisce la decorrenza del termine breve dal versamento eseguito dal sostituto d’imposta»;

 che, a premessa dei prospettati dubbi di incostituzionalità, la Commissione rimettente puntualizza, in fatto, che la controversia tributaria al suo esame è stata promossa nel 1995 con ricorsi avverso il silenzio-rifiuto sulle istanze amministrative di rimborso, dagli interessati avanzate (in quello stesso anno) dopo che le Sezioni unite della Corte di cassazione - risolvendo (con sentenza n. 1436 del 1994) questione di giurisdizione sorta nel corso dell’originario giudizio di risarcimento danni, instaurato davanti al giudice ordinario nel 1985 dai dipendenti contro il datore di lavoro per le errate ritenute - aveva affermato il carattere pregiudiziale del giudizio sulla legittimità della ritenuta fiscale;

 che, secondo il rimettente, il così detto favor fisci non appare più rispondente alle esigenze di giustizia sostanziale, né può continuare a giustificare disparità di trattamento a favore dell’erario, come dimostrato da recenti modifiche normative (in particolare quella introdotta dall’art. 1, comma 5, della legge 13 maggio 1999, n. 133, che ha modificato il termine de quo, elevandolo per il futuro a quarantotto mesi), nonché da sopravvenuti mutamenti giurisprudenziali in tema di rimborso delle imposte riscosse mediante versamento diretto;

 che dunque la norma censurata, nello stabilire un termine di decadenza di diciotto mesi per la domanda di rimborso, si pone in contrasto: a) con l'art. 3 Cost., per l’irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento riservata al contribuente attore in condictio indebiti, rispetto al ben più ampio termine ad agire accordato all’Amministrazione per l’accertamento tributario (ex artt. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633); b) ancora con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a quanto previsto, con riferimento ad analoga situazione, dall’art. 37 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973, che stabilisce il diverso termine prescrizionale di dieci anni, uguale a quello sancito in generale per i crediti dal codice civile; c) conseguentemente anche con l’art. 53 Cost., poiché - nella impossibilità per il contribuente sostituito di monitorare consapevolmente la regolarità delle operazioni demandate al sostituto e l’esattezza dei versamenti da questo operati all’erario - la previsione di un così breve termine si risolve in una sostanziale espropriazione, senza "giustificazione contributiva", delle somme che il sostituito ha diritto di ripetere; d) con l’art. 24 Cost., giacché - avuto riguardo, da un lato, alla mancata previsione di un obbligo del sostituto di attivarsi per il recupero della ritenuta erroneamente operata (le cui conseguenze sostanziali riguardano il solo sostituito) e, dall’altro, alla rilevata ed inderogabile pregiudizialità della causa tributaria sulla legittimità della ritenuta stessa, rispetto all’azione di risarcimento esperibile dal contribuente - la fissazione d’un identico termine per la domanda di rimborso, tanto se proposta dall’autore del versamento quanto se avanzata dal diretto interessato, praticamente viene a sancire (per il combinato disposto della norma censurata con l’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546) la irresponsabilità del primo privando il secondo della possibilità di azionare la pretesa risarcitoria;

 che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’irrilevanza della questione sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., e per la non fondatezza relativamente agli altri parametri evocati.

 Considerato che la denunciata norma - già sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale, con riferimento agli stessi parametri - è stata da questa Corte più volte ritenuta immune dai denunciati vizi;

 che, in particolare, relativamente al profilo dell'asserita ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’art. 37 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973 (dove è fissato, per la presentazione dell’istanza di rimborso delle ritenute dirette, il termine di prescrizione di dieci anni), è sufficiente qui riaffermare l’eterogeneità delle situazioni poste a raffronto (ordinanze n. 305 del 1985, n. 545 del 1987, n. 145 del 1990);

 che, infatti, gli artt. 37 e 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 afferiscono a meccanismi di riscossione del tributo aventi spiccata autonomia e caratteristiche del tutto peculiari, nel contesto dei quali la procedura di rimborso viene a trarre origine, nell’un caso (ritenuta diretta) da un comportamento erroneo riconducibile al solo ente creditore del tributo, senza alcun concorso del debitore, il quale perciò ha diritto di ripetere quanto indebitamente trattenuto; nell’altro caso (versamento diretto), da un comportamento ascrivibile allo stesso contribuente (eventualmente a mezzo di un sostituto d’imposta), sul quale grava dunque l’onere di richiedere la restituzione di quanto non dovuto entro un termine di decadenza, così operandosi un contemperamento del diritto alla restituzione con l’interesse pubblicistico di garantire la necessaria celerità di un gettito fiscale certo;

 che, pertanto, l’assenza nelle due fattispecie di caratteristiche di omogeneità che ne impongano una disciplina unitaria, porta immediatamente ad escludere la comparabilità tra di esse, al fine di individuare un vulnus al principio di uguaglianza (laddove la diversità di natura, di presupposti e di struttura delle fattispecie stesse non viene attenuata dal carattere generale dell’àmbito di operatività riconosciuto dalla giurisprudenza ai rimedi disciplinati dalle norme in esame);

 che altrettanto inidonee ad assurgere a tertia comparationis risultano le richiamate discipline degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, le quali attengono alle procedure di accertamento dei tributi da parte dell’amministrazione, rispondenti ad esigenze affatto diverse (ordinanze n. 871 del 1988 e n. 322 del 1992);

 che, riguardo poi alla dedotta lesione dell'art. 24 Cost. – anche a prescindere dalla dubbia ammissibilità della questione, la quale (nei termini prospettati) sembrerebbe estranea al thema decidendum del giudizio tributario a quo, assumendo semmai rilevanza nell'eventuale diversa controversia, di competenza dell'A.G.O., avente ad oggetto la domanda risarcitoria del contribuente sostituito nei confronti del sostituto d'imposta -, va ancora una volta ribadito, in via del tutto assorbente, che al legislatore è consentito di determinare, in relazione alle esigenze dei singoli procedimenti, le modalità di esercizio del diritto di difesa, il quale non risulta menomato dal sistema previsto dalla norma impugnata, stante la già affermata congruità del termine, in armonia col sistema tributario (sentenza n. 494 del 1991 ed ordinanza n. 5 del 1996);

 che costituisce appunto esercizio di detta discrezionalità il successivo intervento attuato con la legge 13 maggio 1999, n. 133, la quale (all’art. 1, comma 5, non applicabile ratione temporis nel giudizio a quo), ha elevato da diciotto a quarantotto mesi il termine previsto dalla norma impugnata, conservandone peraltro la natura decadenziale;

 che anche con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 53 Cost., va ancora una volta ribadito che il principio della capacità contributiva, riguardando l’idoneità del soggetto dell’obbligazione d’imposta, attiene alla garanzia sostanziale della proporzionalità dell’imposta stessa alla capacità del contribuente e non può, quindi, riferirsi alla materia del processo tributario (cfr. sentenza n. 18 del 2000 ed ordinanza n. 322 del 1992);

 che, pertanto, la sollevata questione è manifestamente infondata, con riferimento a tutti i parametri evocati.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria regionale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 ottobre 2000.