Sentenza n. 468/99

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SENTENZA N. 468

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.  Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.  Cesare MIRABELLI  

- Prof.  Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.  Massimo VARI   

- Dott.  Cesare RUPERTO  

- Dott.  Riccardo CHIEPPA   

- Prof.  Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.  Valerio ONIDA   

- Avv.  Fernanda CONTRI   

- Prof.  Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto, riapprovata il 12 giugno 1998, recante "Addestramento e allenamento dei falchi per l'esercizio venatorio" promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 1° luglio 1998, depositato in Cancelleria l'11 successivo ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 1998.

 Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;

 udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri;

 uditi l'avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Mario Loria per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato del Presidente del Consiglio dei ministri, il Governo ha promosso in via principale, in riferimento all'art. 117 della Costituzione e all’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto concernente “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”, riapprovata a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale nella seduta del 12 giugno 1998, con modifiche al testo rinviato dal Governo con atto del 3 aprile 1998.

Nella sua versione originaria, l’impugnata delibera legislativa veniva rinviata al Consiglio regionale giacché, consentendo l’addestramento dei falchi per l’esercizio venatorio “durante l’intero periodo dell’anno” - attività, si legge nel ricorso, qualificabile come venatoria alla luce della sentenza di questa Corte n. 578 del 1990 -, appariva in contrasto con la disciplina dei periodi venatori di cui all’art. 18 della menzionata legge n. 157 del 1992.

In accoglimento dei rilievi formulati in sede di rinvio governativo, la Regione Veneto modificava la legge introducendo il “divieto di predazione di fauna selvatica limitatamente ai periodi di caccia chiusa” (art. 3, comma 3).

Ad avviso del ricorrente, tale modifica non consente di superare i rilievi governativi, in considerazione dell’inidoneità del divieto legislativo “a produrre qualunque modificazione del comportamento del falco in volo” (così nel ricorso).

2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita la Regione Veneto per chiedere una declaratoria di infondatezza della questione di legittimità costituzionale promossa dal Governo.

Premesso che già in altre Regioni sono in vigore discipline del tutto analoghe a quella censurata, e tuttavia sfuggite all’impugnativa statale, la Regione resistente deduce, nel merito, che il ricorso governativo si baserebbe su un presupposto erroneo: “che il semplice addestramento del falco da caccia costituisca in sé esercizio di attività venatoria, pure se esso non abbia come scopo e come effetto l’abbattimento di selvaggina”. Con la modifica introdotta in accoglimento del rinvio, il legislatore regionale ha inteso escludere espressamente che l’attività di addestramento di cui si tratta possa “assumere i contenuti e le caratteristiche dell’intervento venatorio”, come individuati anche alla luce della pronuncia di questa Corte richiamata dal ricorrente.

La normativa censurata, obietta la difesa della Regione, preclude al falconiere di utilizzare forme di addestramento che contemplino la cattura o l’abbattimento di esemplari di selvaggina: “sarà compito dell’istruttore assumere le precauzioni ed adottare gli accorgimenti necessari ad evitare che il rapace, nel corso dell’allenamento, posa attaccare animali appartenenti alla fauna selvatica; parimenti graverà sull’istruttore la responsabilità per eventuali violazioni della legge, qualora il falco ponga in essere azioni predatorie”.

3. - In prossimità della data fissata per l’udienza, la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa ad integrazione di quanto già dedotto con l’atto di costituzione.

La difesa della Regione si diffonde sulle caratteristiche e sulle modalità di esercizio della falconeria per smentire l’assunto, dal quale muove la censura statale, della natura necessariamente venatoria dell’attività di addestramento del falco.

Si legge nella memoria della Regione che l’addestramento tende in una prima fase a sviluppare nel rapace una capacità di adattamento alla presenza dell’uomo, inducendolo a riconoscere e a seguire il proprio falconiere. In una seconda fase, il falco viene fatto volare, legato al pugno del falconiere, a distanze sempre maggiori. La terza fase dell’addestramento, che come le precedenti deve necessariamente precedere l’apertura della caccia, è quella del volo libero senza l’impiego di prede vive.

In ordine al rilievo governativo della inidoneità del precetto legislativo “a produrre qualunque modificazione del comportamento del falco in volo”, la Regione resistente replica che “seguendo l’assunto dello Stato, si dovrebbe concludere che il tipo di caccia in esame non offre mai sufficienti garanzie di rispetto della normativa di settore, in quanto il rapace potrebbe pur sempre essere indotto ad abbattere esemplari sottratti al prelievo, o fare incursione in aree protette”.

