Sentenza n. 292/2000

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SENTENZA N. 292

ANNO 2000

Commento alla decisione di

Giovanni Virga

Un guscio sempre più vuoto (ma che potrebbe essere presto riempito

(per gentile concessione della Rivista telematica Lexitalia.it)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e degli artt. 33, 34 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promossi con ordinanze emesse il 29 gennaio 1999 dal Pretore di Roma, il 15 aprile 1999 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, l'11 maggio 1999 dal Giudice di pace di Palermo, il 16 settembre e il 26 luglio 1999 dal Tribunale di Roma e il 12 gennaio 2000 dal Tribunale di Vibo Valentia, sezione distaccata di Tropea, rispettivamente iscritte ai nn. 252, 394, 495, 659 e 704 del registro ordinanze 1999 e al n. 195 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 29, 39, 50 e 52, prima serie speciale, dell'anno 1999 e n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2000.

  Visto l'atto di costituzione dello Studio radiologico Maurizi Enrici s.r.l., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2000 il Giudice relatore Franco Bile;

  uditi l'avvocato Giandomenico Barcellona per lo Studio radiologico Maurizi Enrici s.r.l. e l'avvocato dello Stato Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 1. - Con l’ordinanza n. 252 del 1999, il Pretore di Roma – al quale la s.r.l. Studio radiologico Maurizi Enrici, operante in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, aveva chiesto l’emissione di un decreto ingiuntivo contro l’Azienda USL di Roma e provincia per il rimborso di prestazioni specialistiche erogate in favore di privati - ha sollevato, in sede di verifica dell’esistenza della propria giurisdizione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in riferimento agli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione, per eccesso di delega rispetto all’art.11, comma 4, lettera g), della legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).

 1.1.- L’eccesso di delega si sarebbe verificato, in quanto, mentre la legge di delegazione prevedeva soltanto l’estensione della giurisdizione amministrativa ai diritti patrimoniali conseguenziali in materia di urbanistica, edilizia e dei servizi pubblici, il legislatore delegato ha invece creato in tali materie nuove giurisdizioni esclusive del giudice amministrativo; ed in particolare l’art. 33 ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di servizi pubblici, ivi comprese quelle riguardanti le attività e le prestazioni occorrenti per il loro espletamento, fra cui quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale.

  Confrontando il tenore della legge di delegazione e della legge delegata, sotto il profilo teleologico emergerebbe che il legislatore delegante avrebbe voluto semplificare e razionalizzare il contenzioso riguardante le pubbliche amministrazioni, modificando il riparto di giurisdizione, da un lato con il trasferire al giudice ordinario la materia del pubblico impiego e, dall’altro, sia a fini di compensazione, sia a fini di semplificazione della tutela del privato nelle materie indicate nella lettera g) - caratterizzate da una situazione in cui, in base alla disciplina della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. (Contenzioso amministrativo) e dell’art. 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), il privato leso dall’azione della pubblica amministrazione doveva prima adire il giudice amministrativo per far dichiarare l’annullamento dell’atto e poi il giudice ordinario per ottenere il risarcimento del danno, con un doppio binario di giurisdizione – realizzare l’unificazione della tutela in tali casi avanti al giudice amministrativo, al fine di velocizzarla, concentrando avanti ad esso sia i poteri di annullamento dell’atto illegittimo che di condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno.

 1.2.- Anche l’interpretazione letterale della legge di delegazione condurrebbe al medesimo risultato, una volta considerato il significato che – soprattutto nell’ultimo decennio - il concetto di diritti patrimoniali conseguenziali avrebbe assunto nella giurisprudenza della Corte di cassazione.

 1.3.- La conclusione che la legge delega non consentiva di creare una nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sarebbe, del resto, rafforzata dalle risultanze dei lavori parlamentari.

 2.- Con le ordinanze n. 659 e n. 704 del 1999 il Tribunale di Roma – adìto separatamente da due diverse società con ricorsi per decreto ingiuntivo per il pagamento di crediti per forniture di articoli sanitari fatte all’Azienda USL RM/C – ha sollevato la medesima questione di cui all’ordinanza n. 252 del 1999, con motivazioni che sostanzialmente svolgono argomenti non dissimili.

