SENTENZA N. 332
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori Giudici:
- Cesare
MIRABELLI, Presidente
- Francesco
GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo
VARI
- Riccardo
CHIEPPA
- Gustavo
ZAGREBELSKY
- Valerio
ONIDA
- Carlo
MEZZANOTTE
- Fernanda
CONTRI
- Guido
NEPPI MODONA
- Franco
BILE
- Giovanni
Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3°, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza), promosso con ordinanza emessa il 17 dicembre 1997 dal TAR del Lazio sul ricorso proposto da un ex allievo finanziere contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto in fatto
1.
- Nel corso di un giudizio amministrativo promosso da un ex allievo finanziere
contro il Ministero delle finanze - per chiedere l’annullamento sia del
provvedimento con il quale il Comandante generale della Guardia di finanza ha
annullato d’ufficio l’atto di arruolamento del ricorrente, sia dell’art. 2, primo comma, terzo alinea del bando di arruolamento per allievi
finanzieri, sulla base del quale è stato adottato l’impugnato provvedimento di
autotutela - il TAR del Lazio ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3,
4, 29, 30, 31, 35, 97 e [erroneamente, solo nel dispositivo] 33 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3°,
della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento
della regia Guardia di finanza), che tra i requisiti necessari per essere
reclutati nel Corpo della Guardia di finanza include lo stato di “celibe o
vedovo senza prole”.
Il
provvedimento impugnato nel giudizio a
quo dal ricorrente, che dopo aver superato la selezione per l’arruolamento
aveva frequentato il corso per la promozione a finanziere, era stato adottato
in séguito all’accertamento che egli, in quanto padre
naturale di una bambina - nata il 12 novembre 1992 e già riconosciuta all’atto
della domanda di ammissione - non era in possesso dei requisiti prescritti
dalla disposizione del bando impugnata come atto presupposto.
Trovando
la censurata disposizione del bando di arruolamento il suo fondamento nell’art.
7, punto 3°, della legge n. 64 del 1942, la
prospettata questione di legittimità costituzionale sarebbe, afferma il TAR del
Lazio, rilevante nel giudizio a quo.
Quanto
alla motivazione della non manifesta infondatezza della questione, accogliendo
alcune delle eccezioni d’incostituzionalità sollevate ad
istanza del ricorrente, il collegio rimettente prospetta innanzi tutto il
contrasto con gli articoli 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, lamentando sia
l’assenza di una ragionevole giustificazione della disciplina denunciata, sia
la disparità di trattamento rispetto ai sottufficiali, ai graduati ed ai
militari di truppa appartenenti all’Arma dei carabinieri e al Corpo della
Guardia di finanza già in servizio, contemplati dall’art. 17 della legge 1°
febbraio 1989, n. 53 (Modifiche alle norme sullo stato giuridico e
sull’avanzamento dei vicebrigadieri, dei graduati e militari di truppa
dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza nonché disposizioni
relative alla Polizia di Stato, al Corpo degli agenti di custodia e al Corpo
forestale dello Stato).
Sotto
il primo profilo, nell’ordinanza di rimessione si legge che il riconoscimento
di un figlio naturale “non impone necessariamente anche vincoli di convivenza
del nucleo familiare e quindi determina minori obblighi rispetto alla paternità
nell’àmbito del matrimonio”. Tali obblighi, ad avviso
del giudice a quo, non sarebbero
incompatibili con la frequenza del corso di addestramento (per gli allievi finanzieri
della durata di 10 mesi).
Sotto
il secondo profilo, il TAR censura la difformità della disciplina impugnata da
quanto previsto dal citato art. 17 della legge 1°
febbraio 1989, n. 53, che prevede una deroga al divieto di contrarre matrimonio
nei primi quattro anni di servizio per “i carabinieri ed i finanzieri, gli
appuntati, i vicebrigadieri e i brigadieri” che abbiano compiuto il venticinquesimo
anno di età. A quest’ultimo riguardo, si legge nell’ordinanza di rinvio, “il
ricorrente, che aveva già compiuto venticinque anni al momento dell’adozione
dell’atto impugnato, avrebbe addirittura potuto sposarsi se fosse stato
finanziere, ma, in quanto allievo, è stato escluso
dall’arruolamento - e quindi dalla possibilità di conseguire una stabile
occupazione - solo perché non ha voluto sottrarsi al dovere morale di
riconoscere la propria figlia naturale”.