La Regione Veneto richiama infine l’attenzione sull’insieme dei vincoli e dei controlli cui la legge regionale impugnata subordina l’attività di addestramento in questione: iscrizione in apposito registro provinciale; previa presentazione di un dettagliato programma di addestramento; limitazione dell’àmbito territoriale per l’esercizio dell’attività di cui si tratta (comune di residenza o comune confinante con il primo); consenso del proprietario dell’area destinata allo scopo; obbligo di preventiva comunicazione alla Provincia del periodo di utilizzazione del falco.

I menzionati vincoli, conclude la difesa della Regione, “restringono fortemente i margini di libertà del falconiere e danno completa garanzia in ordine al corretto svolgimento dell’attività”.

Considerato in diritto

1. - Con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 1° e depositato l’11 luglio 1998, il Governo ha promosso in via principale - in riferimento all’art. 117 della Costituzione, in relazione all’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) - questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa concernente “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”, riapprovata a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale del Veneto nella seduta del 12 giugno 1998, con modifiche al testo rinviato dal Governo con atto del 3 aprile 1998.

Il ricorrente impugna l’art. 3, comma 3, della menzionata delibera legislativa, a norma del quale “con l’iscrizione al registro di cui al comma 2 dell’art. 2, il falconiere viene autorizzato dalla Provincia ad addestrare ed allenare i falchi durante l’intero periodo dell’anno, con divieto di predazione di fauna selvatica limitatamente ai periodi di caccia chiusa”, in quanto, apparendo non idoneo “a produrre qualunque modificazione del comportamento del falco in volo”, si porrebbe in contrasto con la disciplina dei periodi venatori di cui all’art. 18 della legge n. 157 del 1992.

2.   - La questione non è fondata.

3. - Alla disciplina dell’attività venatoria di cui all’invocata legge n. 157 del 1992 si può estendere quanto questa Corte ebbe modo di affermare, nella decisione richiamata dal ricorrente (sentenza n. 578 del 1990), con riguardo all’abrogata legge n. 968 del 1977 (Principi generali e disposizioni per la protezione e tutela della fauna e disciplina della caccia). Anche alla stregua della vigente legge-quadro, può infatti ribadirsi che l’attività venatoria viene a caratterizzarsi per il tipo di azioni svolte (abbattimento o cattura di animali e attività preparatorie), per l’oggetto cui l’attività in questione risulta diretta (animali da abbattere o catturare appartenenti alla fauna selvatica), nonché per i mezzi destinati allo svolgimento della stessa attività (armi o animali consentiti dalla legge come strumenti di caccia).

Tale premessa non rende tuttavia la denunciata legge regionale lesiva dei princìpi stabiliti dalla legge n. 157 del 1992. Al contrario, nei limiti in cui, attraverso l’attività di addestramento del falco, o in conseguenza di essa, si realizzino i menzionati presupposti, deve trovare piena applicazione la disciplina, anche sanzionatoria, in materia di periodi venatori, che, come questa Corte ha avuto occasione di chiarire in consonanza con la normativa e la giurisprudenza comunitarie, contribuisce alla delineazione del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica (sentenze n. 168 del 1999; n. 323 del 1998).

Ai fini del presente giudizio costituzionale, non è necessario entrare nel merito della questione dell’oggettiva impossibilità - asserita dal ricorrente e diffusamente contestata nelle difese della Regione - di addestrare il falco da caccia impedendo al rapace ogni azione di predazione di esemplari di fauna selvatica.

Anche se si dovesse aderire all'assunto - nel ricorso, per altro, indimostrato - che esclude a priori la possibilità di porre in essere pratiche o modalità di addestramento non implicanti predazione, la delibera legislativa impugnata non si appaleserebbe idonea a concretare un vulnus agli invocati princìpi fondamentali in materia di periodi venatori. La disciplina censurata, tutt’al più, verrebbe a configurarsi, per un verso, come norma preordinata a facoltizzare un comportamento (l’addestramento senza predazione) ritenuto impossibile; per un altro verso, come reiterazione del divieto di predazione durante la chiusura della caccia. In ogni caso, la disposizione impugnata non sarebbe di ostacolo - in presenza di episodi di predazione di esemplari di fauna selvatica durante la chiusura della stagione venatoria - alla doverosa irrogazione delle previste misure sanzionatorie; trattandosi di una norma, assistita da sanzione, destinata a trovare applicazione incondizionata, poiché vieta in termini assoluti ogni attività di addestramento o di allenamento implicante predazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto concernente “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”, approvata a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale, in seconda deliberazione, nella seduta del 12 giugno 1998, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1999.