 3.- Con l’ordinanza n. 495 del 1999 il Giudice di pace di Palermo - in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo introdotto dall’Azienda USL di Palermo, avverso un decreto ingiuntivo nei suoi confronti ottenuto dal titolare di una farmacia, per un credito da fornitura di presìdi ed ausili sanitari eseguita ad un soggetto invalido, su autorizzazione della detta azienda - ha sollevato d’ufficio due gradate questioni – ognuna a sua volta pluriarticolata - e precisamente:

 a) in via principale - per violazione dell’art. 77, primo comma, della Costituzione, dovuta ad eccesso della delega di cui all’art. 11, comma 4, lettera g) della legge n. 59 del 1997 (interpretata nel senso che, ferme le ipotesi di giurisdizione esclusiva già esistenti, avrebbe voluto estenderla alle questioni relative a diritti patrimoniali conseguenziali, ivi compreso il risarcimento del danno, <<nei già definiti confini delle materie dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici>>) - questione di costituzionalità: a1) dell’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti al servizio farmaceutico, senza far salva la giurisdizione ordinaria <<per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi>>; a2) dell’art. 33, comma 2, lettera f) - nella parte in cui, affermata la competenza del giudice amministrativo a conoscere con giurisdizione esclusiva delle questioni aventi ad oggetto le prestazioni patrimoniali rese nell’espletamento dei servizi pubblici, fra cui il Servizio sanitario nazionale, <<non esclude dalla predetta competenza le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi>> - e del comma 3 del medesimo articolo, nella parte in cui, sopprimendo le parole <<o di servizi>> contenute nell’art. 5, primo comma, della legge n. 1034 del 1971, senza mantenere in vita il disposto del secondo comma dello stesso articolo, avrebbe implicitamente eliminato tale disposizione, connessa a quella del primo comma; a3) dell’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 80 del 1998, laddove, nel sostituire il terzo comma dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971, dopo il deferimento alla giurisdizione esclusiva della materia dei servizi pubblici, non ha riservato all’autorità giudiziaria ordinaria le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi in ordine alle concessioni di servizi;

 b) in via subordinata, questione di costituzionalità dello stesso art. 11, comma 4, lettera g), seconda parte, per violazione dell’art. 76 della Costituzione, in quanto avrebbe abilitato il Governo a ridefinire senza predeterminazione dell’oggetto i confini fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa nelle materie dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici, nonché, senza fissazione dei criteri direttivi, a ridefinire quei confini quanto alle controversie relative ad indennità, canoni ed altri corrispettivi in materia di servizi pubblici, ivi compreso quello farmaceutico.

 4.- Con l’ordinanza n. 394 del 1999 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina - nel corso di un giudizio instaurato da un soggetto che, dopo aver visto declinare la giurisdizione da parte del giudice ordinario, aveva impugnato, per violazione di legge, eccesso di potere e travisamento dei fatti, chiedendone l’annullamento, il provvedimento con cui il direttore dell’Azienda USL di Latina gli aveva negato la somministrazione gratuita di somatostatina, non rientrando più nei protocolli consentiti la patologia tumorale dalla quale era affetto - ha sollevato in primo luogo questione di costituzionalità – per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione - dell’art. 33, comma 2, lettera f) del d.lgs. n. 80 del 1998, lamentando che nell’eseguire la delega di cui alla legge n. 59 del 1997, il legislatore delegato, dopo avere affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tutte le controversie in materia di servizi pubblici, abbia escluso dal novero di esse i rapporti individuali di utenza con soggetti privati, senza che nella legge di delegazione – ove la si interpreti nel senso che consentisse la creazione di una giurisdizione esclusiva – si potesse cogliere simile limitazione.

 4.1.- In via subordinata il Tribunale amministrativo regionale ha sollevato, invece, la questione di costituzionalità dell’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, in relazione agli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione, per eccesso di delega e precisamente per essere stata creata la giurisdizione esclusiva sui servizi pubblici senza che la norma delegante lo consentisse, adducendo che la delega prevedeva solo che al giudice amministrativo fosse attribuita la cognizione sui diritti patrimoniali conseguenziali in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici.

