Ordinanza n. 428/2000

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ORDINANZA N. 428

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1341, secondo comma, e 1342, secondo comma, del codice civile e 4, comma 2, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), promosso con ordinanza emessa il 10 luglio 1999 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Palmieri Giuseppe e la Coscos s.r.l., iscritta al n. 629 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1999.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che il Giudice del Tribunale di Napoli, con ordinanza del 10 luglio 1999, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1341, secondo comma, 1342, secondo comma, del codice civile e 4, comma 2, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), nella parte in cui non richiede la specifica approvazione per iscritto anche delle clausole che sanciscono deroghe alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria;

  che, ad avviso del rimettente, le norme denunciate contrasterebbero: a) con l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparità di trattamento di dette clausole rispetto a quelle che sanciscono deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria (per le quali sono invece richieste la forma scritta ad substantiam e la specifica approvazione per iscritto, ove contenute in condizioni generali di contratto od in un contratto concluso mediante moduli o formulari predisposti dall'altro contraente), pur ricorrendo la medesima esigenza di indurre il contraente, che non abbia predisposto le condizioni generali di contratto, i moduli od i formulari, a meditare sull'onerosità di una pattuizione che può costringerlo al disagio di difendersi davanti ad un ufficio giudiziario privo di elementi di collegamento con il rapporto dedotto in giudizio; b) con l'art. 24 della Costituzione, per la compressione del diritto di azione del contraente debole, costretto a difendersi davanti ad un'autorità giudiziaria straniera, quale conseguenza di una scelta non effettuata in piena consapevolezza;

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o per l'infondatezza della sollevata questione: sotto il primo profilo, per la mancata affermazione, da parte del giudice a quo, della propria giurisdizione nel caso di accoglimento della questione; sotto il secondo profilo, per l'erroneità del presupposto interpretativo del rimettente, data l'equivalenza delle espressioni impiegate - a proposito della forma delle convenzioni di deroga della giurisdizione italiana - nel vigente art. 4, comma 2, della legge n. 218 del 1995 ("deroga [é] provata per iscritto") e nell'abrogato art. 2 cod. proc. civ. ("la deroga risulti da atto scritto").

  Considerato preliminarmente che risulta dall'ordinanza di rimessione sia che nel giudizio principale - promosso per ottenere il risarcimento dei danni derivati dal ritardo nella riconsegna della merce - é convenuto, oltre al vettore marittimo straniero ritenuto dall'attore responsabile dei danni, anche il raccomandatario in Italia di tale vettore; sia che il trasporto doveva essere eseguito con destinazione della merce in Italia: elementi, questi, tali da radicare la giurisdizione italiana (nell'ipotesi di invalidità della censurata clausola di deroga della giurisdizione), ai sensi dell'art. 3, comma 1, della legge n. 218 del 1995 (poichè il convenuto, privo di residenza o domicilio nello Stato, ha in Italia un rappresentante - il raccomandatario - autorizzato a stare in giudizio, a norma degli artt. 77, secondo comma, cod. proc. civ. e 287 cod. nav.), nonchè ai sensi del comma 2 dello stesso art. 3 (poichè l'obbligazione dedotta in giudizio é stata e doveva essere eseguita in Italia, tenuto conto del richiamo all'art. 5, n. 1, della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, resa esecutiva con la legge 21 giugno 1971, n. 804, applicabile "anche allorchè il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della convenzione");

  che, dunque, non ha fondamento l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale;

  che, nel merito, in mancanza di diritto vivente sul punto, il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente (cioé l'inapplicabilità degli artt. 1341 e 1342 cod. civ. alle clausole di deroga della giurisdizione, a séguito dell'entrata in vigore dell'art. 4 della legge n. 218 del 1995) non appare implausibile, ove si tenga conto del dato testuale dell'art. 4 delle legge n. 218 del 1995 (che non richiede, per tali clausole, la forma scritta ad validitatem, ma solo ad probationem), e, insieme, del dato sistematico costituito dall'art. 833 cod. proc. civ., quale introdotto dall'art. 24 della legge 5 gennaio 1994, n. 25 (secondo cui la clausola compromissoria per arbitrato internazionale contenuta in condizioni generali di contratto oppure in moduli e formulari non é soggetta all'approvazione specifica prevista dagli artt. 1341 e 1342 cod. civ.);

  che, infatti, tali sopravvenute disposizioni alterano profondamente il contesto normativo da cui muoveva l'interpretazione estensiva dell'art. 1341, secondo comma, cod. civ., in base alla quale - per la costante giurisprudenza di legittimità dell'epoca, richiamata dal rimettente - le convenzioni di deroga alla competenza giurisdizionale rientrano nelle vessatorie "deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria", stante il perfetto parallelismo allora esistente con le clausole vessatorie di compromesso arbitrale e data la previsione della forma scritta ad substantiam per i patti di deroga alla giurisdizione (così interpretato l'allora vigente art. 2 cod. proc. civ.);

  che tale mutamento normativo, dunque, ispirato dall'esigenza di favorire l'esplicazione dell'autonomia privata nella scelta della giurisdizione, limitando i requisiti formali richiesti, rende oggi praticabile l'opposta opzione ermeneutica, intesa ad escludere dalla portata precettiva degli artt. 1341 e 1342 cod. civ. le deroghe convenzionali alla giurisdizione, ormai esaustivamente regolate, quanto ai requisiti di forma, dal citato art. 4 della legge n. 218 del 1995: a nulla rilevando in contrario (date le già viste ragioni sistematiche imposte dall'art. 833 cod. proc. civ.) la circostanza della loro previsione in condizioni generali di contratto, in moduli o formulari predisposti dall'altro contraente;

  che le situazioni poste a raffronto - cioé la disciplina delle convenzioni di deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria e quella delle convenzioni di deroga della giurisdizione - sono palesemente disomogenee, perchè, se nel primo caso rilevano principalmente le esigenze di tutela del contraente più debole, nel secondo caso entrano in gioco anche esigenze di carattere internazionale, che il legislatore, nella sua discrezionalità, può ben ritenere prevalenti;

  che, in particolare, il legislatore del 1995 - nell'àmbito di una imponente tendenza alla "delocalizzazione" della giurisdizione, manifestatasi (anche per ragioni di concorrenza commerciale) negli usi del commercio internazionale, nella normativa pattizia internazionale e negli ordinamenti sovranazionali - ha dichiaratamente e legittimamente inteso favorire (come già osservato) una più libera esplicazione dell'autonomia privata nella scelta della giurisdizione; tanto più che la tutela del consumatore (quale figura socialmente più rilevante di "contraente debole") é specificamente assicurata, anche in materia di giurisdizione, da altre norme di diritto interno (artt. 1469-bis e seguenti cod. civ.) ed internazionale (v., ad es., la sezione 4 della citata convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968);

  che, pertanto, la diversità delle rationes legis impedisce, all'evidenza, di configurare la denunciata disparità di trattamento;

  che non é ravvisabile neppure la violazione del diritto di difesa, il quale é assicurato nell'àmbito della giurisdizione prescelta, tenuto conto, da un lato, del principio di tendenziale fungibilità delle giurisdizioni introdotto dall'art. 4 della legge n. 218 del 1995, e, dall'altro, della già menzionata disciplina speciale di tutela del consumatore (disciplina questa, peraltro, non applicabile nel giudizio a quo, vertente tra imprenditori in relazione ad atti compiuti nell'esercizio delle loro imprese);

  che la questione va quindi dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1341, secondo comma, 1342, secondo comma, del codice civile e 4, comma 2, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), sollevata - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - dal Giudice del Tribunale di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 ottobre 2000.