Sentenza n. 394/2000

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SENTENZA N. 394

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promossi con ordinanze emesse il 9 aprile 1999 dal Tribunale di Locri sull’istanza proposta da De Luca Raffaele, iscritta al n. 333 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1999, e il 21 dicembre 1998 dal Tribunale di Lanciano sul reclamo proposto da Rosato Rossano, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.— Il Tribunale di Locri – sezione penale, dovendo decidere sull’istanza di liquidazione del compenso professionale, presentata dall’avvocato difensore (iscritto extra districtum) nominato da un imputato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, con ordinanza del 9 aprile 1999 ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo, della Costituzione – dell’art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui impone agli imputati non abbienti di scegliere il proprio difensore fra i professionisti iscritti agli albi del distretto di Corte d’appello in cui ha sede il giudice davanti al quale pende il procedimento.

Il Tribunale ritiene che la questione sia rilevante, in quanto la norma impugnata trova diretta applicazione nel giudizio a quo, e sia non manifestamente infondata.

Deduce che, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, il citato art. 9 introdurrebbe una discriminazione ingiustificata, sia tra gli imputati non abbienti e quelli abbienti – poiché i primi devono scegliere il proprio avvocato all’interno del distretto di Corte d’appello, mentre i secondi possono nominare qualunque difensore nell’ambito del territorio nazionale –, sia tra gli stessi imputati non abbienti, alcuni dei quali potrebbero essere giudicati in un distretto dove hanno rapporti di fiducia con qualche difensore ivi esercitante, mentre altri potrebbero essere sottoposti a giudizio in un distretto in cui non hanno siffatti rapporti.

Inoltre, la limitazione introdotta dalla norma impugnata, essendo fondata sulla mera base territoriale, non sarebbe preordinata alla tutela di interessi ed al perseguimento di finalità di tale rilevanza da giustificare una così grave compressione del diritto di difesa sostanziale degli imputati privi di mezzi, sancito dall’art. 24, commi secondo e terzo, della Costituzione.

2.— Anche il Tribunale di Lanciano – sezione penale, con ordinanza emessa il 21 dicembre 1998 e pervenuta alla Corte costituzionale il 1° febbraio 2000, ha sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale, nell’ambito di un giudizio sul reclamo promosso dall’imputato avverso il decreto pretorile con il quale era stata rigettata la sua richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, a causa della nomina di un avvocato iscritto extra districtum.

Secondo il giudice a quo, la formulazione letterale dell’art. 9 della legge n. 217 del 1990 e la sua ratio ne renderebbero evidente la perdurante vigenza anche dopo l’abolizione della figura e dell’albo dei procuratori legali. La norma denunziata risulterebbe discriminatoria, poiché gli imputati abbienti potrebbero scegliere come difensore il professionista che più ispira loro fiducia, mentre quelli non dotati di mezzi potrebbero sceglierlo solo entro una rosa territorialmente limitata: la loro difesa risulterebbe così “sostanzialmente d’ufficio, anche ove formalmente di fiducia”. Ciò comporterebbe la violazione dell’art. 3, secondo comma, della Costituzione, che impone di rimuovere gli ostacoli di ordine economico che limitano di fatto l’eguaglianza dei cittadini.

Inoltre, la suddetta limitazione violerebbe anche il diritto di difesa del non abbiente, sancito dall’art. 24, commi secondo e terzo, della Costituzione: infatti, condizionare la scelta del difensore di fiducia limitandola ad un ambito territoriale (magari non coincidente con quello nel quale l’imputato vive, opera ed instaura rapporti) significherebbe privare di contenuto e di effettività il diritto al cui esercizio la scelta è finalizzata. In sintesi, la difesa inviolabile non sarebbe più tale, ove si pretendesse di apporre delle condizioni limitative al suo esercizio concreto.

Il Tribunale di Lanciano riconosce come la Corte costituzionale abbia ritenuto conformi all’art. 24, comma terzo, della Costituzione anche sistemi non del tutto adeguati alla migliore difesa dei non abbienti, ma costituenti pur sempre appositi istituti diretti a tale scopo (sentenze n. 114 del 1964, n. 97 del 1970, n. 149 del 1972, n. 35 del 1973). Tuttavia ritiene che tale orientamento meriti riconsiderazione alla luce del sistema introdotto dalla legge n. 217 del 1990, nell’ambito della quale non paiono potersi giustificare le limitazioni imposte dalla norma impugnata, che creano differenziazioni e lacune di effettività della difesa non solo tra abbienti e non abbienti, ma anche tra questi ultimi.

3.— In entrambi i giudizi di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

La difesa erariale rileva come la Corte costituzionale abbia più volte respinto questioni di legittimità costituzionale relative alla disciplina del gratuito patrocinio, di cui al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, il quale fino al 1990 costituiva attuazione dell’art. 24 della Costituzione anche per i giudizi penali.