Quanto
alla questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 7, punto 3°, della legge n. 64 del 1942, sollevata in riferimento
agli articoli 2, 4, 35 e 97 della Costituzione, il TAR del Lazio si limita a
riformulare le eccezioni d’incostituzionalità sollevate nel giudizio a quo ad istanza di parte, dichiarando
per altro di ritenere meritevoli di “particolare attenzione” le questioni
prospettate dal ricorrente in riferimento agli articoli 3, 21 (recte: 29), 30 e
31 della Costituzione, questioni poi argomentate autonomamente dal giudice a quo, con le considerazioni sopra
riportate.
2.
- Nel presente giudizio costituzionale, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Premesso
che la disposizione denunciata “si colloca razionalmente in un sistema
normativo inteso a garantire il corretto inserimento, nella peculiare realtà
militare, dei neo-arruolati”, la difesa erariale osserva che l’assenza di
legami familiari costituisce un requisito tipico della formazione e
dell’addestramento iniziale del personale militare, funzionale all’interesse al
buon andamento delle istituzioni militari. A sostegno di tale affermazione,
l’Avvocatura richiama l’articolo 4 della legge 29
maggio 1967, n. 371 (Disposizioni sul reclutamento degli ufficiali in servizio
permanente della Guardia di finanza); l’articolo 11 del decreto legislativo 12
maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n.
3.
- Non si è costituito nel giudizio davanti a questa Corte il ricorrente nel
procedimento principale.
Considerato in diritto
1.
- Il TAR del Lazio dubita, in riferimento agli artt.
2, 3, 4, 29, 30, 31, 35 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale
dell’art. 7, punto 3°, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle
leggi di ordinamento della regia Guardia di finanza), che tra i requisiti
necessari per essere reclutati nel Corpo della Guardia di finanza include lo stato
di “celibe o vedovo senza prole”.
Ad
avviso del Collegio rimettente, la disposizione denunciata - abrogata e
sostituita dall’art. 6 del decreto legislativo 12
maggio 1995, n. 199, sul punto che qui interessa, per altro, riproduttivo della
disciplina denunciata, ma in vigore al momento dell’adozione dei provvedimenti
impugnati nel giudizio amministrativo a quo - sarebbe priva di
ragionevole giustificazione, giacché il riconoscimento di un figlio naturale,
da un lato, non imporrebbe “necessariamente anche vincoli di convivenza del
nucleo familiare”; dall’altro, determinerebbe “minori obblighi rispetto alla
paternità nell’àmbito del matrimonio”, compatibili
con la frequenza del corso di addestramento per allievi finanzieri.
La
medesima disciplina si porrebbe poi in contrasto con il principio di
eguaglianza, in quanto difforme, in particolare,
dall’art. 17 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, che prevede una deroga al
divieto di contrarre matrimonio nei primi quattro anni di servizio per “i carabinieri
ed i finanzieri, gli appuntati, i vicebrigadieri e i brigadieri” che abbiano
compiuto il venticinquesimo anno di età.
2.
- La questione di legittimità costituzionale è fondata.
2.1.
- Occorre tuttavia premettere che non tutte le argomentazioni prospettate
nell’ordinanza possono essere condivise.
Certamente
non si può condividere l’assunto secondo il quale il riconoscimento di un
figlio naturale determinerebbe “minori obblighi rispetto alla paternità nell’àmbito del matrimonio”. In più di un’occasione, la
giurisprudenza costituzionale ha censurato il tradizionale disfavore verso la
filiazione naturale (da ultimo, sentenza n. 250 del
2000) e ha sottolineato la pienezza della
responsabilità e dei doveri che, in base alla Costituzione, derivano per il
genitore dal riconoscimento di un figlio naturale. Ancora di recente, questa
Corte ha chiarito che la posizione giuridica dei genitori nei rapporti tra di
loro, in relazione al vincolo coniugale, non può
determinare una condizione deteriore per i figli, perché quell’insieme di regole,
che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano
negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole,
trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione, che richiama i genitori alla
loro responsabilità; in altri termini - anche nello spirito della riforma del
diritto di famiglia del 1975 – l’esistenza del vincolo sorto tra i genitori non
costituisce più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli,
legittimi e naturali riconosciuti, identico essendo il contenuto dei doveri,
oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri (sentenza n. 166 del
1998).
