Sentenza n. 165/2000

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 165

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi con ordinanze emesse il 10 settembre 1998, il 10 giugno e l’8 luglio 1999 (n. 2 ordinanze), dalla Commissione tributaria regionale di Perugia, rispettivamente iscritte al n. 857 del registro ordinanze 1998 ed ai nn. 468, 563 e 726 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 1998, nn. 38 e 42, prima serie speciale, dell’anno 1999 e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.  

Ritenuto in fatto

1.- Con quattro ordinanze di contenuto analogo, pronunciate nelle date indicate in epigrafe, la Commissione tributaria regionale di Perugia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non consentono, nel processo tributario, la sospensione ope iudicis della esecutività della sentenza di secondo grado.

La commissione rimettente espone di essere investita di istanze, proposte ai sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, per la sospensione della esecutività di proprie sentenze, in pendenza del ricorso per cassazione (in tre dei quattro giudizi), ovvero (nel quarto giudizio) per la sospensione della esecutività di una sentenza della Commissione tributaria di II grado di Terni, in pendenza del ricorso alla Commissione tributaria centrale. Ritiene peraltro il giudice a quo che la norma del codice di rito invocata dalle parti istanti non sia applicabile al processo tributario, sia perché l’art. 49 del decreto legislativo n. 546 del 1992 espressamente esclude l’applicabilità dell’art. 337 cod. proc. civ. e quindi anche delle norme da quest’ultimo richiamate, tra cui appunto l’art. 373, sia in quanto l’art. 47 del medesimo decreto legislativo, nel prevedere che l’efficacia del provvedimento cautelare reso dal giudice di primo grado cessi con la pubblicazione della sentenza, rende palese l’intenzione del legislatore di limitare la tutela cautelare solamente al primo grado di giudizio.

L’esclusione di ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti della efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado sarebbe tuttavia lesiva - ad avviso dello stesso rimettente - del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione, del quale l’azione cautelare costituisce sicura espressione.

Le norme censurate violerebbero altresì il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento che determinerebbero, quanto alla tutela giurisdizionale offerta ai contribuenti, tra le controversie in materia di imposte e tasse devolute alla cognizione del giudice ordinario, nelle quali troverebbe applicazione l’art. 373 cod. proc. civ., e quelle attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie, che appunto non prevedono la possibilità di inibitoria.

2.- E’ intervenuto nei quattro giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, con atti di contenuto simile, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza delle questioni.

Rileva preliminarmente la parte pubblica che la previsione, contenuta nel decreto legislativo n. 546 del 1992, di una tutela cautelare limitata al solo giudizio di primo grado discende da una precisa indicazione contenuta nella legge delega (art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), cosicché l’eccezione di illegittimità costituzionale avrebbe dovuto eventualmente essere rivolta alla norma delegante.

Nel merito, l’Avvocatura osserva - quanto alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost. - che nel processo tributario, diversamente che nel processo civile, l’esecutività è un attributo non della sentenza, ma dell’atto impugnato, al quale soltanto può perciò essere riferita - come appunto dispone l’art. 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992 - la sospensione dell’esecuzione, i cui effetti sono destinati a cessare con la pubblicazione della sentenza di primo grado. Il successivo art. 68 del medesimo decreto legislativo prevede poi, in pendenza del giudizio tributario, un articolato sistema di pagamento frazionato del tributo accertato dall’amministrazione, in funzione del grado e del contenuto delle sentenze emesse nel corso del giudizio. Tale peculiare sistema esprimerebbe la coerente e ragionevole scelta del legislatore nel contemperamento tra il diritto di difesa del contribuente e la preminente esigenza pubblica di assicurare il tempestivo flusso delle entrate tributarie e non sarebbe perciò lesivo del precetto di cui all’art. 24 Cost.

Ricorda d’altra parte l’Avvocatura che la Corte costituzionale ha ripetutamente negato l’illegittimità costituzionale delle previgenti norme che escludevano o limitavano il potere del giudice di sospendere la riscossione dei tributi: a maggior ragione, pertanto, dovrebbe escludersi l’illegittimità costituzionale delle norme denunciate, che finalmente riconoscono tale potere, sia pure limitatamente al primo grado di giudizio, tanto più che la possibilità di sospensione ope iudicis si aggiunge, come già ricordato, alla parziale sospensione automatica ope legis di cui all’art. 68 del citato decreto legislativo n. 546 del 1992.

