Sentenza n. 250/2000

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SENTENZA N. 250

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 803, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 29 marzo 1999 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Grottola Leandro e Silva De Lima Maria Raquel, iscritta al n. 709 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un processo civile - promosso al fine di ottenere sentenza di revocazione di una donazione per sopravvenienza di figlio naturale riconosciuto - il Giudice unico del Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 29 marzo 1999, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 30, terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 803, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui prevede il limite temporale di due anni per l'attribuzione del diritto alla revocazione di donazione, a seguito di riconoscimento di figlio naturale».

 Eccepita dalla parte convenuta l’impossibilità di esperire utilmente l’azione de qua, poiché il riconoscimento del figlio naturale ad opera dell’attore è intervenuto oltre i due anni dalla donazione, rileva il rimettente che la norma impugnata, nella prima parte, consente la revocazione della donazione nella compresenza del presupposto negativo dell’assenza di figli o discendenti legittimi viventi al tempo della donazione e di quello positivo della sopravvenienza o della conoscenza dell'esistenza di un figlio o discendente legittimo, senza limiti di tempo; mentre, nella seconda parte del primo comma, la norma stessa consente la revoca della donazione sulla base dello stesso presupposto negativo e del presupposto positivo del riconoscimento di un figlio naturale nel termine di due anni dalla donazione, a meno che non si provi che al tempo della donazione stessa il donante fosse a conoscenza dell'esistenza del figlio.

Individuata la ratio della norma nell’esigenza di tutela degli interessi familiari, ed in particolare dei figli (in quanto lo ius poenitendi, riconosciuto al donante in presenza di quei fatti sopravvenuti, consente di far rientrare nel suo patrimonio beni che, ove ancora presenti al momento della morte, formeranno l’asse ereditario sul quale figli legittimi e figli naturali eserciteranno gli stessi diritti), ritiene il rimettente che la restrizione temporale imposta solo in relazione al riconoscimento di figli naturali appare in contrasto: a) con l'art. 30, terzo comma, Cost., che impone di assicurare ai figli naturali una tutela adeguata alla posizione di figlio, ossia simile a quella assicurata ai figli legittimi (non potendo ciò non valere anche nel caso in cui - come nella fattispecie - la ratio della norma sta nella tutela dei legittimari, ancorché realizzantesi per via indiretta, allargando l’àmbito dei poteri negoziali riconosciuti al genitore); b) con l’art. 3 Cost., perché crea un’ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento in fattispecie del tutto omogenee, quali la sopravvenienza di figli legittimi ed il sopravvenuto riconoscimento di figli naturali.

Considerato in diritto

 1.- Il Giudice unico del Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 803, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui prevede il limite temporale di due anni per l'attribuzione del diritto alla revocazione di donazione, a seguito di riconoscimento di figlio naturale».

 Secondo il rimettente, la denunciata norma si pone in contrasto: a) con l’art. 30, terzo comma, Cost., che impone di assicurare ai figli naturali una tutela simile a quella assicurata ai figli legittimi (non potendo ciò non valere anche nel caso in cui la ratio della norma risiede nella tutela dei discendenti legittimari, ancorché realizzantesi per via indiretta, allargando l’àmbito dei poteri negoziali riconosciuti al genitore); b) con l’art. 3 Cost., perché crea un’ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento in fattispecie del tutto omogenee, quali la sopravvenienza di figli legittimi (relativamente alla quale la revocazione non è soggetta al menzionato limite temporale) ed il sopravvenuto riconoscimento di figli naturali.

 2.- La questione è fondata.

 2.1.- La revocazione della donazione ex art. 803 cod. civ. trova fondamento nell’esigenza di consentire al donante una rivalutazione della perdurante opportunità della donazione stessa in séguito al fatto sopravvenuto della nascita di figli o discendenti, ovvero della conoscenza della loro esistenza. Sulla base di una valutazione legale tipica d'un particolare fatto, potenzialmente idoneo - anche secondo il comune sentire - ad incidere sullo spirito di liberalità manifestatosi nell'atto di donazione posto in essere quando il donante non aveva figli o non sapeva di averli, è stato a lui concesso di riconsiderare appunto la perdurante opportunità di tale atto, alla stregua della nuova situazione familiare venutasi a creare.