2.2.
- Nondimeno, il contrasto della disciplina impugnata con gli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione sussiste, non potendosi ravvisare,
neppure nella delicata fase del reclutamento e dell’addestramento, un’esigenza
dell’organizzazione militare così preminente da giustificare una limitazione
del diritto di procreare, o di diventare genitore, sia pure prevista ai
limitati fini dell’arruolamento e dell’ammissione ai reparti di istruzione. Una
così grave interferenza nella sfera privata e familiare della persona -
suscettibile di protrarsi eventualmente anche oltre il periodo di formazione
del militare, durante i primi anni dopo l’assunzione del servizio permanente -
non può, sul piano dei princìpi costituzionali, ritenersi
giustificata dall’intensità e dall’esigenza di tendenziale esclusività
del rapporto di dedizione che deve legare il militare in fase di istruzione al
corpo di appartenenza, dovendo la necessaria continuità nella frequenza dei
corsi di addestramento trovare garanzia in regole e rimedi diversi dal divieto
di avere prole.
Un
divieto siffatto si pone in contrasto con i fondamentali diritti della persona,
sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, tutelando l’art. 2 della Costituzione
l’integrità della sfera personale della stessa e la sua libertà di autodeterminarsi
nella vita privata. Ripetutamente, del resto, questa Corte ha chiarito, da un lato,
che “la Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e riconduce
anche quest’ultimo nell’àmbito del generale ordinamento
statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e
processuali di tutti i cittadini” (sentenza n. 278 del
1987); dall’altro, che la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono
titolari i singoli “cittadini militari” non recede di fronte alle esigenze della
struttura militare (da ultimo, sentenza n. 449 del
1999).
2.3.
– Né si potrebbe giustificare la disciplina in esame in base all’art. 51 della Costituzione, che affida alla legge la determinazione
dei requisiti per l’accesso ai pubblici uffici.
La
mancanza di prole non può costituire requisito attitudinario,
traducendosi invece la sua previsione in una indebita
limitazione dei diritti della persona.
2.4.
- Da quanto precede, consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3°, della legge 29 gennaio 1942, n. 64, nella parte
in cui include, tra i requisiti necessari per essere reclutati nel Corpo della
Guardia di finanza, l’essere senza prole.
La
declaratoria d’incostituzionalità non può estendersi all’intera disposizione
denunciata, che richiede, accanto all’assenza di prole, anche il requisito del
celibato o dello stato di vedovo. Il collegio rimettente non ha infatti prospettato dubbi di costituzionalità in merito.
Rimangono assorbiti gli ulteriori
profili prospettati nell’ordinanza di rimessione.
3. - In applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale deve estendersi ad una serie di disposizioni legislative
ulteriori, di contenuto identico o analogo a quello della disposizione
impugnata dal TAR del Lazio con l’ordinanza in epigrafe. Si
tratta di norme sull’accesso a vari gradi e ruoli della Guardia di finanza e
delle Forze armate, o disciplinanti l’ammissione ai relativi concorsi e corsi
di formazione e addestramento, tralatiziamente
iterative del tradizionale requisito dell’assenza di prole, la cui
incompatibilità con i princìpi costituzionali è stata
ritenuta, nella presente decisione, a tutela dell’integrità della sfera
personale dell’individuo e della sua libertà di autodeterminarsi nella vita
privata, indipendentemente dal tipo di organizzazione militare alla quale si
tratti di accedere.