 4.2.- In via ulteriormente subordinata, il rimettente – per il caso che effettivamente la legge delegante si dovesse leggere nel senso di consentire la creazione di ipotesi di giurisdizione esclusiva – ha impugnato direttamente la delega, cioè l’art. 11, comma 4, lettera g): aa) per violazione dell’art. 76 della Costituzione, in quanto l’oggetto della delega non sarebbe stato definito, non avendo il legislatore individuato quali servizi pubblici dovevano trasferirsi ed essendo inammissibile una delega <<aperta>>, e neppure specificato il loro contenuto; bb) per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di ragionevolezza, in quanto il legislatore delegante, modificando il precedente assetto normativo, avrebbe reso più incerta la giurisdizione, <<con riflessi negativi sull’applicazione del principio di uguaglianza dei cittadini nel momento in cui intendono avvalersi>> della tutela giurisdizionale; cc) per conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost.

 Secondo il rimettente una volta ritenuta l’incostituzionalità della legge delega, resterebbe travolto anche l’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998.

 5. - Con l’ordinanza n. 195 del 2000 - nel corso di un giudizio sull’opposizione proposta dall’ASL n. 8 di Vibo Valentia avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal titolare di una farmacia per il rimborso di spese anticipate per somministrazione di farmaci al pubblico, nell’ambito di un rapporto di convenzionamento - il Tribunale di Vibo Valentia, sezione distaccata di Tropea, ha sollevato questione di costituzionalità degli articoli 33, 34 e 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, nella parte in cui attribuirebbero al giudice amministrativo la cognizione delle controversie aventi carattere patrimoniale tra la pubblica amministrazione ed i farmacisti, <<o comunque gli incaricati di pubblico servizio>>, per violazione degli articoli 3, 103 e 113 della Costituzione.

 Sull’eccezione dell’ASL di difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria il rimettente ha ritenuto che in base agli articoli impugnati – e particolarmente alla menzione dei servizi farmaceutici contenuta nell’art. 33 – la controversia fra farmacista ed ASL competa al giudice amministrativo.

 5.1.- Sulla base di tale convincimento, il rimettente osserva che, avendo la distinzione fra interessi e diritti dignità costituzionale, una distribuzione della giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario imperniata solo sul criterio della materia finirebbe per annullare del tutto la differenza fra le due situazioni giuridiche, senza che ciò possa ritenersi consentito dall’art. 103 della Costituzione.

 Inoltre, nonostante l’assenza in Costituzione di criteri di individuazione della giurisdizione esclusiva, il legislatore nel prevedere una simile giurisdizione dovrebbe rispettare ogni canone costituzionale che possa rilevare nella materia di cui trattasi, come la parità di trattamento ed il diritto di difesa e, in ragione della correlazione di detta giurisdizione a casi particolari, dovrebbe individuare le ragioni costituzionali della sua scelta.

 Nella specie questi principi non sarebbero stati rispettati.

 In punto di rilevanza il rimettente osserva che senza la soluzione della censura sollevata non può decidere sulla questione di giurisdizione.

 6.- In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato.

 6.1.- Nei giudizi di cui alle ordinanze n. 252, 659 e 704 del 1999 la difesa erariale ha eccepito che la questione sarebbe inammissibile, in quanto sollevata da giudice carente di giurisdizione al solo fine di contestare la giurisdizione attribuita ad altro giudice, ed infondata, in quanto la norma dell’art. 11, comma 4, lettera g) della legge n. 59 del 1997, nel prevedere l’estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, avrebbe presupposto l’attribuzione nelle materie ivi pure contemplate di una giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, poiché i suddetti diritti costituivano un limite proprio della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

 6.2.- Nel giudizio di cui all’ordinanza n. 394 del 1999 l’Avvocatura dello Stato ha dedotto: a) che tutte e tre le questioni gradatamente sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sarebbero inammissibili, in quanto il rimettente riconosce di non avere potestas iudicandi sotto il profilo della giurisdizione e, dunque, non potrebbe censurare le norme che, <<a suo stesso avviso, devolvono la giurisdizione al giudice ordinario>>; b) che la seconda e la terza questione sarebbero comunque irrilevanti, <<posto che in entrambi i casi verrebbe contestata la giurisdizione del giudice amministrativo medesimo, già comunque esclusa specificamente per il rapporto dedotto in giudizio>>; c) che le questioni sarebbero in ogni caso infondate.