Il secondo profilo di asserita illegittimità, riferito all’art. 3 Cost., si fonderebbe poi - ad avviso sempre della parte pubblica - su una erronea premessa. Il giudice civile infatti - diversamente da quanto la Commissione rimettente mostra di ritenere - non avrebbe affatto il potere di sospendere la riscossione dei tributi né a tale fine potrebbe avvalersi delle norme (artt. 283 e 373 cod. proc. civ.) che consentono la sospensione della esecutività delle sentenze di primo e secondo grado, proprio in quanto il titolo esecutivo, in materia tributaria, è costituito non già dalla sentenza di rigetto del ricorso bensì dall’atto impugnato. La tutela cautelare assicurata al contribuente nel processo tributario risulterebbe dunque addirittura più ampia di quella disponibile nel processo dinanzi al giudice ordinario.

Considerato in diritto

1.- I giudizi hanno ad oggetto questioni identiche e vanno perciò riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2.- La Commissione tributaria regionale di Perugia dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui - secondo la non implausibile interpretazione dello stesso giudice rimettente - non consentirebbero, nel processo tributario, la sospensione ope iudicis della esecutività della sentenza di secondo grado, in pendenza di ricorso per cassazione o di ricorso alla Commissione tributaria centrale.

3.- La questione non è fondata.

4.- Questa Corte ha più volte affermato che la disponibilità di misure cautelari costituisce componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24 della Costituzione (sentenze n. 336 del 1998, n. 326 del 1997, n. 249 del 1996, n. 253 del 1994, n. 190 del 1985).

 Enunciazione, questa, sicuramente riferibile, per la sua generalità, anche al processo tributario e che si spiega, secondo la stessa Corte, con l’esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell’attore che ha ragione e che, durante il tempo occorrente per l’accertamento in via ordinaria del suo diritto, è esposto al rischio di subire un danno irreparabile.

Risulta allora evidente come la garanzia costituzionale della tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga - con efficacia esecutiva - la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto stesso della invocata tutela. Con la conseguenza che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nel merito, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore.

5.- In base a quanto precede, deve, pertanto, escludersi che le norme denunciate siano in contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui non consentono alla commissione tributaria regionale, in caso di rigetto totale o parziale del ricorso del contribuente, l’adozione di misure cautelari intese ad impedire, in pendenza del ricorso per cassazione o del ricorso alla commissione tributaria centrale, l’esecuzione della pretesa tributaria oggetto del giudizio, nei limiti fissati dalla sentenza impugnata.

6.- Del pari insussistente è la asserita disparità di trattamento tra le controversie in materia di imposte e tasse devolute alla cognizione del giudice ordinario, nelle quali sarebbe possibile sospendere, ai sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, l’esecuzione della sentenza d’appello in pendenza del ricorso per cassazione, e le controversie, nelle stesse materie, attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie, per le quali tale possibilità di sospensione non è prevista.

La censura, investendo la differente latitudine dei poteri del giudice nel processo civile e nel processo tributario, si pone in aperta contraddizione con la giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente escluso l’esistenza di un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo, pur ribadendo la necessità di rispettare il generale criterio di ragionevolezza delle scelte legislative (ex plurimis sentenze n. 18 del 2000; n. 82 del 1996).

Aspetto quest’ultimo che nella specie non viene, tuttavia, in considerazione essendo il dubbio di costituzionalità circoscritto alla violazione del principio di eguaglianza senza alcun, sia pure indiretto, riferimento alla irragionevolezza della disciplina nei modelli processuali posti a raffronto.

Conclusivamente, la scelta di non estendere la tutela cautelare, nel processo tributario, ai gradi di giudizio successivi al primo appare, anche in riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost., legittimo esercizio di discrezionalità legislativa e si sottrae, perciò stesso, alla censura di incostituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Perugia con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 2000.