Ordinanza n. 431/99

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ORDINANZA N. 431

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI 

- Prof. Cesare MIRABELLI 

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv. Massimo VARI 

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1998 dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Abbiategrasso, nel procedimento penale a carico di P. G., iscritta al n. 215 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;

 Udito nella camera di consiglio del 27 ottobre 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 Ritenuto che il Pretore di Milano, sezione distaccata di Abbiategrasso, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 (in relazione all’art. 2, comma 1, numeri 67 e 103, della legge 16 febbraio 1987, n. 81) della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all’esito di un precedente giudizio civile di responsabilità «riguardante il medesimo fatto storico attribuito all’imputato, già riconosciuto la sussistenza del reato»;

 che il rimettente espone di avere in precedenza celebrato e definito il processo civile per il risarcimento dei danni intentato dagli eredi del lavoratore rimasto vittima dell’infortunio contro il datore di lavoro e di essere ora chiamato a giudicare in sede penale il responsabile del cantiere edile in cui si era verificato l’infortunio mortale, imputato per il reato di omicidio colposo, cioè per il medesimo fatto storico oggetto del giudizio civile;

 che, al riguardo, il rimettente rileva che, essendo venuta meno la pregiudiziale penale nei confronti del processo civile, il giudice civile, al fine di liquidare il danno non patrimoniale o morale, è tenuto ad operare un autonomo accertamento dei fatti, ivi compresi i profili penali;

 che, in particolare, il rimettente precisa di avere escusso in sede civile il testimone indicato dal pubblico ministero nell’attuale processo penale e di avere già preso visione in quella sede dei «rapporti giudiziari dei Carabinieri e della USL riguardanti l’infortunio mortale»;

 che in tale situazione le valutazioni di merito espresse in sede civile pregiudicherebbero l’«autonomia» del giudizio sulla responsabilità penale, che potrebbe essere o apparire condizionata dalla propensione del giudice a confermare la propria precedente decisione;

 che ad avviso del rimettente risulterebbe pertanto violato il principio dell’imparzialità del giudice, compromesso dalla precedente valutazione sulla configurabilità del reato già espressa dal medesimo giudice in sede civile, sia pure riferita non all’attuale imputato, ma al datore di lavoro;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza della questione.

 Considerato che, come questa Corte ha avuto ripetute occasioni di affermare (v., tra le tante, sentenze nn. 351, 308, 307 e 306 del 1997; ordinanza n. 178 del 1999), nell’ambito dei rapporti tra gli istituti apprestati dal codice di rito a garanzia dell’imparzialità del giudice l’art. 34 cod. proc. pen. fa riferimento alle situazioni in cui i termini della relazione di incompatibilità intercorrono all’interno del medesimo procedimento, o comunque nell'ambito di una vicenda processuale sostanzialmente unitaria riguardante la medesima regiudicanda (v. sentenze n. 241 del 1999 e n. 371 del 1996), mentre i casi in cui la funzione pregiudicante è espressa fuori del procedimento rientrano nella sfera di applicazione della astensione e della ricusazione;

 che, infatti, le situazioni pregiudicanti descritte dall’art. 34 cod. proc. pen. sono tipicamente e preventivamente individuate dal legislatore in base alla presunzione che determinino l’incompatibilità ad esercitare ulteriori funzioni giurisdizionali nel medesimo procedimento, mentre sarebbe impossibile prevedere in astratto e a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo in precedenza esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilità nel successivo procedimento penale;

 che le valutazioni sul merito della responsabilità penale espresse in un diverso procedimento, che possono eventualmente determinare un effetto pregiudicante, debbono quindi essere oggetto di una ricognizione caso per caso, che tenga conto dello specifico contenuto dell’atto ai fini di verificarne la possibile incidenza sull’imparzialità del giudice, rimuovendo il pregiudizio mediante il ricorso agli istituti dell’astensione e della ricusazione;

 che nel caso in esame la supposta funzione pregiudicante risulta espressa in un diverso procedimento, di natura civile, avente quindi oggetto non assimilabile a quello penale (sul punto v. sentenza n. 351 del 1997), per di più riguardante l'accertamento della responsabilità di un soggetto diverso da quello che figura come imputato nel procedimento a quo (v. al riguardo sentenze n. 186 del 1992 e 439 del 1993);

 che, anche con riferimento alla specifica funzione pregiudicante prospettata dal giudice rimettente, non vi sono motivi per discostarsi dalla sopra menzionata impostazione generale dei rapporti tra gli istituti della incompatibilità e della astensione-ricusazione;

che pertanto la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 (in relazione all’art. 2, numeri 67 e 103, della legge 16 febbraio 1987, n. 81) della Costituzione, dal Pretore di Milano, sezione distaccata di Abbiategrasso, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1999.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 novembre 1999.