 6.3.- Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 495 del 1999, la difesa erariale ha contestato la sussistenza dell’eccesso di delega ed ha dedotto che i diritti patrimoniali conseguenziali costituivano un limite generale al concetto di giurisdizione esclusiva <<nel quale limite rientravano anche le controversie su canoni, indennità e corrispettivi>>. La questione relativa alla stessa legge delega sarebbe, d’altro canto, infondata, posto che il riferimento ai diritti patrimoniali conseguenziali avrebbe soddisfatto l’art. 76.

 6.4.- Nella memoria relativa al giudizio n. 195 del 2000 la difesa erariale osserva anzitutto che dal testo dell’ordinanza di rimessione non risulterebbe che essa sia stata notificata anche alle parti in causa e sostiene l’irrilevanza e l’infondatezza della questione sollevata.

 7.- Nel giudizio di cui all’ordinanza n. 252 si è costituita la parte privata s.r.l. Maurizi Enrici, chiedendo l’accoglimento della questione di costituzionalità per l’eccesso di delega, nel presupposto – dimostrato anche dai lavori parlamentari - che la legge delega consentisse solo l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione sui diritti patrimoniali conseguenziali nelle materie indicate (servizi, edilizia e urbanistica), al fine di unificare avanti a detto giudice il ristoro dei diritti patrimoniali e l’annullamento dell’atto illegittimo e, quindi, di agevolare i ricorrenti, dispensandoli dall’adire due giurisdizioni diverse, così come erano costretti a fare per il fatto che nelle materie in questione, anche laddove esisteva giurisdizione esclusiva i diritti patrimoniali conseguenziali competevano all’autorità giudiziaria ordinaria ex art. 7 della legge n. 1034 del 1971 (e così – in materia di concessioni di beni o di servizi – i diritti di pagamento di indennità, canoni ed altri corrispettivi).

Considerato in diritto

 1. – I giudizi - ponendo questioni identiche o comunque relative alle stesse norme - possono essere riuniti.

 2. – L’Avvocatura dello Stato ha eccepito che le questioni di cui alle ordinanze n.252, 394 e 704 sarebbero inammissibili per irrilevanza, in quanto sollevate da giudici carenti di giurisdizione. L'eccezione è infondata, perché le questioni investono proprio le norme che, a dire dei rimettenti, sottrarrebbero loro la giurisdizione.

 2.1. - Quanto alle questioni sollevate dalle ordinanze n.659 e 704, la valutazione del Tribunale di Roma - secondo cui la carenza di giurisdizione sarebbe emendabile solo con la pronuncia di incostituzionalità - non è inficiata da un sopravvenuto orientamento della giurisprudenza di legittimità, che potrebbe condurre all’affermazione della giurisdizione ordinaria, non potendo ravvisarsi al riguardo un diritto vivente.

2.2. - Circa l’ordinanza n. 394 l’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità, per irrilevanza, della seconda e della terza questione sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

L’eccezione è fondata. Il rimettente ha anzitutto impugnato l’art.33, comma 2, lettera f), del decreto legislativo n.80 del 1998, che, eccettuando dalla giurisdizione esclusiva sui pubblici servizi i <<rapporti individuali di utenza con soggetti privati>>, lo renderebbe privo di giurisdizione. Le altre due questioni - sull’art.33, comma 1, dello stesso decreto e sull’art.11, comma 4, lettera g), della legge di delega n.59 del 1997 - sono manifestamente inammissibili, per irrilevanza, perché proposte subordinatamente al rigetto della prima, da cui deriverebbe appunto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

 2.3. - Sono manifestamente inammissibili per irrilevanza anche le questioni sollevate dall’ordinanza n. 195 sugli artt. 34 e 35 del decreto n.80 del 1998: il giudizio a quo non concerne la materia di cui all’art.34, né ha ad oggetto pretese considerate dall’art.35.