Con l’emanazione della legge n. 217 del 1990, in tali giudizi la difesa dei non abbienti ha trovato autonoma e più coerente disciplina: il difensore è infatti scelto dallo stesso soggetto ammesso al beneficio, cui viene riconosciuta una facoltà in tal senso, ignota alla precedente disciplina. L’unica limitazione è che il difensore sia iscritto ad uno degli albi del distretto nel quale ha sede il giudice procedente, per evitare – secondo l’Avvocatura – “che la scelta ricada con maggiore frequenza su studi o difensori che abbiano peculiare notorietà”.

Detta limitazione non sarebbe dunque ingiustificata e non darebbe luogo ad alcuna ingiustificata discriminazione tra situazioni omogenee, essendo, al contrario, ragionevolmente predisposta per garantire una effettiva realizzazione del diritto di difesa.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, non vi sarebbe alcuna violazione nemmeno dell’art. 24 della Costituzione, poiché le eventuali differenziazioni di trattamento fra imputati che derivino da circostanze di mero fatto non sarebbero idonee ad incidere sulla valutazione di conformità alla Costituzione della norma impugnata.

La difesa erariale richiama conclusivamente la giurisprudenza costituzionale in materia di gratuito patrocinio, ove si è sempre sottolineato come la disciplina positiva, pur perfettibile, non contrasti comunque, nel complesso, con la Costituzione.

Considerato in diritto

1.— I Tribunali di Locri e di Lanciano hanno sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo, della Costituzione – dell’art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui impone agli imputati non abbienti di scegliere il proprio difensore fra i professionisti iscritti agli albi del distretto di Corte d’appello in cui ha sede il giudice davanti al quale pende il procedimento.

Va, quindi, disposta la riunione dei relativi giudizi di legittimità costituzionale.

2.— La questione è infondata.

Questa Corte ha precisato (sentenze n. 61 del 1996 e n. 54 del 1977) che il legislatore, nella sua discrezionalità, può stabilire criteri relativi all’ambito territoriale di esercizio della difesa tecnica, “a tutela non solo della funzionalità dell’organizzazione giudiziaria, ma anche di altri interessi meritevoli di protezione”, tra cui non possono trascurarsi le esigenze di bilancio dello Stato.

Queste esigenze, come risulta dai lavori preparatori, sono state attentamente considerate durante l’iter di formazione della legge n. 217 del 1990, in riferimento sia al costo delle prestazioni professionali dei difensori, sia al rimborso delle eventuali spese di trasferta da essi sopportate. Il disegno di legge governativo prevedeva un limite diverso da quello oggi contestato, consistente non nel divieto di nominare un difensore esercente extra districtum, ma in quello di non rimborsargli le spese per le trasferte effettuate al di fuori del distretto del giudice procedente: ciò – si legge nella relazione accompagnatoria al d.d.l. – “per far sì che la scelta si orienti su difensori con studio in località vicine a quella in cui si trova l’autorità giudiziaria competente, e contenere così l’onere per l’Erario”. Tale limite è stato poi modificato, in seguito all’approvazione alla Camera di un apposito emendamento, in quello vigente, consentendo così di rispettare maggiormente la dignità professionale dei difensori, ai quali peraltro è fatto divieto di ottenere rimborsi dall’assistito (art. 13). Inoltre, l’art. 12 della legge vieta di liquidare i compensi spettanti ad essi (nonché ai consulenti tecnici d’ufficio e di parte) in misura superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti. Entrambe tali limitazioni non oltrepassano il limite della ragionevolezza, rappresentando uno dei possibili modi di contemperamento dei principi di difesa e di uguaglianza con altre esigenze meritevoli di considerazione.

3.— Anche in riferimento all’art. 24, commi secondo e terzo, della Costituzione la restrizione territoriale di cui si discute non risulta illegittima, in quanto il diritto di difesa è sufficientemente garantito, considerando che, all’interno di ognuno dei distretti di Corte d’appello, vi è un’ampia possibilità di scelta del difensore tra i numerosi avvocati ivi esercenti, e che la garanzia costituzionale della difesa non esclude, quanto alle sue modalità, la competenza del legislatore di darvi attuazione sulla base di scelte discrezionali non irragionevoli (cfr. le sentenze n. 165 del 1993 e n. 194 del 1992). Una volta accertata la non irragionevolezza della delimitazione dell’ambito territoriale in oggetto e la sufficiente garanzia di difesa, ogni altro profilo di censura attiene a differenze di mero fatto non rilevanti nel giudizio di costituzionalità.

Né infine rileva, nella presente questione, la sopravvenuta legge 24 febbraio 1997, n. 27 che, nel perseguimento di finalità diverse rispetto a quelle cui è ispirata la legge n. 217 del 1990, ha abolito l’albo dei procuratori legali, senza far venir meno i suesposti motivi che giustificano i criteri territoriali stabiliti dalla norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 2000.