 La revocazione consegue solo al concreto esercizio del diritto potestativo attribuito dalla norma al donante, il quale è arbitro di decidere se esercitarla, così come, una volta che l'atto sia stato revocato, è libero di disporre a piacimento dei beni rientrati nel suo patrimonio. Per cui va escluso che l'istituto in esame sia approntato ad immediata garanzia degli interessi dei figli sopravvenuti o, più genericamente, degli interessi familiari. Nel contempo, però, non può negarsi che, potenzialmente, i conseguenti effetti patrimoniali si ripercuotono sulla posizione dei figli o dei discendenti, la cui tutela, dunque, è pur sempre da considerare immanente alle finalità della norma. Ed è alla luce di questa premessa che va condotto lo scrutinio di costituzionalità richiesto dal giudice a quo.

 2.2.- La possibilità di agire per la revocazione è dalla legge subordinata ad un duplice presupposto. Negativo il primo, legato al fatto che il donante, nel momento della donazione, non avesse o ignorasse di avere figli o discendenti legittimi; positivo il secondo, alternativamente costituito: a) dalla sopravvenienza, o dalla intervenuta conoscenza dell’esistenza, di un figlio o di un discendente legittimo del donante, cui vanno equiparate la sopravvenienza della legittimazione del figlio naturale, che a' sensi dell'art. 280 cod. civ. attribuisce la qualità di figlio legittimo, e la sopravvenuta adozione, quantomeno quella dei minori prevista dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, poiché l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti (art. 27 della legge stessa); b) dal riconoscimento di un figlio naturale, ma solo se «fatto entro due anni dalla donazione».

 Ebbene, ove si consideri che, ai sensi dell'art. 261 cod. civ., nel testo novellato dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, il riconoscimento del figlio naturale comporta l'assunzione da parte del genitore (con l’eventuale concorso degli ascendenti) di tutti i doveri che egli ha nei confronti dei figli legittimi, primo fra tutti quello di mantenimento previsto dagli artt. 147 e 148 cod. civ., appare di tutta evidenza come la limitazione temporale in discorso venga a menomare senza ragione la facoltà del genitore (o ascendente) naturale in ordine all’esercizio del menzionato diritto potestativo, allorquando egli ritenga che solo riacquistando il bene donato potrebbe adempiere ai suoi doveri, in una situazione di fatto del tutto analoga a quella in cui, viceversa, al genitore (o ascendente) legittimo, ed anche all’adottante, tale facoltà è concessa senza limiti.

 2.3.- Stante la suddescritta conformazione dell'istituto in esame, una tale disparità di trattamento non si potrebbe certo giustificare facendo riferimento alla previsione costituzionale della necessaria compatibilità della tutela dei figli nati fuori del matrimonio con i diritti dei membri della famiglia legittima, imposta dall'art. 30, terzo comma, Cost.

 Neppure varrebbe richiamare le preoccupazioni espresse da parte della dottrina relativamente ad un'asserita minore garanzia che altrimenti sarebbe offerta al donatario, per via di possibili riconoscimenti pretestuosi fatti dal donante. A quest'ultimo riguardo va invero osservato, da una parte, che il donatario è dal medesimo art. 803 ammesso a provare «che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio» e, dall'altra, che egli è legittimato ad impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità, a' sensi dell'art. 263, primo comma.

 D'altronde, a prescindere che identiche se non più gravi preoccupazioni potrebbero derivare al donatario dalla sopravvenienza di un'adozione, è appena il caso di notare che al riconoscimento ex art. 250 cod. civ. è equiparato, quoad effectum, l'accertamento giudiziale di cui al successivo art. 277, il quale addirittura suppone una volontà contraria al riconoscimento stesso e, inoltre, per quanto attiene ai figli nati dopo la donazione, di norma viene pronunciato ben al di là del previsto biennio, con la conseguenza che mai il donante così divenuto genitore sarebbe in grado di esercitare il diritto potestativo che il legislatore ha inteso concedergli.

 2.4.- Deve allora concludersi che la denunciata norma potrebbe trovare giustificazione unicamente nel tradizionale disfavore verso la filiazione naturale, che pervadeva ancora il nuovo codice civile nonostante la cauta apertura manifestatasi nella disposizione stessa, in confronto col corrispondente art. 1083 del previgente codice, che considerava del tutto irrilevante il riconoscimento d'un figlio naturale.

 Ma un tale disfavore appare incompatibile col principio espresso nell'art. 30, terzo comma, Cost., attuato dal legislatore con la riforma del diritto di famiglia, alla quale la denunciata norma è sfuggita.

 Questa, dunque, proprio alla luce del richiamato principio, è da ritenersi in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto i due concorrenti profili della disparità di trattamento e della palese irragionevolezza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 803, primo comma, del codice civile , nella parte in cui prevede che - in caso di sopravvenienza di un figlio naturale - la donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento del figlio sia intervenuto entro due anni dalla donazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 luglio 2000.