 3. - Si deve preliminarmente esaminare la questione relativa all'art. 11, comma 4, lettera g), seconda parte, della legge n.59 del 1997, che secondo l'ordinanza n. 495 avrebbe violato l’art. 76 della Costituzione, delegando il Governo a ridefinire i confini fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa nella materia dei servizi pubblici, senza predeterminazione dell’oggetto e senza fissazione dei criteri direttivi.

La questione non è fondata.

La legge si inserisce in un ampio disegno di riforma della pubblica amministrazione, con importanti ricadute sul riparto della giurisdizione, che ha iniziato a delinearsi con la legge 23 ottobre 1992, n.421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), seguita dal decreto legislativo delegato 3 febbraio 1993, n. 29. Per la piena attuazione della riforma, la legge 15 marzo 1997, n.59, ha previsto all’art.11, comma 4, l’emanazione di ulteriori disposizioni integrative e correttive, in conformità (fra l’altro) ad una serie di princìpi e criteri analiticamente indicati.

 Fra essi l’art. 11, alla lettera g) del comma citato, contemplava la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sui rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e <<infine, la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici>>.

 3.1. - La valutazione di conformità di una legge di delega all’art. 76 della Costituzione – secondo cui <<l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di princìpi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato ed oggetti definiti>> - non può prescindere dalle finalità ispiratrici della delega e dal suo complessivo contenuto normativo. L’esigenza della determinazione di princìpi e criteri direttivi e della definizione dell’oggetto della delega è tanto più pressante quanto meno delimitato e specifico è il compito affidato al legislatore delegato.

 D’altro canto anche per le leggi di delega vale il fondamentale canone per cui deve essere preferita l’interpretazione che le ponga al riparo da sospetti di incostituzionalità.

 3.2. – Dai lavori parlamentari – il ricorso ai quali può essere rilevante per accertare le finalità perseguite dalla legge di delega e la portata dei princìpi e dei criteri da essa enunciati – risultano sicuramente due indicazioni.

 In primo luogo il legislatore delegante intendeva rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo – nell’esercizio della giurisdizione, sia di legittimità che esclusiva, di cui era già titolare in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici – non solo la fase del controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche (ove configurabile) quella della riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, evitando per esso la necessità di instaurare un successivo e separato giudizio innanzi al giudice ordinario.

 In secondo luogo la delega intendeva perseguire tale risultato senza ampliare nelle suddette tre materie l’ambito delle esistenti giurisdizioni esclusive. Per due volte infatti fu formulata la proposta di delegare il Governo a trasferire le tre materie in questione alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ed entrambe le volte essa non ebbe seguito, onde fu approvato definitivamente un testo che di giurisdizione esclusiva non parla.

 3.3. – L’Avvocatura dello Stato afferma tuttavia che la legge n. 59 del 1997, prevedendo nelle citate tre materie l’attribuzione delle controversie relative ai <<diritti patrimoniali conseguenziali>> al giudice amministrativo, mirava implicitamente ma necessariamente a devolvere quelle materie alla sua giurisdizione esclusiva: la categoria enunciata sarebbe infatti così strutturalmente legata alla giurisdizione esclusiva, da non essere configurabile senza di essa.

 L’argomento non è fondato.

 E’ certamente vero che, quando emersero come concetto normativo, i <<diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre>> - così l’art. 9 del r.d. 30 dicembre 1923, n.2840 (Modificazioni all’ordinamento del Consiglio di Stato e della giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale), il cui testo fu poi trasfuso nell’art.30 del r.d.26 giugno 1924, n.1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e sostanzialmente riprodotto dall’art.7 della legge 6 dicembre 1971, n.1034, sui tribunali amministrativi regionali - fungevano da limite esterno alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo la loro cognizione riservata al giudice ordinario.

