Ordinanza n. 76/2000

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ORDINANZA N. 76

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 117, commi 4 e 5, 130, comma 2, 136, comma 7, e 142, comma 9, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1998 dal Pretore di Pordenone nel procedimento civile vertente tra Cortes Eros Mario e il Prefetto di Pordenone, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione avverso il provvedimento di ordinanza ingiunzione emesso dal Prefetto di Pordenone nei confronti di un cittadino argentino in conseguenza della violazione degli artt. 142, comma 9, e 117, commi 4 e 5, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), il Pretore di quella città ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, del combinato disposto dei predetti due articoli e degli artt. 130, comma 2, e 136, comma 7, del medesimo codice;

che il ricorrente è stato assoggettato alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo complessivo di mesi cinque, così determinata: tre mesi per l’eccesso di velocità (art. 142, comma 9) e due mesi per la violazione delle limitazioni poste nei confronti di chi abbia conseguito la patente di guida da meno di tre anni (art. 117); entrambe le sanzioni sono state fissate sul presupposto che il ricorrente fosse un neopatentato, mentre quest’ultimo è già titolare da oltre dieci anni di una patente argentina in corso di validità; ne consegue che, ove fossero sussistenti le necessarie condizioni di reciprocità tra l’Italia e l’Argentina, l’odierno opponente avrebbe potuto ottenere la patente italiana per semplice conversione, senza sostenere alcun esame e senza perciò incorrere nelle più gravi sanzioni previste dalla legge per il titolare di patente da meno di tre anni;

che il sistema sanzionatorio in questione, secondo il rimettente, oltre ad essere discriminatorio e quindi lesivo del principio di uguaglianza, si pone anche in conflitto col canone della ragionevolezza, poiché mentre il titolare di patente valida all'estero può liberamente circolare in Italia alla sola condizione di non avervi stabilito la propria residenza da più di un anno, altrettanto non avviene per chi abbia deciso, per necessità o per scelta, di conseguire la patente italiana;

che da altre norme del codice della strada discende, inoltre, che l’ordinamento ricollega pur sempre un qualche rilievo alla patente straniera come attestato di capacità, idoneo a rendere inoperante l’art. 117 in questione. L’art. 136, comma 7, infatti, prevede che chi circola in Italia, decorso il termine di un anno dall’acquisizione della residenza, con patente straniera valida, incorre nelle sanzioni previste per chi guida con patente italiana scaduta di validità, e non in quelle previste per la guida senza patente. Allo stesso modo l’art. 130, comma 2, cod. strada, nel regolare la materia della revoca e della riacquisizione della patente revocata, stabilisce che le limitazioni di cui all’art. 117 si applicano con riferimento alla data di rilascio della patente revocata. Da siffatte ipotesi si confermerebbe che il trattamento di maggiore severità valevole per lo straniero che abbia conseguito la patente italiana nonostante il possesso di patente valida all'estero si palesa irrazionale e discriminatorio, e perciò in conflitto con l’art. 3 della Carta fondamentale;

che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata atteso che le disposizioni censurate non violerebbero il principio di uguaglianza né contrasterebbero con quello di ragionevolezza.

Considerato preliminarmente che l'art. 16 della Costituzione garantisce il diritto alla libera circolazione e che, per potere concretamente esercitare tale diritto come conducente di veicolo a motore, è necessario che il soggetto sia munito di patente di guida;

che, altresì, per regola generale la patente di guida nel territorio italiano va rilasciata dall'autorità amministrativa italiana (art. 116 del decreto legislativo n. 285 del 1992);

che a questa regola fa parziale eccezione l'art. 135 del nuovo codice della strada (che riproduce l'art. 98 del vecchio codice) che consente ai conducenti muniti di patente di guida o di permesso internazionale, rilasciati da uno Stato estero, la guida nel territorio del nostro Paese di autoveicoli e motoveicoli delle stesse categorie per le quali è valida la loro patente o il loro permesso nel Paese di rilascio; e che la circolazione con patente straniera viene tollerata fino ad un anno successivo all'acquisto della residenza in Italia per dare tempo alle pratiche di conversione o al conseguimento di patente italiana;

che, come affermato da questa Corte (sentenza n. 121 del 1973) a proposito del citato art. 98 del vecchio codice della strada, la ratio di detta regola è quella di agevolare quei soggetti che, residenti in uno Stato estero, trascorrano in Italia brevi periodi di permanenza; si favorisce così la circolazione stradale internazionale, che consiste (secondo la definizione che ne dà l'art. 4 della Convenzione di Ginevra del 19 settembre 1949, resa esecutiva in Italia con la legge 19 marzo 1952, n. 1049) in una circolazione di veicoli che implichi il passaggio di almeno una frontiera;

che l'art. 136 del nuovo codice della strada (che subentra all'art. 98–bis del vecchio codice) distingue due ipotesi di conversione della patente: quella dell'atto rilasciato da uno Stato dell'Unione Europea, per la cui conversione è sufficiente la residenza in uno Stato membro; e quella di patente rilasciata da uno Stato non comunitario, per la quale l'art. 136, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede l'applicazione delle disposizioni del comma 1, purché a condizione di reciprocità o in presenza di altri eventuali requisiti previsti in accordi internazionali particolari;

che mentre la patente estera può avere giuridico rilievo nel nostro ordinamento solo attraverso la sua conversione, ove non sussistano queste condizioni, lo straniero, sia pure munito di patente di guida estera, che consegua quella italiana, dovrà essere considerato, nel triennio dal conseguimento, come gli altri neopatentati e assoggettato al relativo regime giuridico;

che il suddetto diverso trattamento non implica alcuna violazione del principio di uguaglianza, il quale impone che situazioni eguali siano trattate allo stesso modo e che siano, invece, disciplinate diversamente le situazioni differenti (sentenza n. 121 del 1973);

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 117, commi 4 e 5, dell'art. 130, comma 2, dell'art. 136, comma 7, e dell'art. 142, comma 9, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Pordenone con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 marzo 2000.