Deve pertanto essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale conseguenziale
dell’art. 9, secondo comma, lettera b) del r.d.l. 14 giugno 1923, n. 1281
(Provvedimenti per la regia Guardia di finanza), come sostituito dall’art. 4
del r.d.l. 24 luglio 1931, n. 1223, nella parte in cui include, tra i requisiti
necessari per essere reclutati nella Guardia di finanza, l’essere senza prole;
dell’art. 35, primo comma, della legge 10 giugno 1964, n. 447 (Norme per i
volontari dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica e nuovi organici dei
sottufficiali in servizio permanente delle stesse forze armate), nella parte in
cui richiede, come condizione per l’ammissione ai vincoli annuali di ferma,
l’essere senza prole; dell’art. 4, primo comma, lettera a) della legge 29 maggio 1967, n. 371 (Disposizioni sul reclutamento
degli ufficiali in servizio permanente della Guardia di finanza), nella parte
in cui include, tra i requisiti necessari per essere ammessi al corso di cui al
precedente art. 2, numero 1), l’essere senza prole; dell’art. 5, primo comma,
numero 4) della legge 10 maggio 1983, n. 212 (Norme sul reclutamento, gli
organici e l'avanzamento dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina,
dell'Aeronautica e della Guardia di finanza) - abrogato dall’art. 40 del d. lgs. n. 196 del 1995 - nella parte in cui include, tra i
requisiti necessari per partecipare all’arruolamento di cui al precedente art.
4, l’essere senza prole; dell’art. 11, comma 2, lettera a), numero 3 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196
(Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n.
Alle su elencate disposizioni deve estendersi in via conseguenziale
la declaratoria di incostituzionalità, trattandosi di previsioni legislative
del medesimo requisito dell’assenza di prole - ai fini dell’accesso ai corsi di
addestramento ed ai ruoli della Guardia di finanza e delle Forze Armate -
censurato dal giudice a quo e
ritenuto da questa Corte, con la presente sentenza, contrastante con gli artt.
2, 3, 30 e 31 della Costituzione, sotto i profili sopra indicati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3°,
della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento
della regia Guardia di finanza) nella parte in cui include, tra i requisiti
necessari per essere reclutati nel Corpo della Guardia di finanza, l’essere
senza prole;
b) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, lettera b) del r.d.l. 14 giugno 1923, n. 1281
(Provvedimenti per la regia Guardia di finanza), come sostituito dall’art. 4
del r.d.l. 24 luglio 1931, n. 1223, nella parte in cui include, tra i requisiti
necessari per essere reclutati nella Guardia di finanza, l’essere senza prole;
c) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, primo comma, della legge 10
giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari dell'Esercito, della Marina e
dell'Aeronautica e nuovi organici dei sottufficiali in servizio permanente
delle stesse forze armate), nella parte in cui richiede, come condizione per
l’ammissione ai vincoli annuali di ferma, l’essere senza prole;
d) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera a) della legge 29 maggio 1967, n. 371 (Disposizioni
sul reclutamento degli ufficiali in servizio permanente della Guardia di finanza),
nella parte in cui include, tra i requisiti necessari per essere ammessi al
corso di cui al precedente art. 2, numero 1), l’essere senza prole;
e) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, primo comma, numero 4) della
legge 10 maggio 1983, n. 212 (Norme sul reclutamento, gli organici e
l'avanzamento dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e
della Guardia di finanza) - abrogato dall’art. 40 del d. lgs.
n. 196 del 1995 - nella parte in cui include, tra i requisiti necessari per
partecipare all’arruolamento di cui al precedente art. 4, l’essere senza prole;
f) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, lettera a), numero 3 del decreto legislativo 12
maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n.
g) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 12 maggio
1995, n. 199 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n.
h) dichiara,
in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto
legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento su
base volontaria, stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile
nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell'articolo
1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380), nella parte in cui include,
tra i requisiti necessari per la partecipazione ai concorsi per l’ammissione ai
corsi regolari delle accademie e di quelli degli istituti e delle scuole di
formazione, e tra i requisiti che debbono essere posseduti all’atto
dell’ammissione ai corsi e mantenuti fino al transito in servizio permanente o
all’acquisizione della qualifica di aspirante, l’essere senza prole.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio
2000.
Cesare
MIRABELLI, Presidente
Fernanda
CONTRI, Redattore
Depositata
in cancelleria il 24 luglio 2000.