 Ma, affermatasi la configurazione della giurisdizione esclusiva quale giurisdizione sul rapporto, tali diritti (come rivela l’analisi della giurisprudenza) hanno finito per identificarsi con le pretese risarcitorie legate al rapporto da un nesso di mera occasionalità, e quindi per presentare contenuti sostanzialmente non dissimili dalle pretese miranti al risarcimento del danno da attività amministrativa soggetta alla giurisdizione generale di legittimità. Infatti – a parte le implicazioni della recente evoluzione della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di <<danno ingiusto>> - la risarcibilità del danno ricollegabile all’adozione di un atto amministrativo, considerato illegittimo in sede di giurisdizione di legittimità, integrante gli estremi dell’illecito civile, era già ammessa, ad esempio nel caso del cosiddetto <<affievolimento>> del diritto soggettivo seguìto dalla successiva riespansione.

 Di siffatto percorso evolutivo il legislatore delegante del 1997 ha evidentemente tenuto conto quando – recuperando la nozione di <<diritti patrimoniali conseguenziali>>, per estendere ad essi la giurisdizione esercitata dal giudice amministrativo nelle materie in questione – vi ha esplicitamente compreso il diritto al risarcimento del danno, così confermando che finalità della delega era l'attribuzione al giudice amministrativo – nei limiti in cui già conosceva di quelle materie – della giurisdizione anche per la conseguenziale tutela risarcitoria, prima riservata al giudice ordinario.

 Ove invece il legislatore delegante avesse voluto istituire nuove giurisdizioni esclusive, avrebbe dovuto – per rispettare l’art.76 della Costituzione - definire i limiti della <<materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici>>, non contemplata normativamente e quindi formalmente non identificata, ed assegnare al Governo princìpi e criteri direttivi per procedere a tale individuazione.

 3.4. – Si deve quindi conclusivamente ritenere che l’<<estensione>> della giurisdizione amministrativa esistente, tanto di legittimità che esclusiva, era il compito assegnato al legislatore delegato; i <<diritti patrimoniali conseguenziali>>, in essi compreso il risarcimento del danno, erano l’oggetto (normativamente individuato) di tale estensione; e le tre materie dell’edilizia, urbanistica e servizi pubblici si ponevano come l’ambito all’interno del quale la giurisdizione amministrativa doveva essere estesa.

 3.5. – Pertanto nella legge di delega n.59 del 1997 il compito affidato al legislatore delegato si presentava sufficientemente determinato, al punto da non esigere ulteriori precisazioni di dettaglio.

 Ne consegue l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.11, comma 4, lettera g), seconda parte, della legge n.59 del 1997, proposta dall’ordinanza n. 495 in riferimento all’art. 76 della Costituzione.

 4. – Le ordinanze nn. 252, 659 e 704 propongono nei medesimi termini la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto n. 80 del 1998, sotto il profilo dell’eccesso rispetto alla legge di delega (art. 11, comma 4, lett. g), della legge n. 59 del 1997): la norma censurata, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l’intera materia dei pubblici servizi, avrebbe violato gli artt. 76 e 77 della Costituzione, poiché la legge di delega non lo consentiva, prevedendo solamente l’estensione, nella stessa materia, della giurisdizione amministrativa alle controversie sui diritti patrimoniali conseguenziali, compreso il risarcimento del danno.

 L’ordinanza n. 495 denunzia, invece, l’art. 33 sotto lo specifico profilo che esso, attribuendo alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie sui pubblici servizi, non riserva al giudice ordinario quelle <<concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi>> in materia di concessioni di servizi; ed estende la censura anche al comma 2, lettera f), ed al comma 3 dello stesso art.33, applicativi del principio.

 5. – La questione posta dalle ordinanze nn. 252, 659 e 704 è fondata.

 L’art. 33 ha previsto nel comma 1 che <<sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481>> ed ha nel comma 2 formulato un’elencazione non tassativa di tali controversie.

 Poiché l’art. 11, comma 4, lett. g), della legge n.59 del 1997 – in base alle considerazioni svolte in precedenza – non consentiva l’ampliamento della giurisdizione esclusiva all’intero ambito della materia dei servizi pubblici, l’eccesso di delega denunciato dai rimettenti, con conseguente violazione degli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione, è palese.

 Pertanto l’art. 33, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, eccedendo i limiti della delega, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la materia dei pubblici servizi, e non si è limitato ad estendere la giurisdizione amministrativa – nei limiti in cui essa, in base alla disciplina vigente, già conosceva di quella materia, sia a titolo di legittimità che in via esclusiva - alle controversie concernenti i diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno.

 La dichiarazione di illegittimità costituzionale coinvolge anche il comma 2 dell’art. 33, che ha specificato, in via esemplificativa, il contenuto dell’ampliato ambito della giurisdizione esclusiva.

 5.1. - La declaratoria di incostituzionalità comporta l’assorbimento della questione proposta dall’ordinanza n. 495 in ordine ai commi 1 e 2, lettera f), dell’art. 33, sotto il più limitato profilo prima ricordato.

 5.2. - In accoglimento della censura espressamente proposta dalla medesima ordinanza n. 495, va invece dichiarato illegittimo il comma 3 dell'art. 33, il quale – modificando l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 - comportava (conformemente alla previsione di una giurisdizione esclusiva su tutta la materia dei servizi pubblici) l'effetto di sottrarre le concessioni di servizi, già oggetto di giurisdizione esclusiva, all'applicazione del secondo comma del medesimo art. 5, che faceva <<salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi>>.

 Infatti la devoluzione di tali controversie alla giurisdizione esclusiva sulle concessioni di servizi eccede i limiti della delega come sopra ricostruiti, trattandosi di controversie inerenti a pretese direttamente nascenti dal rapporto di concessione e quindi non riconducibili alla nozione di diritti patrimoniali conseguenziali, quale risultante dalla ricordata evoluzione.

 5.3. – La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 33, nei termini appena precisati, facendo venir meno l’estensione della giurisdizione esclusiva all’intera materia dei pubblici servizi, assorbe la censura rivolta allo stesso art. 33, comma 2, lettera f), dall’ordinanza n. 394, sotto il profilo della mancata ricomprensione nella giurisdizione esclusiva dei <<rapporti individuali di utenza con soggetti privati>>, nonché quella sollevata dall’ordinanza n. 195, in ordine all’intero art. 33, con riferimento agli articoli 3, 103 e 113 della Costituzione.

 5.4. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale comporta effetti sull’art. 35, determinando la necessità di adeguarne in via interpretativa il contenuto, ed in particolare di limitare la portata dei richiami fatti nei commi 1, 2, 3 e 5 di tale norma alla sola parte residua dell'art. 33.

 5.5. - L’ordinanza n. 495 dubita poi dell’incostituzionalità dell’art. 35, comma 4, del decreto n. 80 del 1998, nella sola parte in cui, a seguito dell’istituzione della giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, non avrebbe riservato all’autorità giudiziaria ordinaria le controversie su canoni, indennità e corrispettivi per le concessioni di servizi.

 La questione è infondata, poiché il suo presupposto è stato eliminato dalla dichiarazione di illegittimità dell’art. 33.

 6. - Nella formulazione sopra indicata (retro, § 5), la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.33 vale a ricondurre la norma delegata nei limiti posti dalla legge di delega.

 Spetta al legislatore ogni ulteriore valutazione sull’opportunità di conferire al Governo una nuova delega, o anche di intervenire direttamente, nella prospettiva del compimento – in modo conforme a Costituzione - del disegno riformatore cui la legge n.59 del 1997 si riferiva.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 riuniti i giudizi,

 a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.59), nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno;

 b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, commi 2 e 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80;

 c) dichiara non fondata la questione di costituzionalità dell’articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80, sollevata, in riferimento all’articolo 77 della Costituzione, dal Giudice di pace di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n.59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

e) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 e dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.59, sollevate, in riferimento, rispettivamente, agli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione ed agli articoli 3, 24, 76 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione di Latina, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

f) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 103 e 113 della Costituzione, dal Tribunale di Vibo Valentia, sezione di Tropea, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 luglio 2000.